Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3473 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3473 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 36604/2019 R.G. proposto da : COGNOME NOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persone del Direttore generale pro tempore, ex lege domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della CALABRIA – SEZ.DIST. REGGIO CALABRIA n. 3033/2019 depositata il 06/09/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/01/2025 dal Co: NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Amministrazione finanziaria notificava alla contribuente, presso il suo domicilio fiscale indicato nelle dichiarazioni dei redditi, un avviso di accertamento con cui veniva ripreso a tassazione, ex art. 67 TUIR, il reddito diverso derivante da plusvalenza per cessione di terreno. Stante la mancata impugnazione dell’atto impositivo, l’Ufficio notificava la cartella esattoriale, invece impugnata dalla contribuente che si doleva della mancata notifica dell’atto presupposto trasmesso ad un indirizzo diverso d a quello dell’abitazione della ricorrente, oltre a censurare il merito della pretesa.
La CTP accoglieva il gravame sul presupposto che la nullità della notifica dell’avviso di accertamento si riverberasse sulla ritualità della notifica della cartella esattoriale.
Ricorreva in appello l’Ufficio, mentre rimaneva intimata la contribuente.
La CTR riformava la decisione di primo grado ritenendo invece valida la notifica dell’avviso di accertamento presso il domicilio fiscale indicato nelle dichiarazioni dei redditi, comprovata dalla copia della ricevuta di ritorno versata in atti dall’Ufficio .
Invoca la cassazione della sentenza la contribuente con ricorso affidato a due motivi, cui replica l’Avvocatura generale dello Stato con controricorso.
CONSIDERATO
Vengono proposti due motivi di ricorso.
In via preliminare va dichiarata l’inammissibilità de l controricorso erariale perché notificato oltre i termini di legge. Il ricorso è invero stato notificato in data 18.11.2019 mentre il controricorso è stato notificato solo il successivo 12.02.2020 e quindi ben oltre il termine di legge.
Con il primo motivo di ricorso la contribuente denunzia violazione dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. in ragione della mancata notifica
dell’avviso di ricevimento con conseguente nullità o invalidità della cartella impugnata.
In sintesi, critica la sentenza per non aver la CTR considerato che la notifica dell’avviso di accertamento avrebbe dovuto essere eseguita presso il domicilio indicato nell’atto da cui era promanato l’accertamento e non anche nel domicilio fiscale comunica to all’Amministrazione finanziaria, come indicato nelle dichiarazioni dei redditi.
Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo.
È inammissibile perché nuovo. Infatti «la questione sollevata risulta infatti essere posta per la prima volta davanti questa Corte, non facendone menzione la sentenza impugnata (nella esposizione delle censure svolte dai ricorrenti ovvero nella trattazione dei medesimi) e non specificando d’altro canto i ricorrenti nel ricorso di averla fatta valere nei precedenti gradi di giudizio (v. al riguardo Cass. 32804/2019, per cui “qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa”).» (Cfr. Cass., VI, n. 26147/2021).
Nella fattispecie in esame non risulta che la censura fosse stata svolta dalla ricorrente nel primo grado di merito.
Parimenti esso è inammissibile perché non reca alcuna norma da assumersi come asseritamente violata, essendosi per vero la contribuente limitata ad affermare che la notifica avrebbe dovuto essere eseguita presso il domicilio indicato dall’atto. Nel dedurre tale
censura, invero, la ricorrente non ha indicato alcuna fonte normativa da cui ricavare tale precetto.
È stato infatti affermato che «il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa, condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cod. proc. civ. (Cass. 14/05/2018, n. 11603).» (Cfr. Cass., V, n. 28611/2024).
Con il secondo motivo di censura la parte ricorrente lamenta l’erroneo riferimento in sentenza agli artt. 139 e 140 c.p.c. ritenendolo inconferente.
Con motivo non svolto in parametro ad un numero di cui all’art. 360 c.p.c., la parte contribuente afferma che ‘ il vulnus dell’omessa notifica o dell’invalidità non inerisce alla alternatività tra residenza e domicilio eletto nella dichiarazione dei redditi, bensì fa riferimento alla nullità o invalidità della notifica su un atto presupposto ‘, quasi a voler sostenere che la questione del luogo della notificazione non sia il fulcro della censura rivolta alla procedura di notificazione.
Il motivo va respinto.
Orbene, va premesso che la procedura di notificazione, le cui modalità sono stabilite normativamente, ha la funzione di portare a conoscenza del destinatario il contenuto di un determinato atto, effetto questo che riveste particolare rilievo in ambito tributario laddove la notificazione concerne un atto che contiene una pretesa impositiva.
E in subiecta materia è stato affermato che «l’art. 60, primo comma, lett. c) , del d.P.R. n. 600 del 1973 stabilisce che, «salvo il caso di consegna dell’atto o dell’avviso in mani proprie, la notificazione deve essere fatta nel domicilio fiscale del destinatario» e l’art. 58, primo
comma, dello stesso d.P.R. n. 600 del 1973, a sua volta, dopo avere stabilito che agli effetti dell’applicazione delle imposte sui redditi ogni soggetto si intende domiciliato in un comune dello Stato, prevede, al secondo comma, che le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato «hanno il domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe sono iscritte», mentre quelle non residenti «hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più comuni, nel comune in cui si è prodotto il reddito più elevato». Anche se, in linea generale, ai fini della notificazione si deve avere riguardo alle risultanze anagrafiche che riguardano il contribuente destinatario dell’atto, non può sottacersi che il terzo comma dello stesso art. 60, alla cui stregua «le variazioni e le modificazioni di indirizzo risultanti dai registri anagrafici “hanno effetto” ai fini delle notificazioni, dal trentesimo giorno successivo a quello dell’avvenuta variazione anagrafica», non può condurre a ritenere che l’Ufficio finanziario sia onerato, prima di notificare un atto al contribuente, del controllo, mediante una verifica sui registri anagrafici, dell’attualità dell’indicazione della residenza contenuta nella dichiarazione dei redditi, né che detta indicazione sia priva di effetti ai fini della notifica degli atti tributari. Tale conclusione, come chiarito da questa Corte (Cass., sez. 6-5, 21/07/2015, n. 15258; Cass., sez. 5, 14/12/2016, n. 25680), renderebbe del tutto priva di scopo l’indicazione della residenza nella dichiarazione dei redditi, prevista dal quarto comma dell’art. 58 del d.P.R. n. 600 del 1973 (che recita: «negli atti, contratti, denunzie e dichiarazioni che vengono presentate agli uffici finanziari deve essere indicato il comune di domicilio fiscale delle parti, con la precisazione dell’indirizzo solo ove espressamente richiesto») e, soprattutto, non si porrebbe in linea con l’univoco indirizzo di questa Corte secondo cui l’indicazione, nella dichiarazione dei redditi, della propria residenza, o, comunque, di un domicilio diverso da quello di residenza, deve essere effettuata in buona fede, nel rispetto del principio dell’affidamento che deve
conformare la condotta di entrambi i soggetti del rapporto tributario (Cass., sez. 5, 10/05/2013, n. 11170; Cass., sez. 6-5, 21/07/2015, n. 15258; Cass., sez. 5, 29/11/2013, n. 26715, nella quale ultima si legge che «ai sensi del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 58, al dovere del contribuente di dichiarare un determinato domicilio o sede fiscale ed un determinato rappresentante legale, non corrisponde l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di verificare e controllare l’attualità e l’esattezza del domicilio eletto»). Le considerazioni esposte impongono dunque di tenere nettamente distinta l’ipotesi del cambio di residenza da quella di una originaria difformità tra la residenza anagrafica e quella indicata nella dichiarazione dei redditi. Infatti, in quest’ultimo caso, questa Corte ha ripetutamente ribadito la validità della notifica effettuata presso il domicilio indicato nella dichiarazione dei redditi, e ciò anche quando il perfezionamento della notifica sia avvenuto tramite il meccanismo della compiuta giacenza dell’atto, nonostante tale indicazione sia difforme rispetto alle risultanze anagrafiche (Cass., sez. 6-5, 21/07/2015, n. 15258; Cass., sez. 5, 14/12/2016, n. 25680; Cass., sez. 6-5, 10/04/2018, n. 8747; Cass., sez. 5, 15/05/2019, n. 12905; Cass., sez. 65, 10/10/2019, n. 25450)…. Alla luce del quadro normativo sopra delineato e della lettura delle medesime disposizioni normative operata da questa Corte, non è utile invocare la modifica del primo comma dell’art. 60, primo comma, lett. d), introdotta dall’art. 38, comma 4, lett. a), n. 2 del d.l. n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010, che ha eliminato la facoltà di far dipendere l’elezione di domicilio espressamente dalla dichiarazione dei redditi annuale, facendola dipendere da apposita comunicazione effettuata al Comune a mezzo di lettera raccomandata con avviso di accertamento ovvero in via telematica con modalità stabilite con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate. Infatti, la disposizione invocata, come modificata, riguardante la facoltà riconosciuta al contribuente di
eleggere domicilio presso una persona o un ufficio nel comune del proprio domicilio fiscale per la notificazione degli atti che lo riguardano, ha solo diversamente disciplinato tale facoltà, escludendo che essa debba risultare espressamente dalla dichiarazione dei redditi e richiedendo apposita comunicazione effettuata al competente ufficio a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento.» (cfr. Cass., V, n. 20017/2021).
Come accertato dalla CTR, e non contestato come circostanza di fatto dalla ricorrente, nella dichiarazione dei redditi Mod. 730 presentata per l’anno 2005 e sino al 2009, il domicilio indicato dalla contribuente era sito in Palmi, alla INDIRIZZO ancorché diverso da quello ove era ubicata la sua abitazione, sita in INDIRIZZO Risulta altresì accertato dalla CTR che l’Agenzia delle entrate abbia effettuato la notifica d ell’avviso di accertamento presso il ridetto domicilio fiscale indicato dichiarazione e che costituiva, per l’Amministrazione finanziaria, l’unico recapito conosciuto per procedere alla notifica dell’atto impositivo, cosicché tale indicazione, in difetto d i diversa comunicazione, non poteva che equivalere ad elezione di domicilio all’indirizzo indicato in dichiarazione. Cosi come rimane accertamento in fatto incontrastato l’avvenuto espletamento da parte del notificatore di tutte le formalità previste dalla legge.
Il ricorso è pertanto inammissibile e tale va dichiarato.
Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, stante la tardività del controricorso erariale.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili il ricorso e il controricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso, in Roma, il 22/01/2025.