Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30631 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 30631 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 20/11/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17586/2017 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE DELLO RAGIONE_SOCIALE (P_IVA) che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE NAPOLI n. 512/2017 depositata il 23/01/2017.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME. Udite come ‘infra’ le conclusion i del Pubblico Ministero e RAGIONE_SOCIALE parti.
FATTI DI CAUSA
In punto di fatto, dagli atti di causa (sentenza in epigrafe; ricorso per cassazione e controricorso), si evince che RAGIONE_SOCIALE era stata sottoposta a verifica fiscale, esitata in PVC della Guardia di Finanza di Napoli, in recepimento del quale, l’Ufficio di Napoli dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, con avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, considerata l’irreperibilità della documentazione contabile, determinava induttivamente ex art. 39, comma 2, DPR n. 600 del 1973, in relazione all’a.i. 2005, un maggior reddito d’impresa, con conseguenti recuperi ai fini RAGIONE_SOCIALE imposte sia dirette che indirette, oltre interessi e sanzioni.
La società – di cui COGNOME NOME (‘ soggetto a cui sin dall’inizio direttamente o indirettamente è riconducibile la proprietà della società, come tra l’altro dallo stesso dichiarato in data 25/09/2013, attraverso la riferibilità RAGIONE_SOCIALE quote societarie o alla moglie COGNOME NOME a società di cui aveva il possesso della titolarità o di parte RAGIONE_SOCIALE quote ‘: p. 3 ric.) aveva ricoperto la carica di amministratore unico dal 12 dicembre 2001 al 9 ottobre 2009, allorquando, a seguito di delibera assembleare straordinaria, giusta processo verbale notarile iscritto nel registro RAGIONE_SOCIALE imprese il 20 ottobre 2009, gli subentrava il cittadino rumeno COGNOME NOME , con contestuale trasferimento della sede dalla INDIRIZZO Napoli alla INDIRIZZO di Arienzo – era cessata dal 22 dicembre 2009, a seguito di ulteriore trasferimento della sede – dall’Ufficio ritenuto fittizio – dalla predetta INDIRIZZO di Arienzo in Romania (precisamente, all’indirizzo di NOME
INDIRIZZO, rivelatosi l’ultimo domicilio noto del COGNOME, tuttavia colà, come anche in Italia, irreperibile).
L’avviso era notificato sia al COGNOME, nella qualità di ‘ legale rappresentante e rappresentante di fatto ‘ sia al COGNOME, nella qualità di (ultimo) legale rappresentante (pp. 1 e 4 ric.; p. 3 controric.).
Il COGNOME impugnava l’avviso innanzi alla CTP di Napoli, la quale, con sentenza n. 27865/2015 del 17 dicembre 2015, accoglieva il ricorso, ritenendo che fosse ‘ intervenuta la decadenza di cui all’art. 43 del DPR n. 600/73. L’avviso di accertamento oggetto di impugnazione come notificato il 17 febbraio 2015, ha integrato e modificato e modificato quello che aveva riguardato dichiarazione annuale NUMERO_DOCUMENTO – relativo all’anno d’imposta 2005 – come notificato il 27 luglio 2009; pur interpretando la citata norma nel senso che il termine di quattro anni va raddoppiato in presenza di fattispecie avente rilevanza penale , l’avviso di accertamento andava notificato nel termine perentorio di otto anni, dunque entro il 31 dicembre 2014 e non il 17 febbraio 2015 ‘.
L’Ufficio proponeva appello, rigettato dalla CTR della Campania, con la sentenza in epigrafe, osservando, in motivazione, che, ‘ il ricorrente, nel motivo rubricato al numero 2 dell’atto introduttivo del giudizio, ha espressamente eccepito intervenuta decadenza ai sensi dell’art. 43 del D.Lgs. n. 600/73 . Orbene, il fatto che l’avviso di accertamento in questione sia stato notificato in data 17.02.15, quindi oltre il termine perentorio di otto anni dall’anno d’imposta 2005 non è stato contestato dalla parte appellante, che erroneamente deduce il vizio di ultrapetizione della sentenza gravata, giacché l’eccezione di carenza di legittimazione passiva era soltanto uno dei profili di rito – ma non l’unico – sollevato dal ricorrente Sig. COGNOME NOME ‘.
Propone ricorso per cassazione l’RAGIONE_SOCIALE con due motivi, cui resiste il COGNOME con controricorso. Il Pubblico Ministero presso questa Suprema Corte, in persona del AVV_NOTAIO, giusta requisitoria scritta del 18 giugno 2025, conclude per l’accoglimento del ricorso.
All’odierna pubblica udienza, dopo breve discussione, il Pubblico Ministero, in persona del medesimo AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, reitera le conclusioni come innanzi; i difensori RAGIONE_SOCIALE parti, nelle persone dell’AVV_NOTAIO, per l’Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza dell’RAGIONE_SOCIALE, e dell’AVV_NOTAIO, in rappresentanza del contribuente, si riportano alle rispettive conclusioni come in atti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve rilevarsi che manifestamente infondate sono le eccezioni di inammissibilità del ricorso formulate in controricorso.
1.1. Invero il ricorso – a differenza di quanto affermato in controricorso -non si affida affatto alla tecnica della mera fotocopiatura e spillatura di atti e documenti di causa, atteso che le fotoriproduzioni introdottevi rispondono, finanche dichiaratamente, all’esigenza di assolvere all’onere di autosufficienza. Esso, esposti sinteticamente ma chiaramente i fatti rilevanti e lo svolgimento del giudizio, con essenziale indicazione di documenti ed atti, si articola in motivi tutti autonomamente e compiutamente rubricati e formulati, enucleando con precisione le violazioni in tesi affliggenti la sentenza impugnata, a loro volta ragguagliate a consoni paradigmi censori.
Può ora procedersi alla disamina dei motivi, che, per comunanza di censure, possono essere enunciati e trattati congiuntamente.
Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 53, comma 1, D.Lgs. n. 546 del 1992, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per avere la sentenza impugnata erroneamente negato l’esistenza di specifico motivo d’appello agenziale volto a contestare la legittimità della sentenza di primo grado in punto di ritenuta tardività dell’accertamento.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 43 DPR n. 600 del 1973 in combinato disposto con l’art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 128 del 2015, giacché ‘ all’appello l’Ufficio aveva allegato l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO intestato al signor NOME, con l’avviso di ricevimento della raccomandata sul quale è stampigliata la data del 31.12.2014, la busta e la distinta di consegna postale ‘. Tali documenti sono fotoriprodotti. A termini dell’art. 2, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 128 del 2015, per gli atti notificati antecedentemente al 2 settembre 2015, il raddoppio dei termini di accertamento opera anche quando la denuncia di reato sia stata presentata o trasmessa oltre il termine ordinario.
Entrambi i motivi sono fondati, ai sensi di cui alla motivazione a seguire.
5.1. Lo è il primo.
5.2. L’RAGIONE_SOCIALE offre la dimostrazione d’aver espressamente avversato, e documentalmente criticato, nell’atto d’appello, l’affermazione della sentenza di primo grado relativa alla maturata decadenza dal potere di accertamento per inosservanza, ‘in limine’, finanche del termine raddoppiato ottennale: ragion per cui del tutto erroneo è l’assunto della sentenza impugnata secondo cui ‘ il fatto ‘ della tardività dell’accertamento ‘ non è stato contestato ‘.
5.3. Ciò detto, mette conto di precisare – a confutazione RAGIONE_SOCIALE pur pregevoli difese spiegate dal contribuente in controricorso, volte a paventare la contraddittorietà della posizione agenziale perché, ‘ se fosse valida la notifica fatta all’effettivo amministratore non si comprende allora a quale fine sarebbe stata ulteriormente eseguita una notifica a carico del COGNOME ‘ (p. 15) che l’avviso di accertamento per cui è causa attinge il COGNOME personalmente, nella qualità di ‘ legale rappresentante e rappresentante di fatto ‘, per violazioni al medesimo direttamente riferibili quale ‘dominus’ della società, sia nel periodo in cui era ‘ legale rappresentante ‘, ossia dal 12 dicembre 2001 al 9 ottobre 2009, sia nel periodo successivo, in cui ha formalmente dismesso la carica in favore del mero prestanome COGNOME, ma ha seguitato ad agire quale ‘ rappresentante di fatto ‘: tanto più che, nella prospettazione agenziale complessivamente riguardata (siccome riassunta nel primo motivo), al medesimo era altresì imputabile la proprietà della società (dapprima detenuta per il tramite della moglie e di società interposte, dappoi per il tramite dello stesso COGNOME, cui, in aggiunta ai poteri amministrativi, era stata altresì trasferita la titolarità RAGIONE_SOCIALE quote).
5.4. In relazione ad un contesto di tal fatta, sovviene quanto recentemente questa Suprema Corte ha avuto modo di precisare in una sentenza di ampio respiro sistematico sulla responsabilità del ‘dominus’, non solo per le sanzioni ex art. 7 d.l. n. 269 del 2003 (giusta approdi ormai consolidati in giurisprudenza: cfr., da ult., Cass. n. 29038 del 2021), ma per l’interezza del debito tributario, comprensivo di imposte, sia dirette che indirette, e sanzioni. Il riferimento cade sull’insegnamento, che il Collegio espressamente ribadisce e condivide, impartito da Cass. n. 1358 del 2023, secondo cui, in tema di accertamento nei confronti di chi abbia gestito ‘uti dominus’ una società di capitali, ridotta a mero schermo, si determina, ai sensi dell’art. 37, comma 3, DPR n. 600 1973, una
vera e propria traslazione in capo al medesimo del reddito d’impresa, con il necessario seguito del debito d’imposta considerato ‘in blocco’. Segnatamente, in motivazione, parr. 2.4 ss., p. 7 ss., la sentenza citata osserva che:
2.4. l meccanismo che, nel nostro ordinamento, mira a riallineare l’attività svolta da un altro soggetto sull’effettivo percettore dei redditi è quello previsto dall’art. 37, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 che dispone: «In sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona».
2.4.1. La norma prevede che l’Ufficio possa utilizzare elementi indiziari, dotati di pregnanza presuntiva, al fine di accertare il fatto costitutivo dell’imposizione tributaria rappresentato dal possesso effettivo di un reddito «per interposta persona».
2.4.2. Giova sottolineare che, come costantemente ribadito dalla Corte, ai fini del soddisfacimento dell’onere probatorio dell’Ufficio, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità, con riferimento a una connessione probabile di accadimenti in base a regole di esperienza (Cass. n. 13807 del 22/05/2019; Cass. n. 4168 del 21/02/2018; Cass. n. 17833 del 19/07/2017; Cass. n. 25129 del 7/12/2016; già Cass. S.U. n. 9961 del 13/11/1996).
2.4.3. L’oggetto della prova incombente sull’Amministrazione finanziaria, peraltro, non attiene agli elementi costitutivi dell’interposizione ma solo – come precisa la norma – che «egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona»: la funzione della norma, dunque, è quella di evitare che il contribuente (effettivo possessore) si sottragga al prelievo occultando all’Amministrazione finanziaria la propria identità di contribuente, ricorrendo a interposizioni negoziali tali da attribuire a terzi il possesso del reddito.
2.4.4. In altri termini, il possesso del reddito «per interposta persona» costituisce il fatto ignoto oggetto della prova logica a carico dell’Ufficio, quale elemento che lega il reddito prodotto dal soggetto interposto al titolare effettivo: la rilevanza dell’effettivo possesso del reddito rispetto alla sua titolarità formale sancisce la prevalenza della sostanza (possesso del reddito) sulla forma (titolarità del reddito) e della realtà sull’apparenza, dovendosi individuare non la natura fittizia o ingannevole della titolarità del reddito, bensì l’effettività dell’esercizio del possesso del reddito a prescindere dalla sua formale titolarità .
2.4.6. Nel caso di reddito d’impresa ha rilievo, di norma, la figura dell’amministratore di fatto del soggetto imprenditoriale formalmente titolare del reddito (i.e. la società); tuttavia, tale ruolo, per assumere incidenza, deve «assumere una particolare pregnanza al fine di integrare la presunzione del possesso del reddito perché deve essere tale da comportare la traslazione del reddito realizzato dall’ente collettivo percettore interposto nel suo complesso (e, quindi, anche ai fini Irap e Iva) al soggetto persona fisica interponente come se fosse stato prodotto da quest’ultimo» (così Cass. n. 5276 del 2022, cit.).
2.4.7. Ciò significa che la posizione dell’interponente non è quella di mero gestore dell’ente collettivo – condizione che, in quanto tale, sarebbe significativa ai fini reddituali solo nelle società di persone interposte e, in caso di socio, a fondamento del maggior reddito da partecipazione ai fini Irpef – ma di soggetto che disponga uti dominus RAGIONE_SOCIALE risorse del soggetto interposto.
2.4.8. Come si è osservato, del resto, nell’ipotesi in questione, «si configura, in relazione all’interponente, una fattispecie simile a quella della RAGIONE_SOCIALE, ossia di chi eserciti professionalmente con stabile organizzazione, l’indirizzo, il controllo e il coordinamento RAGIONE_SOCIALE società (Cass., Sez. I, 26 febbraio 1990, n. 1439; Cass., Sez. I, 16 gennaio 1999, n. 405; Cass., Sez. I, 9 agosto 2002, n. 12113; Cass., Sez. I, 13 marzo 2003, n. 3724; Cass., Sez. U., 29 novembre 2006, n. 25275; Cass., Sez. I, 6 marzo 2017, n. 5520; Cass., Sez. I, 3 giugno 2020, n. 10495)» (così, sempre la già citata Cass. n. 5276 del 2022).
2.4.9. Ne deriva che, in tale ipotesi, la prova che incombe sull’Amministrazione finanziaria ha ad oggetto il totale asservimento della società interposta all’interponente, tale, quindi, da dimostrare: a) la relazione di fatto tra l’interponente e la fonte del reddito del soggetto imprenditoriale interposto; b) che il primo sia l’effettivo possessore dei redditi formalmente intestati alla società.
5.5. Così inquadrato l’accertamento che ha colpito il COGNOME, in punto di riflessi sulla ‘quaestio’ della tempestività del relativo avviso spiegati dalla notifica dell’avviso al COGNOME rileva avere questa Suprema Corte già reiteratamente affermato che ‘ la tempestiva notifica della cartella di pagamento nei confronti di uno dei condebitori, sebbene inidonea a pregiudicare le posizioni
soggettive degli altri obbligati in solido, impedisce che si produca nei confronti degli stessi la decadenza di cui all’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, in quanto, in materia tributaria, a differenza di quella civile, trova applicazione, anche in detta ipotesi, l’art. 1310, comma 1, c.c., sebbene dettato in tema di prescrizione, in ragione della specialità della relativa disciplina procedimentale, trattandosi di attività di diritto pubblico regolata da norme proprie ‘ (Cass. nn. 20766 del 2021; 2545 del 2018).
Pertanto, generalizzando, è possibile ricavare il principio per cui, la notifica di un avviso di un atto impositivo, e segnatamente di un avviso di accertamento, validamente eseguita ad uno dei coobbligati impedisce la decadenza dell’Amministrazione finanziaria nei confronti anche degli altri.
5.6. Quanto, poi, alla notifica dell’avviso al COGNOME – che il ricorso riferisce effettuata per posta mediante invio addì 31 dicembre 2014, ancorché perfezionata per compiuta giacenza nel 2015 -rileva che, ‘ in tema di accertamento tributario, è tempestiva la notifica del relativo avviso a mezzo del servizio postale, quando l’atto sia stato spedito prima dello spirare del termine a tal fine fissato dalla legge, a nulla rilevando che la consegna al destinatario sia avvenuta successivamente, poiché il principio secondo cui gli effetti della notificazione si producono per il notificante al momento della consegna del piego all’ufficiale giudiziario (ovvero al personale del servizio postale) e per il destinatario al momento della ricezione dell’atto, ha carattere generale e trova applicazione non soltanto con riferimento agli atti processuali, ma anche in relazione agli atti di imposizione tributaria ‘ (Cass. n. 33277 del 2019): ciò, evidentemente, sotto condizione che la notifica si sia perfezionata.
5.7. Infine – così trascorrendosi al secondo motivo, parimenti fondato – anzitutto v’è da osservare che, stando all’incontestata
narrativa del ricorso (p. 5), ‘ la società risultava responsabile del reato di distruzione e occultamento RAGIONE_SOCIALE scritture contabili obbligatorie (i Sigg. COGNOME e COGNOME venivano a tal fine denunciati all’Autorità Giudiziaria: fatto indicato a pagina 3 dell’avviso di accertamento agli atti del fascicolo processuale) ‘.
5.7.1. Fermo ciò, per un verso, rileva che, ‘ in tema di termini di decadenza dell’accertamento tributario, previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e dall’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, sugli atti impositivi notificati alla data del 2 settembre 2015 non incidono le modifiche apportate dapprima dai commi 1 e 2 dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che hanno escluso l’operatività del raddoppio quando la denuncia sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui ai commi precedenti, nonché quelle apportate dai commi 130 e 131 dell’art. 1 della l. n. 208 del 2015, che hanno determinato il venir meno della disciplina sul raddoppio, poiché la disposizione transitoria contenuta nell’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 128 del 2015 fa espressamente salvi gli effetti degli avvisi di accertamento notificati alla predetta data, mentre ai sensi dell’art. 1, comma 132, della l. n. 208 del 2015 le modifiche recate dai commi 130 e 131 si applicano esclusivamente agli avvisi relativi al periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2016 e ai periodi successivi ‘ (Cass. n. 25191 del 2024); per altro verso, rileva che ‘ il raddoppio dei termini, nel testo vigente ratione temporis, consegue al mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p., indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, anche se l’azione penale non è perseguita o è intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di condanna ‘ (Cass. n. 600 del 2025).
In definitiva, in integrale accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, per nuovo esame e per le spese, comprese quelle del grado.
P.Q.M.
In integrale accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 10 settembre 2025.
Il Consigliere relatore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME