Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16625 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16625 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/06/2025
Oggetto: IRAP ed IRPEF 2012 – Avviso di accertamento – Maggiori aggi – Deposito documenti nuovi in appello.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17424/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale rilasciata su foglio separato ed allegato al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore, sito in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 753/13/2021, depositata in data 5 febbraio 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Il ricorrente, esercente l’attività di commercio al dettaglio di generi di monopolio (tabaccheria), impugnava innanzi alla
Commissione tributaria provinciale di Roma (d’ora in poi, per brevità, CTP) l’avviso di accertamento n. TK7011203446/2017, afferente l’anno di imposta 201 2, con il quale l’Agenzia delle entrate recuperava a tassazione, per quanto qui ancora rilevi, gli aggi percepiti da soggetti come AAMS – Amministrazione Monopoli di Stato, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE. Nello specifico, l’Ufficio accertava la percezione di aggi pari ad € 222.994,59, in luogo di quelli dichiarati (€ 54.522,00), rideterminando i ricavi in € 168.472,59, ed il reddito imponibile in € 200.845,00, a fronte di quello dichiarato dal contribuente in € 32.372,00.
Il ricorrente eccepiva, per quanto qui ancora rilevi, la nullità dell’avviso di accertamento, motivato per relationem ad atti non allegati (in particolare, alle informative degli enti che avevano corrisposto gli aggi).
La CTP accoglieva il ricorso per la violazione dell’art. 42 d.P.R. n. 600/1973.
L’Ufficio interponeva gravame alla Commissione tributaria regionale del Lazio (d’ora in poi per brevità CTR) chiedendone l’integrale riforma. Depositava, ex art. 58 d.lgs. n. 546/1992, le comunicazioni degli enti pagatori.
La CTR riformava la sentenza di primo grado, ritenendo, da un lato, ammissibile la documentazione depositata dall’Ufficio solo in appello, e, dall’altro, legittimo l’avviso di accertamento impugnato.
Per la cassazione della citata sentenza il contribuente ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo. L ‘Ufficio resiste con controricorso.
Il ricorso è stato, quindi, fissato per l’adunanza camerale del 21/03/2025.
Considerato che:
Con l’unico motivo il contribuente lamenta la «violazione dell’art. 42, comma 2° -ultima parte, del d.P.R. n. 600/73 e dell’art.7
della legge n. 212/2000, con falsa applicazione dell’art. 58 comma 2 del d.lgs. n. 546/1992».
La CTR avrebbe erroneamente ritenuto ammissibile l’integrazione della motivazione dell’avviso impugnato in sede contenziosa, ovvero con documentazione depositata solo in appello, in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte formatasi sul punto.
Sotto altro aspetto, il contribuente afferma che gli atti richiamati nell’avviso di accertamento (ma allo stesso non allegati; cd. atti/motivazione) non possono essere depositati in grado di appello, riferendosi l’art. 58 del d.lgs. n. 546/1992 ai cd. documenti/prova; diversamente opinando si consentirebbe una sanatoria della nullità dell’avviso ex post , ovvero in sede contenziosa.
Il motivo è infondato.
È noto che l’avviso di accertamento deve essere motivato ed indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste a fondamento della pretesa tributaria; se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama (art. 7 l. 212/2000, nella formulazione applicabile ratione temporis ).
L’art. 58 (rubricato ‘nuove prove in appello’), comma 2, d.lgs. n. 546/1992, nella versione applicabile ratione temporis , prevede che ‘è fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti’.
È netta, nella giurisprudenza di questa Corte, la distinzione tra la motivazione dell’atto impositivo e la prova dei fatti posti a fondamento dello stesso: l’esistenza di una adeguata motivazione del primo non implica anche la prova dei fatti sui quali essa si regge: diverse ed entrambe essenziali essendo le funzioni che l’una (motivazione dell’atto) e l’altra (prova dei fatti che ne sono posti a fondamento) sono dirette ad assolvere (da ultimo, Cass. 25/03/2024, n. 8016). Mentre infatti la motivazione dell’avviso di accertamento o di rettifica, presidiata dall’art. 7 della legge 27 luglio
2000, n. 212, ha la funzione di delimitare l’ambito delle contestazioni proponibili dall’Ufficio nel successivo giudizio di merito e di mettere il contribuente in grado di conoscere l’ an ed il quantum della pretesa tributaria al fine di approntare una idonea difesa, sicché il corrispondente obbligo deve ritenersi assolto con l’enunciazione dei presupposti adottati e delle relative risultanze; la prova attiene al diverso piano del fondamento sostanziale della pretesa tributaria ed al suo accertamento in giudizio in presenza di specifiche contestazioni dello stesso, sicché in definitiva tra l’una e l’altra corre la stessa differenza concettuale che vi è tra allegazione di un fatto costituivo della pretesa fatta valere in giudizio e prova del fatto medesimo ( ex multis , Cass. del 07/05/2014, n. 9810; Cass. 20/01/2016, n. 955, in ipotesi in cui il pvc non era stato allegato all’avviso di accertamento, ed è stata ritenuta non raggiunta la prova dei fatti costitutivi della pretesa).
2.1. Circa la possibilità di allegare in giudizio gli atti richiamati ( per relationem ) nell’avviso di accertamento, ma non allegati allo stesso, questa Corte ha affermato, con riferimento al processo verbale di constatazione , che questo può essere prodotto dall’Ufficio per la prima volta in appello, quando esso sia «a supporto di pretese e considerazioni già svolte, e non a caso in primo grado il contribuente si è doluto della mancata conoscenza dei documenti posti alla base dell’accertamento» (Cass. 28/06/2018, n. 17164).
Più recentemente (Cass. 22/04/2024, n. 10788) si è affermato che il PVC ha una valenza ancipite rispetto all’avviso di accertamento che su di esso si fondi: da un lato, il PVC pone anzitutto una questione di completezza motivazionale, anche ‘ per relationem ‘, dell’avviso e, quindi, di pienezza del contraddittorio in merito alle ragioni dell’accertamento fondanti, in tutto o in parte, sugli esiti delle indagini rassegnate nel PVC. Ne offre conferma il fatto che si insegna che ‘anche con riferimento agli atti notificati dopo l’entrata in vigore della legge 27 luglio 2000, n. 212, va confermato il principio secondo cui dal mancato deposito del processo verbale non deriva
l’inammissibilità del ricorso, che è prevista dal primo comma dell’art. 22 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per i soli atti ivi indicati ‘ (Cass. 20/10/2010, n. 21509) e che ‘ nel caso in cui il PVC è allegato all’atto impositivo ma non è prodotto in giudizio, il giudice può disporne l’acquisizione (anche ex art. 22, commi 4 e 5, d.lgs. n. 546 del 1992, senza che ciò implichi esercizio dei poteri di integrazione probatoria ex art. 7, comma 1, del medesimo decreto), trattandosi di attività preordinata alla completezza del provvedimento impositivo già in atti, funzionale all’integrazione del contraddittorio su di esso; nel caso, invece, in cui l’atto impositivo trascrive parti del PVC o si limita a richiamarlo, il giudice di merito, con onere di motivazione sul punto, dovrà verificare se tali circostanze integrano, eventualmente anche con agli altri elementi acquisiti al giudizio, indizi che non consentono di condurre ad una decisione ragionata e, dunque, impongano l’esercizio del potere di integrazione probatoria ex art 7 cit.’ ( Cass. 11/05/2021, n. 12383).
Dall’altro lato, il PVC pone però poi anche una questione istruttoria. La giurisprudenza insegna, infatti, anche che, ‘libero l’Ufficio di motivare ‘per relationem’, ma non fino al punto che poi il contribuente debba provare ‘accusa e difesa’. In altri termini, la tecnic a della redazione della motivazione non incide sull’onere della prova. L’Ufficio può anche motivare in maniera indiretta, ma poi, dinanzi al giudice, in quanto attore in senso sostanziale, deve fornire la prova del proprio assunto’ (così , in motivazione, Cass. 21509/2010 cit.).
2.2. Detta allegazione, si è precisato, può avvenire anche per la prima volta in appello, in virtù dell’art. 58, comma 2, d.lgs. n. 546/1992: i n generale, nel processo tributario di appello le parti possono produrre qualsiasi documento, pur se già loro disponibile in precedenza (Cass. 06/11/2015 n. 22776); la Corte non ignora una risalente pronuncia secondo cui questa produzione nuova potrebbe avvenire solo se non ha l’effetto di allargare l’oggetto del contendere rispetto a quello di primo grado, in quanto la produzione non
potrebbe essere esercitata in contrasto con l’art. 57 d.lgs. n. 546/1992 il quale, escludendo l’introduzione di eccezioni e tematiche nuove, non consente l’ampliamento della materia del contendere neppure attraverso la produzione di nuovi documenti (Cass. 21/01/2009 n. 1464); nondimeno va tenuto conto anche della sentenza n. 199 del 2017 della Corte Costituzionale sulla legittimità costituzionale dell’art. 58 comma 2° d.lgs. n. 546/1992, resa su ordinanza sollevata dalla CTR Campania. Il giudice remittente, tra l’altro, ha dubitato proprio della costituzionalità della facoltà di produrre per la prima volta in appello documenti già nella disponibilità della parte nel grado anteriore, per disparità di trattamento tra le parti del giudizio, ed in quanto impedirebbe artatamente alla controparte la proposizione di motivi aggiunti in primo grado. La Consulta ha ritenuto nel merito non fondata la censura di disparità di trattamento tra le parti del giudizio, non solo in quanto tale facoltà è riconosciuta ad entrambe le parti del giudizio, ma anche in quanto non sussiste alcuna violazione dell’art. 24 Cost. per la dedotta perdita di un grado di giudizio, in quanto è giurisprudenza pacifica di questa Corte che la garanzia del doppio grado non gode, di per sé, di copertura costituzionale (Corte Cost., sentenza n. 243 del 2014). Né, ha ribadito la Consulta, esiste un principio costituzionale di necessaria uniformità del processo tributario e di quello civile (tra le altre, ordinanze n. 316 del 2008, n. 303 del 2002, n. 8 del 1999).
L’applicazione dell’art. 58 va poi coordinata, in ragione del richiamo operato dall’art. 61 d.lgs. n. 546/92 alle norme sul processo di primo grado, con il combinato disposto degli artt. 22, 23, 24 e 32, da cui si evince che il deposito dei documenti nuovi in appello può avvenire, a pena di decadenza, nel rispetto del principio di difesa e del contraddittorio, anche in occasione del deposito di memorie successive e, comunque, sino a venti giorni liberi prima della data di trattazione del ricorso (Cass. 2015 n.3361; Cass. 2013
n.26741), per consentire al contribuente di replicare e contestare tempestivamente.
2.3. Ciò posto in termini generali, deve ritenersi che le comunicazioni degli enti pagatori, depositate dall’Ufficio solo in grado di appello, investano solo il profilo probatorio della pretesa avanzata dall’Agenzia delle entrate, essendo a supporto di quella pretesa (non a caso in primo grado il contribuente si è doluto della mancata conoscenza dei documenti richiamati nell’avviso di accertamento). Pertanto, correttamente la CTR ha ritenuto il deposito dei detti documenti ammissibile ex art. 58 d.lgs. n. 546/1992.
Il ricorso va, quindi, rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Non può essere, infine, accolta la richiesta, formulata in termini assai generici dalla controricorrente, di condanna del contribuente al pagamento delle spese per responsabilità aggravata ex art. 96 cod. proc. civ..
Sussistono, infine, i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna NOME COGNOME al pagamento, in favore della Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore , delle spese processuali che si liquidano in complessivi euro 5.500,00 oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 marzo 2025.