Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14268 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14268 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/05/2024
CARTELLA DI PAGAMENTO -IRPEF 2008.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8763/2016 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende,
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dal AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO in virtù di procura speciale a margine del controricorso,
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME in virtù di procura speciale alle liti per Notaio
Cavallotti di Milano del 17 febbraio 2016, n. 103.765 rep. e n. 21346 racc.,
-controricorrenti – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte n. 970/36/2015, depositata il 1° ottobre 2015; udita la relazione della causa svolta nell’adunanza in camera di consiglio del 23 gennaio 2024 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO;
– Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE notificava a COGNOME NOME cartella di pagamento n. NUMERO_DOCUMENTO–NUMERO_DOCUMENTO0045618313000, emessa a seguito di controlli ex art. 36ter d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, con la quale veniva richiesto il pagamento di maggiori imposte, sanzioni e interessi a seguito del disconoscimento della detrazione di costi per pagamenti effettuati dalla contribuente al fratello COGNOME NOME, a soddisfacimento di oneri derivanti dalla donazione, alla suddetta COGNOME NOME, dell’azienda -farmacia RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE (con sede in Torino, INDIRIZZO) da parte della madre AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME.
La contribuente impugnava la cartella dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Torino la quale, con sentenza n. 9/2/2014, depositata l ‘8 gennaio 2014, rigettava il ricorso.
Interposto gravame dalla contribuente, la Commissione tributaria regionale del Piemonte, con sentenza n. 970/36/2015, pronunciata il 7 luglio 2015 e depositata in segreteria il 1° ottobre 2015, accoglieva l’appello e, per
l’effetto, annullava la cartella impugnata, compensando integralmente tra le parti le spese del giudizio.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’RAGIONE_SOCIALE , sulla base di tre motivi.
RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME resistono con controricorso.
La discussione del ricorso è stata fissata dinanzi a questa sezione per l’adunanza in camera di consiglio del 23 gennaio 2024, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1 cod. proc. civ.
– Considerato che:
Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a tre motivi.
1.1. Con il primo motivo l’RAGIONE_SOCIALE eccepisce nullità della sentenza per violazione degli artt. 331 e 332 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, l’Ufficio che al giudizio di primo grado aveva anche partecipato il RAGIONE_SOCIALE per la RAGIONE_SOCIALE, mentre l’atto di appello era non mai stato notificato al RAGIONE_SOCIALE, né la C.T.R. aveva rilevato il vizio, disponendo l’int egrazione del contraddittorio, di talché la sentenza di secondo grado doveva ritenersi nulla per violazione RAGIONE_SOCIALE norme sul contraddittorio.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in combinato disposto con gli artt. 324 e 329, secondo comma, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ.
Rileva, in particolare, l’RAGIONE_SOCIALE che l’atto eventualmente affetto dai pretesi vizi di legittimità non fosse la cartella impugnata, bensì il precedente diniego di autotutela, ossia la comunicazione dell’Ufficio del 30 gennaio 2012, prot. n. 17342/2012, con la quale l’Ufficio ribadiva la legittimità del proprio operato, escludendo la possibilità di portare in deduzione le somme corrisposte da COGNOME NOME al fratello, in quanto riguardanti un unico pagamento in forma rateale, nel mentr e l’art. 10 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (testo unico RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi) ammetteva in deduzione soltanto gli assegni periodici corrisposti in forza di testamento o di donazione modale, e riguardanti finalità di integrazione reddituale con necessaria periodicità nel tempo.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, infine, l’RAGIONE_SOCIALE eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 10 e dell’art. 50, comma 1, lett. i ), del d.P.R. n. 917/1986, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ..
Deduce, in particolare, l’Ufficio che nel caso di specie non si verteva in un’ipotesi di ‘assegno periodico’ come previsto dall’art. 10 cit., che presuppone, ai fini fiscali, una necessaria periodicità costante nel tempo con finalità di integrazione reddituale per il beneficiario, ma si era in presenza di un semplice debito con modalità di pagamento rateale, che peraltro era stato estinto in unica soluzione.
Così delineati i motivi di ricorso, la Corte osserva quanto segue.
2.1. Il primo motivo è infondato.
Ed invero, va innanzitutto rilevato che tra ente impositore ed il RAGIONE_SOCIALE per la RAGIONE_SOCIALE non sussiste un’ipotesi di
litisconsorzio necessario, in quanto, nella disciplina della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE imposte, la cartella di pagamento svolge la funzione di portare a conoscenza dell’interessato la pretesa tributaria iscritta nei ruoli, entro un termine stabilito a pena di decadenza della pretesa tributaria. In tale caso la legittimazione passiva spetta all’ente titolare del credito tributario e non già al RAGIONE_SOCIALE, al quale, se è fatto destinatario dell’impugnazione, incombe l’onere di chiamare in giudizio il predetto ente, se non vuole rispondere dell’esito della lite, non essendo il giudice tenuto a disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non è configurabile nella specie un litisconsorzio necessario (Cass. 26 febbraio 2019, n. 5625; Cass. 24 aprile 2018, n. 10019).
Peraltro, in caso di vizi che non siano propri della cartella, non sussiste litisconsorzio necessario “sostanziale” tra l’Amministrazione finanziaria ed il RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, né dal lato passivo, spettando la relativa legittimazione all’ente titolare del credito tributario con onere del RAGIONE_SOCIALE, ove destinatario dell’impugnazione, di chiamare in giudizio il primo se non voglia rispondere RAGIONE_SOCIALE conseguenze della lite, né da quello attivo, dovendosi, peraltro, riconoscere ad entrambi il diritto all’impugnazione nei diversi gradi del processo tributario (Cass. 14 luglio 2021, n. 20038; Cass. 3 aprile 2019, n. 9250; Cass. 13 aprile 2018, n. 9216).
E’, del resto, ormai consolidato l’orientamento, inaugurato dalla pronuncia RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite di questa Corte n. 16412 del 25 luglio 2007, secondo il quale il contribuente che impugni una cartella esattoriale emessa dal RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE per motivi che attengono alla mancata
notificazione, ovvero anche alla invalidità degli atti impositivi presupposti, può agire indifferentemente nei confronti tanto dell’ente impositore quanto del RAGIONE_SOCIALE, senza che sia tra i due soggetti configurabile alcun litisconsorzio necessario. In entrambi i casi, la legittimazione passiva spetta all’ente titolare del credito tributario e non già al RAGIONE_SOCIALE, il quale, in presenza di contestazioni involgenti il merito della pretesa impositiva, ha l’onere di chiamare in giudizio il predetto ente, ex d.lgs. n. 112 del 1999, art. 39, se non vuole rispondere dell’esito della lite, non essendo il giudice tenuto a disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non è configurabile un litisconsorzio necessario (Cass. 4 maggio 2018, n. 8295; Cass. 28 aprile 2017, n. 10528; Cass. 24 aprile 2015, n. 8370; Cass. 7 maggio 2014, n. 9762).
Si è affermato, d’altronde, che non è configurabile litisconsorzio necessario tra il soggetto incaricato del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE imposte, “mero destinatario del pagamento”, e l’RAGIONE_SOCIALE, sicché non sussiste obbligo di integrazione del contraddittorio nella fase dell’impugnazione, che sorge soltanto quando la sentenza di primo grado sia stata pronunciata nei confronti di tutte le parti tra le quali esiste litisconsorzio necessario sostanziale e l’impugnazione non sia stata proposta nei confronti di tutte, nonché nel caso del litisconsorzio necessario processuale, quando l’impugnazione non risulti proposta nei confronti di tutti i partecipanti al giudizio di primo grado, sebbene non legati tra loro da un rapporto di litisconsorzio necessario, sempre che si tratti di cause inscindibili o tra loro dipendenti (Cass. 24 luglio 2014, n. 16813).
In particolare, si è sostenuto che la disposizione di cui al l’ art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, secondo cui l’appello dev’essere proposto “nei confronti di tutte le parti” che hanno partecipato al giudizio di primo grado, non fa venir meno la distinzione tra cause inscindibili e cause scindibili: pertanto, ove la controversia abbia ad oggetto solo l’esistenza dell’obbligazione tributaria, la mancata proposizione dell’appello anche nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, convenuto in primo grado unitamente all’Amministrazione finanziaria, non comporta l’obbligo di disporre la notificazione del ricorso in suo favore, quando sia ormai decorso il termine per l’impugnazione, essendo egli estraneo al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, con la conseguente scindibilità della causa nei suoi confronti, anche nel caso in cui non sia stato eccepito o rilevato il suo difetto di legittimazione (Cass. 27 ottobre 2017, n. 25588; Cass. 18 settembre 2015, n. 18361; Cass. 3 gennaio 2014, n. 245; Cass. 9 maggio 2007, n. 10580).
Ne consegue che, nel caso di specie, poiché con il ricorso in primo grado si contestavano anche vizi attinenti alla cartella (in particolare, nullità della notificazione), mentre tale eccezione non è stata riproposta dalla contribuente con l’atto di appello, contestandosi unicamente l’esistenza dell’obbligazione tributaria (per assenza del presupposto impositivo), non era necessario citare in appello il RAGIONE_SOCIALE per la RAGIONE_SOCIALE, né disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti di ques t’ultimo.
2.2. Anche il secondo motivo è infondato.
Sostiene l’Ufficio che l’atto eventualmente affetto da vizi di illegittimità sarebbe non già la cartella impugnata, quanto piuttosto il provvedimento di diniego di autotutela, ossia la comunicazione del 30 gennaio 2012, n. prot. 17342/2012, con il quale vengono rigettate le contestazioni contenute nel preliminare avviso bonario inviato alla contribuente.
Sul punto, appare opportuno riassumere le vicende riguardanti la fase amministrativa prodromica all’emissione della cartella.
In data 31 maggio 2011 la contribuente riceveva richiesta di documentazione da parte dell’RAGIONE_SOCIALE.
Successivamente, il 2 gennaio 2012, l’ Ufficio comunicava alla RAGIONE_SOCIALE l’esito del controllo ex art. 36 -ter d.P.R. n. 600/1973, mediante l’invio del c.d. avviso bonario.
In data 23 gennaio 2012 la contribuente presentava un’istanza tesa alla revisione della decisione amministrativa, chiedendo all’Ufficio di rivedere la propria dete rminazione.
In data 30 gennaio 2012 l’Ufficio comunicava il diniego RAGIONE_SOCIALE osservazioni formulate dalla contribuente, e confermava la ripresa a tassazione dei costi oggetto di deduzione d’imposta.
In data 20 agosto 2013 veniva quindi notificata a COGNOME NOME la cartella di pagamento oggetto di impugnazione.
Orbene, va rilevato che, in relazione al procedimento ex art. 36ter d.P.R. n. 600/1973, il c.d. avviso bonario è atto facoltativamente impugnabile, anche se non ricompreso nel novero degli atti elencati dall’art. 19 del d.lgs. n. 546/1992, ma la mancata impugnazione di tale atto, seguita dalla manifestazione della pretesa mediante un atto tipico (cartella di pagamento), non cristallizza la pretesa tributaria, e la
contribuente può legittimamente impugnare uno degli atti tipici, nominato dall’art. 19 cit. (Cass. 8 settembre 2022, n. 26523). L’impugnazione dell’avviso bonario , infatti, è una mera facoltà della parte, e non un onere, e, pertanto, non può determinare alcuna decadenza (operante solo se normativamente prevista) per il caso in cui essa non venga esercitata (in tal senso, Cass. 29 ottobre 2021, n. 30736; Cass. 21 gennaio 2020, n. 1230; Cass. 31 ottobre 2018, n. 27805).
Totalmente infondata è, poi, l’eccezione dell’Ufficio, secondo la quale l’atto impugnabile, nella specie, avrebbe dovuto essere la comunicazione del 30 gennaio 2012, n. prot. 17342/2012, con la quale l’RAGIONE_SOCIALE comunica il diniego di autotutela, sulla base della richiesta formulata dalla contribuente successivamente alla ricezione dell’avviso bonario.
Ed invero, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte, contro il diniego opposto dall’Amministrazione all’esercizio del potere di autotutela, può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto, e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria (Cass. 4 settembre 2023, n. 25659; Cass. 7 marzo 2022, n. 7318; Cass. 20 novembre 2015, n. 23765).
Conseguentemente, nel caso di specie, poiché la contribuente contesta proprio la sussistenza della pretesa tributaria, l’atto impugnabile era proprio la cartella di pagamento, e cioè l’atto con il quale tale pretesa viene esplicitamente estrinsecata, tenuto conto anche del fatto che né l’avviso bonario, né il diniego di autotutela erano atti idonei a cristallizzare la pretesa tributaria suddetta.
2.3. Anche il terzo motivo, infine, è infondato.
RAGIONE_SOCIALE contesta l’applicabilità dell’art. 10, comma 1, lett. d ), d.P.R. n. 917/1986 (e quindi la deducibilità ivi prevista) all’assegno periodico corrisposto in esecuzione di donazione modale.
Più in particolare, l’Ufficio contesta, innanzitutto, la natura di donazione modale dell’atto di liberalità intercorso tra COGNOME NOME NOME COGNOME NOME, in quanto esso avrebbe dato luogo ad una doppia donazione, della farmacia e del credito oggetto del modus ); tuttavia, non vi sono dubbi che, nella fattispecie in esame, siamo in presenza di una donazione modale, in quanto la genitrice della contribuente ha donato l’azienda -farmacia, ponendo l’onere di corrispondere una somma pari al 50% del va lore; l’onere sussiste, anche se il relativo credito è stato ceduto dalla donante all’altro figlio (fratello della donataria), perché, comunque, ai fini della configurazione del modus rileva l’obbligo di prestazione, indipendentemente dal beneficiario della stessa.
In secondo luogo, l’RAGIONE_SOCIALE contesta la natura periodica dei pagamenti oggetto del modus ; s econdo l’Ufficio , in particolare, l’art. 10, comma 1, lett. d ) d.P.R. n. 917/1986 si applica soltanto agli obblighi ‘necessariamente’ periodici, quali rendite perpetue e rendite vitalizie con finalità reddituale, e non riguarderebbe, invece, normali obbligazioni oggetto di pagamento rateale.
Sul punto, deve tuttavia rilevarsi, innanzitutto, che l’art. 10, comma 1, lett. d ), cit. non fa riferimento a particolare tipologie di assegni periodici, e quindi riguarda anche i normali pagamenti rateali effettuati in esecuzione di una donazione
modale. La disposizione suddetta, infatti, non richiede che sia necessariamente istituita una rendita vitalizia, essendo sufficiente la previsione di un pagamento con carattere di periodicità, predeterminata dalle parti. La volontà del contenuto ed il tenore del contratto sono stati valutati dal giudice di merito -con apprezzamento di fatto insindacabile in questa sede -che ha ritenuto che la volontà RAGIONE_SOCIALE parti (pagamento della somma di € 100.000,00 il giorno successivo al trasferimento della farmacia; € 100.000,00 entro trenta giorni dall’inizio della nuova gestione; € 210.135,23 in 60 rate mensili scadenti il 25 di ogni mese) fosse evidentemente quella di garantire, per un certo arco di tempo, un’entrata periodica al beneficiario.
Consegue il rigetto del ricorso.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza della ricorrente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Rilevato che risulta soccombenza parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica il d.P.R. 30 gennaio 2002, n. 115, art. 13, comma 1quater .
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna l’RAGIONE_SOCIALE alla rifusione, in favore RAGIONE_SOCIALE controricorrenti, RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio, che si liquidano in € 4.100,00 cadauno per compensi, oltre 15% per rimborso spese generali, C.A.P. ed I.V.A.
Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2024 .