Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20195 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20195 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16714/2016 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente-
contro
FALLIMENTO DELLA RAGIONE_SOCIALE, in persona del curatore, elettivamente domiciliato in Roma al INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA PUGLIA n. 154/2016 depositata, il 22 gennaio 2016;
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 18 giugno 2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale di Bari dell’Agenzia delle Entrate notifica va al Fallimento della RAGIONE_SOCIALE, già esercente attività di commercio all’ingrosso di prodotti alimentari, un avviso di accertamento con il quale rideterminava con metodo induttivo cd. puro ex art. 39,
comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973, il reddito d’impresa, il valore della produzione netta e il volume d’affari dalla stessa dichiarati in relazione all’anno 2008, provvedendo alle conseguenti riprese a tassazione ai fini dell’IRES, dell’IRAP e dell’IVA.
L’atto impositivo faceva sèguito alla verifica fiscale condotta dall’Ufficio presso i locali della prefata RAGIONE_SOCIALE il 4 luglio 2011, nel corso della quale il legale rappresentante della società aveva dichiarato di non disporre dei documenti richiesti dagli operatori, e in particolare delle fatture di acquisto e del registro IVA inerenti all’anno d’imposta suindicato, perch é andati distrutti nel corso di un incendio verificatosi in data 19 febbraio 2010.
Il Fallimento contestava la pretesa impositiva proponendo ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Bari, che lo rigettava.
La decisione veniva, però, successivamente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, la quale, con sentenza n. 154/2016 del 22 gennaio 2016, in accoglimento dell’appello della parte soccombente, annullava l’avviso di accertamento impugnato.
A sostegno della pronuncia adottata il collegio regionale osservava che: – dapprima in sede di accertamento con adesione e poi in corso di causa, la contribuente aveva prodotto copia della documentazione che non era stata in grado di esibire durante la verifica fiscale, essendosi nel frattempo diligentemente attivata per ricostruirla; – tale documentazione doveva ritenersi utilizzabile a fini decisori, non applicandosi al caso di specie la previsione recata dall’art. 52, comma 5, del D.P.R. n. 633 del 1972; -le contestazioni mosse sul punto dall’Amministrazione Finanziaria apparivano del tutto generiche.
Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Il Fallimento della RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis. 1 c.p.c..
Il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., sono prospettate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c.
1.1 Si assume che l’impugnata sentenza risulterebbe corredata di una motivazione solo apparente, in quanto sprovvista di un reale apparato argomentativo.
1.2 La doglianza è infondata.
1.3 La motivazione della sentenza in scrutinio è perfettamente intelligibile e consente di cogliere con immediatezza l’ iter logicogiuridico seguìto dal collegio di secondo grado.
1.4 Invero, i giudici regionali hanno, anzitutto, rilevato che la preclusione probatoria posta dall’art. 52, comma 5, del D.P.R. n. 633 del 1972, richiamato dall’art. 33, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973 – non si applica nell’ipotesi in cui la dichiarazione di indisponibilità della documentazione resa dal contribuente nel corso di un accesso corrisponda al vero, indipendentemente dal fatto che detta indisponibilità sia dovuta a caso fortuito o forza maggiore o sia, invece, imputabile a colpa dello stesso contribuente.
1.5 La CTR, inoltre, non ha mancato di precisare che nella descritta situazione non può ritenersi legittimo l’accertamento induttivo, essendo da escludere che il comportamento tenuto dal contribuente si risolva in un «sostanziale rifiuto di esibizione diretto ad impedire l’ispezione documentale» .
1.6 Sùbito dopo la Commissione di appello ha evidenziato che nella fattispecie concreta nessun dubbio poteva sussistere circa la
veridicità della dichiarazione rilasciata dal legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE risultando «pacifico» che, al momento dell’accesso degli operatori presso i locali della società, i documenti di cui questi avevano chiesto l’esibizione non fossero disponibili, per essere andati distrutti a causa di un incendio denunciato all’autorità giudiziaria.
1.7 Da tanto la CTR è pervenuta alla coerente conclusione che i suddetti documenti, costituiti dalla quasi totalità delle fatture di acquisto e dal registro IVA dell’anno 2008, andavano considerati utilizzabili a favore della contribuente, soggiungendo che le contestazioni mosse dall’Ufficio in ordine alla loro attendibilità apparivano del tutto generiche.
1.8 Il percorso argomentativo che sorregge il «decisum» raggiunge pienamente la soglia del cd. «minimo costituzionale» di cui all’art. 111, comma 6, della Carta fondamentale, segnante il limite entro il quale può ancora trovare ingresso il sindacato di legittimità sulla motivazione dei provvedimenti a sèguito della modifica dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. apportata dall’art. 54, comma 1, lettera b), del D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012 (cfr. Cass. Sez. Un. nn. 8053-8054/2014).
Con il secondo motivo, proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., si denunciano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 52, comma 5, del D.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 33, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973.
2.1 Si censura la gravata decisione per aver erroneamente ritenuto utilizzabili i documenti prodotti in giudizio dal Fallimento della RAGIONE_SOCIALE non esibiti dalla società nel corso della verifica fiscale, senza accertare se fosse o meno configurabile la colpa della contribuente nella conservazione dei suddetti documenti.
2.2 Anche questo motivo è infondato.
2.3 L’art. 52, comma 5, del D.P.R. n. 633 del 1972, in tema di IVA, così recita: « I libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata
l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Per rifiuto d’esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione ».
2.4 La citata disposizione normativa si applica anche all’accertamento delle imposte sui redditi, in virtù del rinvio ad essa operato dall’art. 33, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973.
2.5 Per giurisprudenza consolidata di questa Corte, la dichiarazione del contribuente di non possedere libri, registri, scritture e documenti richiestigli in esibizione nel corso di un accesso fiscale (compresi quelli la cui tenuta e conservazione non siano obbligatorie) impedisce di prenderli in considerazione a suo favore, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa, qualora: 1) la dichiarazione non sia veritiera o, più in generale, si concreti in un sostanziale rifiuto di esibizione, accertabile con qualunque mezzo di prova e anche attraverso presunzioni; 2) siano ravvisabili la coscienza e la volontà della dichiarazione stessa; 3) sussista il dolo, costituito dall’intenzione del contribuente di impedire che nel corso dell’accesso possa essere effettuata l’ispezione del documento.
Non integra, pertanto, alcuno dei presupposti applicativi della norma in esame la dichiarazione veridica di indisponibilità del documento, non solo se tale indisponibilità sia ascrivibile a caso fortuito o forza maggiore, ma anche qualora essa sia imputabile a colpa, come, ad esempio, nell’ipotesi di negligenza o imperizia nella custodia e conservazione.
2.6 I suenunciati princìpi di diritto, affermati dalle Sezioni Unite con sentenza n. 45/2000, risolutiva di un contrasto di giurisprudenza, sono stati successivamente ribaditi da numerose pronunce di questa Sezione (cfr., ex ceteris , Cass. n. 27556/2009, Cass. n. 16960/2016, Cass. n. 21798/2022).
2.7 Al riferito insegnamento nomofilattico si è correttamente uniformata la CTR, la quale, accertata in fatto la veridicità della dichiarazione di indisponibilità dei documenti resa dal legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE nel corso dell’accesso eseguito dagli operatori dell’Ufficio presso i locali della società in data 4 luglio 2011, ha ritenuto che i documenti in questione, una volta recuperati, fossero producibili in giudizio e utilizzabili in favore della contribuente ai fini della decisione della controversia.
2.8 Per completezza espositiva, giova segnalare che in alcune pronunce di questa Corte (cfr. Cass. n. 27193/2013, Cass. n. 9745/2015 e Cass. n. 11228/2015, citate dalla stessa ricorrente, nonché, più di recente, Cass. n. 4662/2025) è stato affermato che la preclusione di cui al l’art. 52, comma 5, del D.P.R. n. 633 del 1972 opera anche nell’ipotesi in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere i documenti, o li sottragga all’ispezione, non allo scopo di impedire la verifica, ma per errore non scusabile di diritto o di fatto (dovuto a dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative, ecc.).
2.9 Non è questo, però, il caso di specie, avendo la Commissione di secondo grado riconosciuto veritiera la dichiarazione di indisponibilità dei documenti resa dal legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE né è consentito riesaminare nell’odierna sede processuale la valutazione di merito espressa dai giudici regionali, giacché la denuncia di violazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. non può mai essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 15568/2020, Cass. n. 34817/2022, Cass. n. 16442/2024).
Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto, sulle conformi conclusioni del Pubblico Ministero.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano -avuto riguardo al notevole valore della causa e alle questioni trattate – come in dispositivo.
5. Non deve farsi luogo all’attestazione contemplata dall’art. 13, comma 1quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, essendo l’Agenzia delle Entrate esentata, mediante il meccanismo della prenotazione a debito previsto in favore delle amministrazioni pubbliche ( arg. ex artt. 12, comma 5, del D.L. n. 16 del 2012, convertito in L. n. 44 del 2012, e 158, comma 1, lettera a, del D.P.R. n. 115 del 2002), dal pagamento delle imposte e tasse gravanti sul processo (cfr. Cass. n. 4752/2025, Cass. n. 28204/2024, Cass. n. 27301/2016).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore , al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi euro 9.500,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% e ai dovuti accessori nella misura e sulle voci come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione