Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2477 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 2477 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 02/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 28424/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA
-intimato- avverso la sentenza della C.T.R. del Lazio n. 3062/2016 depositata il 18/05/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentite le parti;
Sentito il P.G. dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
FATTI DI CAUSA
Emerge dalla sentenza impugnata oltre che dagli atti di parte (ricorsi, controricorsi) per il profilo ancora d’interesse che, a seguito di due distinte attività di indagine, svolta dalla Agenzia delle dogane e dalla Guardia di finanza, la società contribuente risultò aver ricoperto il ruolo di soggetto interposto tra il primo cedente nazionale e gli acquirenti finali.
Dall’attività di indagine scaturirono due processi verbali di constatazione, uno redatto il 11.05.2006 e l’altro il 16.12.2009.
Con il primo si contestò alla società l’irregolare tenuta della contabilità mentre con l’altro, per l’anno di imposta 2006, l’infedele dichiarazione ai fini delle imposte dirette per indebita deduzione di costi non inerenti, in quanto non documentati, pari ad euro 10.438.530,00 nonché l’infedele dichiarazione ai fini IVA per IVA indebitamente detratta per un importo complessivo pari ad euro 2.083.506,00.
In relazione al periodo oggetto della verifica il contribuente non esibì alcun libro, registro e/o documento.
In assenza della documentazione prevista, non essendo possibile verificare il requisito dell’inerenza, ex art. 109, comma 5, del d.P.R. n. 917 del 1986 venne recuperato a tassazione l’intero importo dei componenti negativi dichiarati.
Vennero, quindi, accertati un maggior reddito di impresa, un maggior valore della produzione ai fini IRAP e venne recuperata l’IVA indebitamente detratta.
Il contribuente impugnò l’avviso di accertamento e la C .T.P. respinse il ricorso.
Venne quindi interposto appello e la C.T.R. lo respinse.
Il giudice di merito richiamò, analiticamente, le ragioni poste a fondamento della decisione della C.T.P., condividendole e facendole proprie, e concluse per la piena consapevolezza dell’emissione di fatture (soggettivamente) inesistenti da parte della società contribuente.
Si evidenziò inoltre che ‘a fronte di tale impianto motivazionale, affiancato dalla difesa in giudizio dell’Agenzia delle Entrate, le deduzioni dell’appellante non appaiono convincenti. In primo luogo essa afferma che, in tema di IVA, non sussista una responsabilità oggettiva, nel senso che l’Amministrazione è tenuta a dare dimostrazione dell’esistenza di una piena conoscenza, in capo al contribuente accertato, della frode carosello. Tale affermazione di principio, con cui si apre la parte in diritto dell’appello è smentita dagli elementi e dalle argomentazioni in diritto della Commissione tributaria provinciale, sintetizzate in precedenza, dalle quali emerge la sussistenza dell’elemento soggettivo (della conoscenza), contestato all’appellante.
Il secondo motivo, sviluppato da quest’ultima, è quello della interconnessione fra reato ed accertamento tributario, nel senso che quest’ultimo, quanto alla indeducibilità dei costi, presuppone necessariamente la rilevanza penale e l’accertamento in tale sede prima di fare luogo all’applicazione dei provvedimenti tributari de quibus . Anche a questo proposito, sia la difesa dell’Agenzia delle Entrate che il giudice di primo grado hanno chiarito che alcuna preclusione deriva dall’art. 8 del d.l. n. 16/2012, allorché, alla base dell’accertamento, si ponga la circostanza di per sé decisiva -della mancanza delle scritture contabili. Del resto, l’appellante, ribadendo la sua tesi, non svolge alcuna argomentazione decisiva a suo favore, se non riaffermare (come, cioè, aveva fatto in primo grado) che l’indeducibilità sarebbe conseguenza esclusiva dei soli fatti costituenti reato, mentre, come si è visto in precedenza, la sentenza di primo grado ha, del tutto, condivisibilmente, affermato che la mancanza delle risultanze contabile ben poteva giustificare l’indeducibilità dei costi, in quanto, appunto, non contabilizzati, rendendo grandemente elevato il rischio della loro concreta inesistenza.’
Vennero, inoltre, respinte le ulteriori doglianze formulate dalla società ricorrente evidenziandosi, tra le altre cose, in relazione alla detraibilità dell’IVA che ‘la società afferma, puramente e semplicemente, che avrebbe dato la prova della sua buona fede attraverso la produzione di regolari contratti, che escluderebbero la sua conoscenza in ordine alla natura soggettivamente inesistente della RAGIONE_SOCIALE Quello testé esposto (e riportato nell’ordine di trattazione seguito dell’appellante per evidenti ragioni di completezza di esposizione risulta un mero tentativo di giustificare il proprio comportamento, tentativo che, però si rileva insoddisfacente, alla luce delle argomentazioni addotte dal giudice di primo grado….’.
Avverso la prefata sentenza ricorre il contribuente con 3 motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia.
Il Ministero dell’Economia è rimasto intimato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente il ricorso nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, non evocato nel precedente grado di giudizio, è inammissibile, per difetto di legittimazione passiva sostanziale (Cass. 06/12/2017, n. 29183, ex plurimis).
Possono ora trattarsi i singoli motivi di ricorso.
Con il primo motivo si censura la sentenza per violazione degli artt. 52 del d.P.R. n. 633 del 1972, art. 32 del d.P.R n. 600 del 1973, commi 4 e 5 ed art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973.
La sentenza sosterebbe erroneamente la mancanza della documentazione contabile per l’anno 2006, in quanto non esibita ai verificatori.
La documentazione, tuttavia, non sarebbe stata esibita per causa di forza maggiore. Ciò sarebbe agevolmente desumibile dal verbale del processo verbale di constatazione del 16.12.2009 in quanto redatto presso la casa circondariale di Rebibbia ove, all’epoca, si trovava ristretto il legale rappresentante della società NOME COGNOME.
Sicché non trattandosi di rifiuto ai sensi delle disposizioni innanzi invocate, la documentazione contabile, idonea secondo il ricorrente a provare l’inerenza di costi e successivamente esibita nel giudizio di primo grado, avrebbe dovuto essere considerata dal giudice di merito.
3. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012, conv. in l. n. 44 del 2012, dell’art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986 e dell’art. 2697 c.c.
Si evidenzia come le fatture acquisti esibite dalla società contribuente presentino i requisiti richiesti dalle norme innanzi indicate per essere considerate costi deducibili in quanto non si tratta di costi derivanti da delitto non colposo e possiedono altresì i requisiti dell’inerenza, completezza, certezza, determinatezza e determinabilità.
Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 2697 c.c.
Con l’ultimo strumento impugnatorio la società ricorrente si duole del mancato riconoscimento del diritto alla detrazione dell’IVA sugli acquisti nonostante l’ufficio non avesse ottemperato all’onere della prova su di esso gravante, in ordine alla dimostrazione della conoscenza o conoscibilità da parte della stessa, laddove la ricorrente avrebbe dimostrato la propria buona fede.
Il primo motivo del ricorso deve essere respinto in quanto infondato.
Nella sentenza impugnata, infatti, non vi è alcun riferimento alla questione (relativa al tipo di accertamento effettuato) sollevata, né il ricorrente ha localizzato l’atto nel quale egli ha formulato la relativa doglianza, né ancora è stato riportato l’avviso nella parte contestata, e ciò in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c.
Qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di
tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (Cass.n. 32804 del 2019).
Sotto altro profilo deve osservarsi come Cass. n. 21798 del 2022, ha osservato che a norma dell’art. 52, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, perché la dichiarazione, resa dal contribuente nel corso di un accesso, di non possedere libri, registri, scritture e documenti (compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sia obbligatoria), richiestigli in esibizione, determini la preclusione a che gli stessi possano essere presi in considerazione a suo favore ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa, occorrono: 1) la sua non veridicità o, più in generale, il suo concretarsi, in quanto diretta ad impedire l’ispezione del documento, in un sostanziale rifiuto di esibizione, accertabile con qualunque mezzo di prova e anche attraverso presunzioni; 2) la coscienza e la volontà della dichiarazione stessa; 3) il dolo, costituito dalla volontà del contribuente di impedire che, nel corso dell’accesso, possa essere effettuata l’ispezione del documento; pertanto, non integrano i presupposti applicativi della preclusione le dichiarazioni (il cui contenuto corrisponda al vero) dell’indisponibilità del documento, non solo se questa sia ascrivibile a caso fortuito o forza maggiore, ma anche se imputabile a colpa, quale ad esempio la negligenza e imperizia nella custodia e conservazione.
La circostanza che il legale rappresentante fosse detenuto non esclude (sebbene il tema non risulti affrontato in sentenza ma accennato solo nel controricorso) che potesse indicare ove acquisire i documenti, circostanza questa che non risulta prospettata dalla società che si limita a ribadire solo lo stato di detenzione senza dell’amministratore delegato senza nemmeno allegare condotte da parte del legale che potessero escluderne il dolo o la colpa.
6.Respinto il primo motivo, la seconda doglianza, ad esso connesso, è assorbita.
7.Il terzo motivo è inammissibile.
Per consolidato orientamento di legittimità, le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. descrivono i due momenti nei quali si articola il giudizio di diritto, ovvero quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto e quello afferente all’applicazione della norma stessa, una volta correttamente individuata ed interpretata.
Più precisamente, il vizio di violazione di legge consiste nell’inesatta ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e si risolve nella negazione o affermazione erronea dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata, mentre il vizio di falsa applicazione di legge consiste o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista -pur rettamente individuata e interpretata- non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione.
Non rientra, invece, nell’àmbito applicativo dell’evocato paradigma processuale l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, la quale è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Cass. n. 9293/2023, Cass. n. 21844/2022, Cass. n. 14199/2012, Cass. n. 21944/2020).
Va, inoltre, rilevato che, in ossequio all’onere di specificità dei motivi sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., il ricorrente che denunci un simile vizio è tenuto, a pena d’inammissibilità della censura, a indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, a esaminarne il contenuto precettivo e a raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, da richiamare espressamente, onde far risaltare che queste ultime non sono rispettose del precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare -con una ricerca esplorativa officiosa trascendente le sue funzioni- la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (cfr. Cass. n. 19822/2023, Cass. n. 37257/2022, Cass. n. 17567/2022, Cass. n. 8003/2022, Cass. Sez. Un. n. 23745/2020).
Nel caso di specie, la società ricorrente, attraverso l’apparente denuncia della pretesa violazioni di norme di legge e di princìpi di diritto, mira a sollecitare una diversa ricostruzione della quaestio facti rispetto a quella operata dalla C.T.R. e ad ottenere un riesame del materiale probatorio, allo scopo di farne derivare una decisione diversa da quella cui è pervenuto il giudice distrettuale e conforme alle proprie aspettative.
Si tenta, per questa via, di realizzare la surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un non consentito terzo grado di merito (cfr. Cass. n. 12465/2022, Cass. n. 11261/2022, Cass. n. 8758/2017), così totalmente obliterandosi che il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 33186/2023, Cass. n. 32398/2022, Cass. n. 15568/2020, Cass. n. 27475/2019).
In conclusione il ricorso è respinto. Le spese, in favore dell’Agenzia delle Entrate, sono liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dell’Agenzia delle entrate, controricorrente, che liquida in Euro 35.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 22 ottobre 2024