Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2605 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2605 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16986/2021 R.G. proposto da :
NOME COGNOME domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di C.T.R. della Campania n. 117/2021 depositata il 11/01/2021.
e sul ricorso iscritto al n. 11881/2022 R.G. proposto da :
NOME COGNOME domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
CONTRO
AGENZIA DELLE ENTRATE,
-intimata- avverso SENTENZA di C.T.R. della Campania n. 2080/2022 depositata il 25/02/2022 Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/12/2024
dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME impugna la sentenza della C.T.R. della Campania n.117/2021 con la quale è stata riformata la sentenza della C.T.P. di Napoli di annullamento dell’avviso di accertamento con cui, ai fini IRPEF, il reddito della contribuente era rideterminato in euro 342.301,00 di cui euro 332.267,00 per spese per incrementi patrimoniali, con conseguente maggior imposta pari ad euro 146.611,00.
La C.T.R. dà preliminarmente atto che l’accertamento si era focalizzato sulle spese sostenute dalla contribuente- nella misura di euro 332.267,00per finanziare l’acquisto di un immobile da parte della società RAGIONE_SOCIALE, di cui
ella era socia con quota del 20%. Indi riporta che avverso detto atto impositivo NOME COGNOME aveva proposto ricorso deducendo: la nullità dell’avviso di accertamento per difetto di sottoscrizione; la violazione dell’art. 38 d.P.R. 600/1973 in relazione all’imputazione degli importi a redditi diversi; l’illegittimità dell’accertamento sintetico, essendo stata dimostrata la fonte della provvista delle somme utilizzate; l’insussistenza di maggiori redditi in presenza della prova documentale dell’erogazione di un prestito, mediante bonifici. Premette, altresì, che la C.T.P. aveva accolto il ricorso, affermando che la disponibilità finanziaria delle somme era derivata da erogazione di somme di denaro a titolo di prestito, disposte dalla Cina, da una parente del marito della ricorrente, dovendo, pertanto escludersene la natura reddituale. La C.T.R. accoglie l’appello, rilevando la legittimità dell’accertamento sintetico e l’assenza di una prova documentale idonea a vincere la presunzione di cui all’art. 38 d.P.R. 600/1973. In particolare, ritiene privi di valore probatorio, in quanto non attendibili, gli atti redatti in lingua cinese, non corredati di perizia giurata che ne asseveri la traduzione. Parimenti considera gli atti provenienti dal notaio cinese inidonei ad attestare la veridicità delle dichiarazioni rilasciate dalla banca cinese, inerenti al saldo del conto corrente del soggetto che ha fornito la provvista, avuto riguardo al fatto che il notaio si limita ad attestare la conformità della copia all’originale, mentre ritiene essere rimasta priva di prova l’allegazione della contribuente sull’obbligo del notaio di verificare la veridicità di quanto dichiarato dalle parti, non risultando ciò, in ogni caso, dalla documentazione notarile prodotta. Essendo, pertanto, la dimostrazione della provenienza della provvista utilizzata dalla contribuente per l’acquisto dell’immobile affidata unicamente alle dichiarazioni di una parente del marito, che quella provvista avrebbe fornito, ed
essendo riconosciuto alla dichiarazione extraprocessuale del terzo il valore di mero indizio, in assenza di altri utili elementi di prova, ritiene non vinta la presunzione iuris tantum di sproporzione della spesa rispetto al reddito dichiarato da NOME COGNOME.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
La ricorrente con memoria ex art. 380 bis c.p.c. fa presente di avere proposto ricorso per cassazione avverso la decisione di rigetto della revocazione della sentenza di appello qui impugnata, fissato per l’udienza odierna, e chiede la riunione dei due procedimenti, affinché il secondo venga esaminato per primo, per ragioni di pregiudizialità.
Con separato ricorso NOME COGNOME impugna, infatti, la sentenza della C.T.R. della Campania (n. 2080/2022), con la quale è stata rigettata la domanda di revocazione della sentenza della C.T.R. di Napoli (n. 117/2021).
La C.T.R., rigettando il ricorso per revocazione, precisa che il vizio dedotto quale errore percettivo, consistente nell’avere il giudice per errore o svista ritenuto che i documenti prodotti dalla parte appellante non fossero muniti di asseverazione della traduzione e dei timbri di legalizzazione, è, in realtà un errore valutativo, ponendosi al di fuori del perimetro dell’art. 395, n. 4 c.p.c.. Quindi, entrando comunque nel merito della vicenda, ritiene legittimo il ricorso all’accertamento sintetico ex art. 38 commi 4 e segg. d.P.R. 600/1973, motivato l’atto di accertamento e inidonee le prove dedotte dalla contribuente a vincere la presunzione posta dalla legge a favore dell’Ufficio.
L’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata.
Con memoria del 6 novembre 2024 la parte ricorrente, ribadite le conclusioni assunte, chiede disporsi la riunione del
procedimento iscritto al n. 11881/2022 al procedimento iscritto al n.16986/2021.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va, preliminarmente disposta la riunione del procedimento iscritto al n. 11881/2022 al presente procedimento iscritto al n.16986/2021. E’ stato chiarito da questa Corte, infatti, che ‘I ricorsi per cassazione contro la decisione di appello e contro quella che decide l’impugnazione per revocazione avverso la prima vanno riuniti in caso di contemporanea pendenza in sede di legittimità nonostante si tratti di due gravami aventi ad oggetto distinti provvedimenti, atteso che la connessione esistente tra le due pronunce giustifica l’applicazione analogica dell’art. 335 c.p.c., potendo risultare determinante sul ricorso per cassazione contro la sentenza di appello l’esito di quello riguardante la sentenza di revocazione. (Cass. n. 21315 del 06/07/2022)
Con il ricorso formulato avverso la sentenza che rigetta la domanda di revocazione della sentenza della C.T.R. di Napoli n. 117/2021, la parte ricorrente formula due motivi.
Con il primo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c. la violazione dell’art. 36, comma 2 n. 4 d.lgs 546/1992. Sostiene che la sentenza impugnata sia solo apparentemente motivata, non avendo la C.T.R. indicato le ragioni per le quali ha escluso il vizio revocatorio, rendendo impossibile comprenderne l’iter logico-giuridico.
Il motivo è manifestamente infondato.
4.1 In proposito, è’ stato recentemente precisato (Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023), che gli estremi della nullità della sentenza per vizio della motivazione, denunciabili ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ., possono dirsi integrati quando «non sia possibile individuare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua
comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione», ciò non essendo, nondimeno, configurabile nel caso di «una pur succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione impugnata» (cfr. Sez. 3, Ordinanza del 15 novembre 2019, n. 29721). Ovvero qualora la motivazione «risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile)» (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 16611 del 25/06/2018). Mentre, «costituisce ius receptum il principio secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre solo allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo d.lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata » (Sez. 6-5, 8 giugno 2022, n. 26477, in motivazione).
4.2 Ora, la lettura della sentenza impugnata consente di escludere che la medesima sia affetta dai vizi denunciati. Ed invero, la motivazione, la di là della sua correttezza (su cui infra ), non solo è esistente, ma è articolata in modo tale da permettere di riscostruirne e comprenderne il fondamento. Il giudice della revocazione, infatti, richiamata la più recente giurisprudenza di legittimità (Sez. U, Ordinanza del 3/11/2020
24382) sulle caratteristiche dell’errore revocatorio, ha ritenuto che la sentenza oggetto di decisione non fosse frutto di un errore percettivo -per non essersi il giudice avveduto che i documenti erano corredati di traduzione giurata e di legalizzazionequanto piuttosto di un errore valutativo eventualmente consistito nel non attribuire a quei documenti valenza probatoria idonea ad assolvere l’onere incombente sul contribuente. In questo senso il giudice della revocazione ha ritenuto di poter qualificare l’errore denunciato come ‘errore di diritto’ e non di fatto, come tale non inquadrabile nei vizi denunciabili ai sensi dell’art. 395 comma 4 c.p.c..
5. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 64 d.lgs. 546/1992 e dell’art. 395, n. 4 c.p.c.. Osserva che con il ricorso per revocazione la contribuente aveva dedotto l’errore di fatto commesso dal giudice di secondo grado, il quale aveva sostenuto, in chiaro contrasto con le risultanze dei documenti prodotti, che i medesimi fossero privi di traduzione giurata, su ciò fondando la decisione laddove, invece, essi ne erano dotati, oltre ad essere corredati del timbro di legalizzazione che ne asseverava la traduzione. In particolare, ricorda che erano stati prodotti: la dichiarazione della sig.ra NOME COGNOME ricevuta da notaio cinese in data 17 luglio 2018; la certificazione del rapporto di parentela tra la sig.ra COGNOME ed il marito della ricorrente, rilasciata da notaio cinese; il certificato di matrimonio fra la sig.ra COGNOME ed il sig. NOME COGNOME, autenticato da notaio cinese; il certificato attestante il rapporto di parentela tra NOME COGNOME e la ricorrente, rilasciato da notaio cinese; il certificato della Banca di Cina relativo al conto corrente intestato a Huang Yuanhong, autenticato da notaio cinese. Tutti siffatti documenti sono stati tradotti in lingua italiana e riportano in calce il timbro del Consolato generale di Italia a Shanghai, con il quale si
attesta la corrispondenza del testo tradotto al testo cinese. Rileva che gli ulteriori due documenti aventi contenuto normativo, e precisamente, l’estratto della legge notarile della Repubblica popolare Cinese ed il regolamento sulle restrizioni al trasferimento dei capitali all’estero, sono tradotti in italiano e riportano in calce il verbale di giuramento del traduttore. Rileva che nessuna contestazione in ordine alla traduzione dei documenti è stata mai sollevata dall’Ufficio. Sottolinea che l’errore commesso dal giudice di appello è decisivo, avendo il medesimo disconosciuto il valore probatorio della documentazione estera in lingua cinese prodotta dalla contribuente a dimostrazione dell’infondatezza della pretesa tributaria.
5.1. Il motivo è infondato.
5.2. La sentenza di cui si chiede la revocazione, infatti, afferma che ‘ la valenza dimostrativa della documentazione prodotta dal ricorrete (e tesa a dimostrare la provenienza della provvista e la capacità reddituale de soggetto erogante il prestito) sia inficiata da un intrinseco difetto di attendibilità, trattandosi di atti redatti con ideogrammi cinesi e tradotti in lingua italiana senza alcuna formalità, ovvero senza una perizia giurata che ne asseveri la corrispondenza con il testo italiano così come tradotto con quello originario redatto in lingua straniera. In sostanza difetta (…) la ragionevole certezza che la versione in lingua italiana dei documenti corrisponda nei contenuti a quanto scritto nel testo originario’.
5.3. Non pare, infatti, che la C.T.R. abbia ignorato che i documenti fossero dotati di traduzione, avendo, invece, semplicemente ritenuto che la medesima non rivestisse i caratteri di affidabilità richiesti per fondare il convincimento, indipendentemente dalla forma rivestita dalla traduzione. Ed invero, la sentenza, anche con riferimento agli altri documenti,
denominati ‘certificazioni di stato’ assume che essi sono privi di valore probatorio, in quanto il notaio si sarebbe limitato ad attestare che l’originale era conforme alla copia, senza che ciò assuma nessun significato in ordine alla veridicità delle attestazioni rilasciate dalla banca in ordine al saldo di conto corrente del marito della sig.ra COGNOME che avrebbe fornito la provvista per l’acquisto dell’immobile da parte della ricorrente.
L’impugnazione della sentenza di rigetto della domanda di revocazione deve, dunque, essere respinta, avendo il giudice correttamente ritenuto che l’errore non fosse percettivo, ma valutativo. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese per il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata.
Con il ricorso avverso la sentenza resa dalla C.T.R., in grado di appello (n. 117/2021), la ricorrente formula sette motivi di impugnazione.
Con il primo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 33 d.P.R. 445/2000, per avere la C.T.R. erroneamente affermato il difetto di formalità/attendibilità dei documenti formati in Cina, prodotti dalla contribuente, pur essendo i medesimi muniti in calce dei timbri di legalizzazione del competente Consolato italiano a Shanghai, e pertanto dotati di validità ed efficacia per lo Stato italiano. Ricorda che l’art. 33, commi 2 e 3 del d.P.R. 445/2000 prevede che le firme sugli atti formati all’estero da autorità straniere sono legalizzate dalle rappresentanze diplomatiche e consolari all’estero e che agli atti e documenti redatti in lingua straniera deve essere allegata una traduzione in lingua italiana certificata conforme al testo straniero dalla competente rappresentanza diplomatica o consolare. Assume che i documenti prodotti sono muniti di duplice legalizzazione, essendo corredati dalla conformità della traduzione italiana al testo originale cinese e della firma del notaio che ha redatto o ricevuto l’atto. Del pari sono muniti di
traduzione giurata l’estratto della legge notarile cinese ed il regolamento sulle restrizioni al trasferimento di denaro dalla Repubblica popolare Cinese.
Con il secondo motivo si duole, ex art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c. della violazione dell’art. 115, comma 1 c.p.c., in relazione alla non contestazione della conformità della traduzione dei documenti stranieri prodotti. Sottolinea che l’Ufficio non ha formulato alcuna contestazione sulla conformità della traduzione né dei documenti notarili, né dell’estratto della legge notarile cinese e del regolamento sul trasferimento dei fondi.
Con il terzo motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., in ordine all’erronea esclusione del valore probatorio del certificato bancario prodotto dalla ricorrente. Rileva che il giudice di appello ha illogicamente negato valore probatorio al certificato bancario relativo al saldo di conto corrente della famiglia della sig.ra COGNOME affermando che ‘ il presunto notaio cinese si è limitato ad attestare solo che l’originale è conforme alla fotocopia allegata e che l’originale è autentico; ne discende che dalla ipotetica certificazione notarile non può trarsi alcuna certezza in ordine all’attendibilità delle attestazioni asseritamente rilasciate dalla banca in merito al saldo di conto corrente del marito della Bao, atteso che sul punto il notaio non ha effettuato alcun accertamento’ . Sostiene che il certificato proveniente da banca estera ha valore equiparabile ad un estratto conto e rappresenta, in assenza di elementi di segno contrario, una valida prova presuntiva della capacità patrimoniale del soggetto che ha fornito la provvista di denaro.
Con il quarto motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 115 c.p.c., per non avere la C.T.R.
tenuto conto della non contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate del fatto risultante dal certificato bancario prodotto.
Con il quinto motivo lamenta, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 14 l. 218/1995, per aver sostenuto di non poter accertare se la legge notarile cinese, allegata dalla ricorrente, preveda effettivamente che il notaio sia tenuto a verificare la veridicità di quanto dichiarato dalle parti in sua presenza, stante l’impossibilità di reperire su fonti aperte ‘la presunta legge notarile allegata’ dalla contribuente in modo da ‘poterne verificare il contenuto’. Osserva che l’art. 14, comma 2 della l. 218/1995, in tema di accertamento della legge straniera dispone che il giudice ‘si avvale di qualsiasi mezzo, anche informale, valorizzando il ruolo attivo delle parti come strumento utile per la relativa acquisizione’. Sottolinea l’errore commesso dalla C.T.R. perché, diversamente da quanto affermato in sentenza, la legge cinese prevede che il notaio sia tenuto ad attestare la veridicità delle dichiarazioni ricevute o dei fatti oggetto di certificazione.
Con il sesto motivo denuncia, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., per avere la sentenza impugnata omesso la valutazione analitica e complessiva del compendio probatorio offerto dalla ricorrente. Assume che il giudice di appello ha esaminato solo singolarmente ciascuna delle prove offerte, rivolte nel loro complesso a dimostrare la prova del prestito ricevuto dalla contribuente, omettendo, peraltro, di valutare complessivamente: la dichiarazione (cui la sentenza fa solo cenno) della sig.ra COGNOME che attesta di avere concesso un prestito senza interessi a Hu Changjie, per l’acquisto di un immobile in Italia; l’estratto conto della ricorrente dell’ultimo trimestre 2013, dal quale emerge la causale dei nove bonifici ricevuti dalla sig.ra COGNOME il cui numero è giustificato dal
regolamento cinese inerente alle restrizioni quantitative di trasferimento di denaro all’estero; il rapporto di parentela intercorrente fra la sig.ra COGNOME ed il marito della ricorrente; l’ampia disponibilità economica della famiglia della sig.ra COGNOME il certificato della Banca di Cina attestante le disponibilità economiche della famiglia della sig.ra COGNOME
Con il settimo motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c., l’omesso esame di fatti secondari dedotti dalla ricorrente, dai quali la C.T.R. avrebbe dovuto trarre idonea prova contraria, da ritenersi decisivi, in quanto comprovanti la concessione del prestito e quindi la natura non reddituale delle somme utilizzate.
Il primo ed il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono fondati.
15.1. Va, in primo luogo, ricordato che ‘Ai sensi degli artt. 122 e 123 c.p.c., applicabili ex art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992 al giudizio tributario, anche in quest’ultimo, come in quello civile, la lingua italiana è obbligatoria per gli atti processuali in senso proprio e non per i documenti prodotti dalle parti che, se redatti in lingua straniera, devono pertanto ritenersi acquisiti ed utilizzabili ai fini della decisione, avendo il giudice la facoltà, ma non l’obbligo, di procedere alla nomina di un traduttore, del quale può fare a meno allorché sia in grado di comprendere il significato degli stessi documenti, o qualora non vi siano contestazioni sul loro contenuto o sulla loro traduzione giurata allegata dalla parte’ (Sez. 5, Sentenza n. 33079 del 09/11/2022).
D’altro canto è proprio ‘con la produzione del documento in lingua straniera che la parte assolve all’onere di comprovare le proprie allegazioni difensive, mentre la traduzione, che può essere disposta dal giudice ai sensi dell’art. 123 c.p.c. senza previsione di termini, è incombente meramente accessorio e
facoltativo che si colloca al di fuori dell’area delle attività processuali finalizzate alla definizione del thema decidendum e del thema probandum , soggette a termini perentori’ (Sez. 1, Ordinanza n. 12365 del 18/05/2018).
15.2. Ne discende che laddove il giudice non sia in grado di comprendere la lingua straniera in cui il documento è redatto, e non riponga fiducia nella traduzione offerta dalla parte, ha l’onere di provvedere alla nomina di un traduttore, non potendo semplicemente svilire il significato probatorio degli atti offerti in prova, senza accertare il loro contenuto. Peraltro, allorquando manchi qualsivoglia contestazione in ordine alla conformità della traduzione del documento redatto in lingua straniera, non è consentito al giudice sostituirsi alla parte interessata a contestarla, ciò violando il principio dispositivo della prova.
15.3. La pronuncia qui impugnata, invece, pur a fronte della mancata contestazione delle traduzioni e della loro legalizzazione ed infatti l’Agenzia delle Entrate in replica ai motivi in esame si difende assumendo che si tratti di questioni di merito non valutabili in sede di legittimità, ma non afferma affatto di avere contestato la conformità delle traduzioni o la loro legalizzazione- neppure prende in considerazione il contenuto dei documenti prodotti, su cui non si sofferma, accontentandosi di dubitare della corrispondenza fra il testo tradotto e quello originario. Mentre, per risolvere un simile dubbio -la cui motivazione resta oscura, avuto riguardo alla legalizzazione consolare delle traduzioni- avrebbe in ogni caso potuto e dovuto nominare un traduttore.
Va accolto, altresì, il quinto motivo di ricorso, che assorbe il terzo ed il quarto.
16.1 La sentenza, infatti, commette un significativo errore di diritto allorquando, nel negare aprioristicamente il valore
probatorio delle attestazioni notarili in ordine alla veridicità non solo della conformità delle copie all’originale, ma dell’attendibilità stessa della documentazione che ne forma oggetto, si limita ad affermare che ‘improduttivi sono stati i tentativi di ricercare su fonti aperte la presunta legge notarile allegata dall’appellato, si da poterne verificare il contenuto’.
16.2 L’art. 14 della l. 31 maggio 1995 n. 218, richiamato dalla ricorrente, stabilisce che ‘1. L’accertamento della legge straniera è compiuto d’ufficio dal giudice. A tal fine questi può avvalersi, oltre che degli strumenti indicati dalle convenzioni internazionali, di informazioni acquisite per il tramite del Ministero di grazia e giustizia; può altresì interpellare esperti o istituzioni specializzate. 2. Qualora il giudice non riesca ad accertare la legge straniera indicata, neanche con l’aiuto delle parti, applica la legge richiamata mediante altri criteri di collegamento eventualmente previsti per la medesima ipotesi normativa. In mancanza si applica la legge italiana’.
16.3 Ora, sebbene la disposizione non sia di diretta applicazione nella fattispecie in esame -posto che in questo caso non si tratta di determinare la disciplina applicabile ad un rapporto giuridico recante elementi di estraneità, ma di determinare il valore di un documento formato all’estero -nondimeno, essa indica il percorso che il giudice deve seguire per ricercare la fonte normativa, non potendosi certo trincerare dietro la non reperibilità ‘su fonti aperte’ (non meglio identificate dalla C.T.R.).
16.4 D’altro canto, la semplice richiesta alla competente autorità diplomatica, avrebbe ben potuto consentire di dirimere i dubbi sull’esistenza e sul contenuto della legge regolante il potere notarile ed il contenuto degli atti notarili nella Repubblica popolare Cinese, posto che, comunque, la contribuente aveva
assolto l’onere su di lei gravante producendo il testo normativo e la sua traduzione giurata.
Né può ritenersi che siffatto adempimento esuli dai poteri del giudice tributario, avuto riguardo al disposto dell’art. 7 del d.lgs 546/1992.
Questa Sezione ha, invero, chiarito che ‘Nel processo tributario, il potere del giudice di disporre d’ufficio l’acquisizione di mezzi di prova non può essere utilizzato per supplire a carenze delle parti nell’assolvimento dell’onere probatorio a proprio carico, ma solo, in situazioni di oggettiva incertezza, in funzione integrativa degli elementi istruttori in atti. (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 16171 del 19/06/2018; Sez. 5, Ordinanza n. 27827 del 31/10/2018; Sez. 5, Ordinanza n. 16476 del 31/07/2020).
Si tratta di un principio che ben si attaglia ad un’ipotesi come quella in esame, nella quale la parte interessata ha prodotto un testo normativo, con traduzione legalizzata, rispetto alla quale, nell’incertezza sulla effettiva provenienza, il giudice avrebbe dovuto esercitare i poteri officiosi attribuitigli dalla legge, a mezzo di un’interrogazione delle autorità diplomatiche e consolari.
Gli ulteriori motivi sono assorbiti.
In accoglimento del primo, del secondo e del quinto motivo di ricorso iscritto al n.16986/2021, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, cui è rimessa anche la liquidazione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Riunito al ricorso iscritto al n.r.g.16896/2021 il ricorso iscritto al nrg. 11881/2022, rigetta quest’ultimo proposto avverso la sentenza della C.T.R. della Campania n. 2080/2022 del 25 febbraio 2022;
in accoglimento del primo, del secondo e del quinto motivo del ricorso iscritto al n.r.g. 16986/2021, proposto avverso la sentenza della C.T.R. della Campania n. 117/2021 del 11 gennaio 2021, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui rimette altresì la liquidazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, con riferimento al ricorso iscritto al n.r.g. 11881/2022 avverso la sentenza della C.T.R. della Campania n. 2080/2022 del 25 febbraio 2022, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2024.