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Domicilio digitale: notifica valida a PEC del ReGindE

La Cassazione stabilisce che la notifica di un atto di appello è valida se inviata al domicilio digitale dell’avvocato risultante dai pubblici registri (ReGindE), anche se diverso da quello precedentemente indicato. L’Agenzia Fiscale aveva notificato un appello a una PEC aggiornata del difensore di una società importatrice, e la Corte ha ritenuto tale notifica legittima, superando l’eccezione di inammissibilità e chiarendo l’importanza del domicilio digitale nel processo telematico.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Domicilio digitale e notifiche: vale l’indirizzo PEC del registro pubblico

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha chiarito un punto fondamentale nel processo telematico: la validità delle notifiche effettuate al domicilio digitale dell’avvocato. La Corte ha stabilito che la notifica inviata all’indirizzo PEC risultante dai pubblici registri, come il ReGindE, è pienamente valida, anche se il difensore aveva indicato un diverso indirizzo nell’atto di elezione di domicilio. Questa pronuncia consolida il ruolo centrale e l’affidabilità dei registri pubblici nel contesto della giustizia digitale.

Il caso: una notifica contestata

La vicenda trae origine da un contenzioso tributario tra l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e una società importatrice. La società aveva impugnato un avviso di accertamento per maggiori diritti doganali, ottenendo una sentenza favorevole in primo grado.

L’Agenzia Fiscale proponeva appello, ma la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado lo dichiarava inammissibile. Il motivo? La notifica dell’appello era stata eseguita a un indirizzo PEC del difensore della società diverso da quello che lo stesso avvocato aveva indicato negli atti del primo giudizio. L’Agenzia, infatti, aveva utilizzato l’indirizzo PEC aggiornato presente nei registri pubblici (ReGindE), che nel frattempo era cambiato.

Di fronte a questa decisione, l’Agenzia ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo la piena validità della notifica effettuata al domicilio digitale ufficiale del difensore.

La decisione della Cassazione sul domicilio digitale

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia Fiscale, ribaltando la decisione di secondo grado. I giudici hanno affermato un principio cruciale per la gestione delle notifiche telematiche.

Il principio “ex lege” del domicilio digitale

La Corte ha spiegato che il cosiddetto domicilio digitale, ovvero l’indirizzo PEC iscritto nei pubblici registri, è attivo “ex lege”, cioè per diretta previsione di legge. Questo indirizzo si aggiunge all’indirizzo fisico e rappresenta una modalità di notifica alternativa e di pari valore. Chi deve notificare un atto ha la facoltà di scegliere, a sua discrezione, se utilizzare l’indirizzo fisico o quello digitale.

L’indirizzo dei registri pubblici prevale

Il punto centrale della decisione è che non sussiste alcun obbligo per il difensore di indicare il proprio indirizzo PEC aggiornato in ogni atto del processo. Essendo un dato pubblico e consultabile da chiunque attraverso registri come il ReGindE, si presume che sia sempre conoscibile. Di conseguenza, la notifica effettuata a tale indirizzo è valida ed efficace, anche se negli atti precedenti era stato indicato un indirizzo PEC diverso, rivelatosi poi non più attuale.

Le motivazioni della Corte

La Cassazione ha motivato la sua decisione basandosi sull’evoluzione normativa che ha progressivamente eliminato la necessità di indicare l’indirizzo PEC negli atti giudiziari. Questa evoluzione è coerente con la completa “telematizzazione” del processo, dove i dati pubblici e certificati assumono un ruolo centrale e garantiscono certezza e affidabilità. Affermare il contrario significherebbe porre un onere ingiustificato sulla parte notificante e vanificare l’efficacia dei registri pubblici, creati appositamente per garantire l’identificazione certa del domicilio digitale dei professionisti.

Le conclusioni e le implicazioni pratiche

In conclusione, la Corte ha stabilito che non è invalida la notificazione dell’atto di impugnazione effettuata all’indirizzo di posta elettronica del procuratore risultante, al momento della notifica, dai pubblici registri. Non è di ostacolo il fatto che la parte, nell’eleggere domicilio presso il difensore, avesse indicato un diverso indirizzo PEC, rivelatosi non più attuale. La sentenza è stata quindi cassata con rinvio alla corte di secondo grado, che dovrà decidere nel merito dell’appello. Questa ordinanza rafforza la certezza giuridica nel processo telematico, confermando che il domicilio digitale ufficiale è sempre un recapito valido e affidabile per le notificazioni.

È valida una notifica inviata a un indirizzo PEC diverso da quello eletto nel primo grado di giudizio?
Sì, la notifica è valida a condizione che sia stata inviata all’indirizzo PEC del difensore risultante dai pubblici registri (come il ReGindE) al momento della notificazione. Questo indirizzo, definito domicilio digitale, è considerato valido “ex lege” e alternativo a quello eletto.

L’avvocato è obbligato a indicare il proprio domicilio digitale in ogni atto del processo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non sussiste alcun obbligo per il difensore di indicare il proprio indirizzo PEC in ogni atto, poiché si tratta di un dato già risultante dai pubblici registri e, quindi, conoscibile da chiunque.

Cosa succede se l’indirizzo PEC eletto come domicilio non è più attuale?
La parte che notifica può legittimamente utilizzare l’indirizzo PEC aggiornato presente nei pubblici registri. La notifica a tale indirizzo sarà considerata valida ed efficace, poiché il domicilio digitale risultante dai registri ufficiali prevale su un’indicazione precedente non più attuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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