Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20503 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20503 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 24/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12210/2021 R.G. proposto da:
COGNOME, COGNOME, elettivamente domiciliatesi in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE rappresentat e e difese dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, giusta procura in calce al ricorso per cassazione
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-controricorrente-
RAGIONE_SOCIALE. Controlli Ancona
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. MARCHE n. 915/2020 depositata il 26/11/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che
1.Con la sentenza indicata in epigrafe, la CTR delle Marche respingeva il ricorso delle contribuenti ritenendo correttamente applicata la tariffa di cui all’art. 8 lett. c), Parte I, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, in relazione alla sentenza di scioglimento della comunione ereditaria tra le ricorrenti , aggiungendo che le contestazioni relative alla base imponibile da determinarsi in base alla stima del c.t.u. e non a quella del loro perito di parte (valore della massa ereditaria) erano state svolte solo con le memorie difensive in primo grado , a fronte, peraltro, dell’espressa indicazione, contenuta nell’avviso, del valore della massa divisoria . Affermava altresì l’adeguatezza motivazionale dell’avviso opposto , in quanto contenente l’indicazione degli estremi della sentenza, del valore della massa divisoria e della norma di legge applicata.
Avverso detta sentenza, propongono ricorso, affidato a tre motivi, per la sua cassazione NOME e NOME COGNOME, cui replica l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso. Le ricorrenti hanno depositato memori a difensiva in prossimità dell’udienza, illustrando i motivi del ricorso.
CONSIDERATO CHE
La prima censura deduce .
Nell’illustrazione del motivo, oltre a dedurre la violazione della norma rubricata, le ricorrenti lamentano l’erronea determinazione
del valore della massa ereditaria, quale base imponibile per la determinazione della imposta di registro, in quanto riferita al valore stimato dal perito di parte anziché a quello determinato dal c.t.u. nel giudizio divisionale, reiterando le difese svolte nel giudizio di merito ed evidenziando che le predette eccezioni erano state svolte già con il ricorso originario, contrariamente a quanto statuito dai giudici di appello. Sotto la rubrica di detto motivo si denuncia, altresì, , affermando che la sentenza si sarebbe limitata a ritenere irrilevante la omessa trascrizione della sentenza di scioglimento della comunione e dell’attestazione del suo passaggio in giudicato, citando gli artt. 3 e 8 del d.P.R. 131/1986 cit.
Con riferimento al dedotto travisamento dei fatti, si lamenta che il decidente abbia erroneamente affermato che la censura relativa alla base imponibile – da individuarsi nella stima effettuata dal c.t.u. nominato nel giudizio di scioglimento della comunione fosse stata dedotta per la prima volta con le memorie depositate in primo grado ex art. 24 d.lgs. 546/1992 (pagg. 6-7 del ricorso originario all.3); affermandosi (cfr. pag. 9 del ricorso per cassazione) che già con il ricorso introduttivo del giudizio, le parti avevano contestato che la base imponibile doveva essere determinata sul valore catastale dell’immobile e giammai su quello accertato dal consulente di ufficio.
La seconda censura prospetta la violazione dell’art. 52 d.P.R. 131/1986, nonché degli art. 3 legge 7 agosto 1990, n. 241 e 7 legge 27 luglio 2000, n. 212, là dove il collegio d’appello non ha consentito la trattazione orale, durante la quale, se fosse stata disposta, le ricorrenti avrebbero dedotto la carenza motivazionale dell’avviso, il quale, ad avviso delle ricorrenti, si limita ad indicare il valore della massa ereditaria e non anche i criteri alla stregua dei quali essa è stata determinata. Si obietta, altresì, che nell’assegnazione dei lotti non stati attribuiti conguagli e che si
sarebbero dovuto applicare le imposte di registro, ipotecarie e catastali sul valore catastale dell’immobile ex art. 52 T.U.R. per la prima casa.
La terza doglianza critica la decisione di appello per apparente motivazione, in quanto il giudice di merito non avrebbe esposto le ragioni del suo convincimento, in particolare con riferimento alla stima disposta dal consulente di parte, ritenendo valida la stima indicata dall’ufficio anziché quella del c.t.u. nominato nel giudizio divisionale.
Occorre esaminare preliminarmente l’ ultima doglianza con la quale si denuncia motivazione apparente della sentenza.
Non consta un’apparenza motivazionale, bensì un percorso argomentativo che ben lascia cogliere la ratio decidendi in punto di adeguatezza motivazionale dell’avviso e con riferimento alla base imponibile. Il percorso argomentativo è comprensibile e intelligibile. Come chiarito ancor di recente da questa Corte ‘In tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logicogiuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito’ (v. Cass. 3819 del 2020). È stato messo, inoltre, in evidenza dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016) che “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare
all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture”.
Nel caso in esame non è ravvisabile il vizio lamentato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in quanto la Commissione Tributaria Regionale ha esaminato, con motivazione tutt’ altro che carente o meramente apparente, la questione della adeguatezza motivazionale dell’avviso opposto, chiarendo le ragioni per le quali l’avviso in questione doveva ritenersi legittimamente emesso. Il giudice d’appello ha delibato le questioni sottoposte al suo vaglio, reputando inammissibilmente proposte talune e decidendo sulle altre doglianze, concludendo per l’esclusione dell’applicabilità dell’art. 52 d.P.R. 131/1986 e per la conferma della correttezza dell’operato dell’RAGIONE_SOCIALE anche con riferimento a sentenze ancora impugnabili.
In particolare, emerge dalla decisione gravata che la critica relativa alla base imponibile determinata alla stregua della perizia di parte contribuente e non di una consulenza tecnica di ufficio – disposta nel giudizio di scioglimento della comunione – è stata ritenuta inammissibile dalla C.T.R., in quanto tardivamente dedotta.
La prima censura – in disparte la sovrapposta indicazione, in rubrica, di tipologie di vizio cassatorio eterogenee e incompatibili, nonché la reiterazione degli argomenti di critica, sostanzialmente ripetitivi di quelli già dedotti in appello e compiutamente esaminati in sentenza- non merita accoglimento.
Le ricorrenti non riportano il provvedimento di rigetto della loro richiesta di discussione in epoca Covid, né descrivono le ragioni addotte a sostegno del rigetto. Il motivo non offre quindi elementi che consentano di non ritenere applicabile, nel caso concreto, il principio di diritto già stabilito da questa Corte, e qui condiviso, secondo cui In tema di processo tributario durante l’emergenza da Covid-19, la decisione del giudice di disporre, ai sensi dell’art. 27, comma 2, del d.l. n. 137 del 2020, la trattazione scritta,
nonostante la richiesta della parte di discussione in pubblica udienza o con collegamento a distanza, è legittima, ove carenze organizzative all’interno dell’ufficio impediscano il collegamento da remoto, poiché le parti non hanno un diritto pieno e incondizionato all’udienza pubblica e la trattazione scritta garantisce le essenziali prerogative del diritto di difesa, assicurando l’interesse pubblico all’esercizio della giurisdizione anche in periodo emergenziale» (Cass. Sent. n. 6033 del 28/02/2023).
7.1. Con riferimento al travisamento dei fatti dedotto con il medesimo mezzo, si lamenta che il decidente non si sia avveduto che l’RAGIONE_SOCIALE nelle proprie controdeduzioni aveva dedotto di aver quantificato l’imposta sulla base del valore dei cespiti determinato nella perizia dell’ing. COGNOME, il quale tuttavia era il consulente di parte dei comunisti e non il c.t.u. nominato dal giudice, e che le ricorrenti avevano replicato assumendo che non poteva darsi rilievo alla stima del loro perito.
In altri termini, le contribuenti denunciano un travisamento della prova, nel suo «contenuto oggettivo»; il travisamento della prova in senso proprio, è un travisamento ancipite, al quale possono ricondursi sia il momento percettivo del dato probatorio nella sua oggettività, sia il momento dell’individuazione delle informazioni probatorie che dal dato probatorio, considerato nella sua oggettività, possono per inferenza logica desumersi.
Come recentemente chiarito dalle S.U. 5 marzo 2024, n. 5792 << il controllo dell'attività del giudice di merito, nel momento percettivo del dato probatorio nella sua oggettività è, come si diceva, affidato alla revocazione. Secondo l'articolo 395, n. 4, cod.proc.civ.: «Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione: … se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando
è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare ».
6.2.Ebbene, nel caso sub iudice, la predicata proposizione già con il ricorso introduttivo della censura con la quale si rivendicava l'applicazione della stima del consulente d'ufficio quale base imponibile per il calcolo dell'imposta di registro ha costituito un punto controverso sul quale il provvedimento si è pronunciato, escludendola (cfr. svolgimento del giudizio della sentenza impugnata). È quindi va esclusa la rilevanza dell'errore, che per ciò stesso cessa di essere un errore revocatorio ed assume i caratteri dell'errore di giudizio, atteso che sul fatto il giudice si è pronunciato affermando che >. Giacché l’errore percettivo è intrinsecamente incompatibile con il giudizio, la deducibilità in Cassazione del vizio di c.d. «travisamento della prova», laddove, come nella concreta fattispecie, la decisione non risulta a che vedere con la predicata dispercezione – in quanto il travisamento riflette la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – è consentita in presenza del dedotto errore valutativo in ordine al momento in cui la censura dichiarata
inammissibile sarebbe stata formulata <<in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell'articolo 360, nn. 4 e 5, cod.proc.civ., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale»( S.U. cit.)
6.3. Tanto premesso, emerge dalla sentenza impugnata che la questione della base imponibile dell'imposta è stata dichiarata inammissibile dal collegio d'appello, proprio perché detta deduzione difensiva risultava proposta soltanto con le memorie difensive in primo grado, non corrispondendo alla censura formulata nell'originario ricorso; il che trova conferma nella ricostruzione della vicenda operata dalle medesime ricorrenti, le quali, a pagina 8 e 9 del ricorso per cassazione, deducono di aver rivendicato, nel ricorso introduttivo, l'applicazione ex art. 52 d.P.R. cit. della rendita catastale dell'immobile quale base imponibile su cui calcolare l'imposta e reclamato, invece, nelle memorie difensive, quale base imponibile, l'applicazione della stima determinata dal consulente di ufficio; ulteriormente precisando che avevano evidenziato la necessità di valorizzare la stima del c.t.u. -arch. COGNOME -e non quella del ctp -ing. COGNOME, per replicare alle difese svolte dall'RAGIONE_SOCIALE, il che conferma la correttezza della statuizione di inammissibilità cui è pervenuta la Commissione di secondo grado.
6.4. Invero la motivazione si appalesa corretta in diritto nella parte in cui i giudici di appello hanno ritenuto inammissibile la nuova censura, in linea con i principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità in materia.
Sorregge detta conclusione, la giurisprudenza di questa Corte che ha statuito che « Nel processo tributario, caratterizzato dall'introduzione della domanda nella forma della impugnazione dell'atto tributario per vizi formali o sostanziali, l'indagine sul rapporto sostanziale non può che essere limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell'Amministrazione che il contribuente deve specificamente
dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado, con la conseguenza che, ove il contribuente deduca specifici vizi di invalidità dell'atto impugnato, il giudice deve attenersi all'esame di essi e non può, "ex officio", annullare il provvedimento amministrativo per vizi diversi da quelli dedotti, anche se risultanti dagli stessi elementi acquisiti al giudizio, in quanto tali ulteriori profili di illegittimità debbono ritenersi estranei al "thema controversum", come definito dalle scelte del ricorrente. L'oggetto del giudizio, come circoscritto dai motivi di ricorso, può essere modificato solo nei limiti consentiti dalla disciplina processuale e, cioè, con la presentazione di motivi aggiunti, consentita però, ex art. 24 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nel solo caso di "deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione » (tra le molte, Sez. 5, Sentenza del 22/09/2011, n. 19337; Cass. del 03/11/2022, n. 32390).
6.5.Il Collegio ritiene altresì di dare seguito al principio di diritto che «Nel processo tributario, la nuova difesa del contribuente, ove non sia riconducibile all'originaria " causa petendi" e si fondi su fatti diversi da quelli dedotti con il ricorso originario, che ampliano l'indagine giudiziaria ed allargano la materia del contendere, non integra un'eccezione ma si traduce in un motivo aggiunto e, dunque, in una nuova domanda, vietata ai sensi deg artt. 24 e 57 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546» (Sez. 5, Sentenza n. 13742 del 03/07/2015). Non è dubbio che l'eccezione (tale essendo il motivo di impugnazione di un avviso di accertamento da parte del contribuente, stante la sua posizione d "convenuto sostanziale" in questo tipo di liti) in esame debba considerarsi del tutto "nuova" e come tale non proponibile nel giudizio di secondo grado.
La nuova difesa delle contribuenti, relativa alla rivendicazione della individuazione della base imponibile nella stima determinata dal consulente di ufficio non risulta riconducibile all'originaria " causa petendi " volta ad ottenere l'applicazione dell'imposta sul valore
catastale dell'immobile e (cfr . ricorso per cassazione pagina 9), di guisa che la critica svolta con le memorie difensive -là dove si pretendeva di non valutare la stima del c.t.p. ma quella del c.t.u. – trova fondamento su fatti diversi da quelli dedotti col ricorso introduttivo del giudizio, che ampliano l’indagine giudiziaria ed allargano la materia del contendere; essa si traduce in un motivo aggiunto e, dunque, in una nuova domanda, vietata ai sensi degli artt. 24 e 57 del d.lgs. n. 546 del 1992 (v. Cass. 03/11/2022, n. 2390; Cass. 23/07/2020, n. 15730).
6.6. La critica -che si legge nella illustrazione della prima doglianza del ricorso per cassazioneinerente al passaggio motivazionale relativo alla irrilevanza della mancata trascrizione o definitività della sentenza non risulta intelligibile in particolare rispetto alla dedotta prospettata a pagina 10 del ricorso per cassazione. Piuttosto, sembrerebbe che le contribuenti lamentino l’errata applicazione del disposto dell’art. 8 cit., in quanto l’avviso avrebbe individuato la base imponibile nella perizia di stima del consulente di parte, non recepita dal giudice. Tuttavia, non solo la censura risulta -come già affermato dal Collegio d’appelloproposta tardivamente solo nelle memorie difensive del giudizio di primo grado, ma formulata attraverso l’evocazione della sentenza di scioglimento della comunione, palesemente inosservante dell’onere di specifica indicazione della stessa ex art. 366, n. 6, cod. proc. civ., avendo le ricorrenti omesso sia di riportarne il contenuto, sia di indicare in quale sede essa venne prodotta nel giudizio di merito ed anche di localizzare nel fascicolo di merito il documento su cui si fonda il vizio cassatorio.
6.7. In ogni caso, vale osservare che il presupposto del tributo non è correlato all’efficacia esecutiva della sentenza ma, esclusivamente, all’esistenza di un titolo giudiziale soggetto a
registrazione: in questa direzione milita, del resto, il contenuto testuale dell’art. 37 d.P.R. n. 131/1986 secondo il quale (Cass. n. 12480/2018; Cass. n. 3617 del 2020).
8. Con la seconda doglianza in rassegna, le contribuenti sovrappongono alle difese relative al calcolo della base imponibile, in riferimento alla quale avrebbe dovuto considerarsi a loro avviso la rendita catastale dei cespiti, doglianze concernenti la motivazione dell’avviso, il quale, in realtà, indica esattamente la base imponibile e la normativa applicabile, sconfessando in tal modo la predicata inadeguatezza motivazionale dell’avviso.
8.1.Prima di esaminare il quadro normativo di riferimento, merita ricordare che, con sentenza n. 27692 del 2020, questa sezione tributaria della Corte, ha specificato che la “rimodulazione”, operata dalle Sezioni Unite con sentenza 7 ottobre 2019, n.25021, della qualificazione della fattispecie divisionale – – non opera in ipotesi di imposizione di registro della fattispecie divisionale senza conguagli, per la quale va ribadita la natura dichiarativa. E ciò in ragione della circostanza che la qualificazione tributaria della divisione, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro (v., altresì, il d.lgs. n. 347 del 1990, artt. 2 e 10) è essa stessa espressiva della scelta, operata dal legislatore, che esclude l’ipotizzabilità di un effetto traslativo in presenza di uno scioglimento della comunione senza conguagli (d.p.r. n. 131 del 1986, art. 34); scelta, questa,
oltretutto connotata da un particolare favor che si incentra tanto sulla misura degli stessi conguagli, qual rilevanti ai fini della configurabilità di un effetto traslativo (art. 34, c. 2), quanto sulla disciplina della riunificazione di masse plurime «considerate come una sola comunione se l’ultimo acquisto di quote deriva da successione a causa di morte» (art. 34, c. 4); il profilo qualificatorio in questione, sotteso al dato normativo, si salda poi, secondo un rilievo che è, del resto, presente (anche) nella pronuncia delle Sezioni Unite della Corte – all’effetto retroattivo della divisione (art. 757 cod. civ.), ed alla scelta del legislatore di così «assicurare continuità tra la posizione giuridica del defunto e quella dell’erede attributario del bene diviso»; col criterio regolatorio fondamentale che governa la tassazione di registro ed alla cui stregua l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli «effetti giuridici» dell’atto presentato alla registrazione (d.p.r. n. 131 del 1986, art. 20), ove, dunque, qualificazione normativa ed effetti giuridici dell’atto di divisione escludono (in assenza di conguagli) ogni effetto traslativo; la stessa sostanza economica dell’atto divisionale, qual rilevante nella prospettiva del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), pare consentanea, poi, con una siffatta qualificazione degli effetti giuridici (non traslativi) della divisione, – secondo (anche qui) un rilievo presente nella pronuncia delle Sezioni Unite, ed alla cui stregua «… l’idea secondo cui la divisione non costituirebbe titolo di acquisto dei beni assegnati in proprietà esclusiva può essere condivisa solo a patto di restringerne il significato al piano puramente economico, essendo chiaro che il passaggio dalla contitolarità pro quota dei beni comuni alla titolarità esclusiva della porzione non si traduce in un incremento patrimoniale per il condividente…..ove, pertanto, la retroattività della divisione, a fini tributari, si salda col difetto di un incremento patrimoniale in capo al condividente> (v. anche Cass. n. 32613/2021).
8.2. Le contribuenti insistono nell’affermare che l’amministrazione avrebbe violato il disposto dell’art. 52 d.P.R. 131/1986, che, a loro avviso, avrebbe dovuto trovare applicazione nella fattispecie, attesa la corrispondenza tra quote di diritto e quote di fatto; circostanza quest’ultima che risulta pacifica in causa, in quanto evidenziata dalla stessa sentenza impugnata e dal ricorso per cassazione.
8.3. In altri termini, le condividenti hanno ottenuto beni corrispondenti alle rispettive quote con conseguente corretta applicazione della norma – art. 8 cit. – che sottopone alla aliquota propria degli atti di accertamento l’attribuzione di beni ottenuta in sede di divisione che non superi il valore della quota di ciascun condividente ; tant’è che l’RAGIONE_SOCIALE, in mancanza di trasferimento di proprietà (non essendo stati previsti conguagli), ha applicato l’aliquota dell’1% sulla massa divisoria, ex art. 8, lett. c) della tariffa I, d.P.R. 131/1986, non potendo determinare l’imponibile sul valore catastale, in assenza di trasferimento di diritti reali, ex art. 52 d.P.R. 131/1986.
9.In definitiva, la divisione, considerata atto avente natura dichiarativa, è sottoposta all’aliquota dell’1 % (art. 3 della Tariffa, parte Prima, allegata al TUR) se le porzioni concretamente assegnate ai condividenti, quote di fatto, corrispondono alle quote di diritto, cioè a quelle quote che spettano ai partecipanti, sui beni della massa, in ragione dei diritti che essi vantano. Le quote rappresentano infatti la partecipazione ad una ricchezza che entra a fare parte del patrimonio del coerede all’atto della accettazione, sicché la successiva divisione secondo le quote non apporta ulteriore incremento patrimoniale al condividente. Solo in caso contrario si applica l’art. 34, comma 1, del d.P.R. 131/1986 ( v. Cass. n. 27409/2020; Cass. 4858 /2024).
9.1. Nella fattispecie sub iudice, l’amministrazione non ha fatto applicazione dell’art. 34 del d.P.R. citato che recita ” La divisione,
con la quale ad un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo eccedente quello a lui spettante sulla massa comune, è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente “. La disposizione in esame sottopone la divisione con conguagli ad un trattamento fiscale specifico, indipendentemente dalla volontà delle parti (cioè dal fatto che l’assegnazione ad un condividente di una quota maggiore rispetto a quella a lui spettante comporti per l’interessato il pagamento di un corrispettivo o meno) . Per completezza, si vedano anche Cassazione, n. 16220/2021, n. 34487/2021, n. 2378/2022 e n. 11836/2022.
9.2. Conseguentemente, neppure trova applicazione l’invocato disposto dell’art. 52 del d.P.R. cit. secondo cui l’imposta di registro si determina sul valore catastale dell’immobile. V ale osservare che il d.l. n. 223/2006 ha aggiunto il comma 5bis all’art. 52 del T.U.R., il quale ha previsto che “le disposizioni dei commi 4 e 5 non si applicano relativamente alle cessioni di immobili e relative pertinenze diverse da quelle disciplinate dall’art. 1, comma 497, della legge n. 266/2005”. Il comma 5bis dell’art. 52 d.P.R. 131/1986 limita e l’applicazione del c.d. valore automatico alle sole ipotesi in cui coesistano i seguenti requisiti di natura soggettiva ed oggettiva: a) deve trattarsi di atti di cessione a) deve trattarsi di cessione effettuata nei confronti di persone fisiche, che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali; b) deve trattarsi di cessione avente ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze; c) contenenti richiesta della parte acquirente, resa al notaio, di optare per una base imponibile costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi dell’art. 52, commi 4 e 5, del DPR 131/1986; d) le parti indichino nell’atto di cessione il corrispettivo pattuito; e) applicazione del criterio di valutazione automatica alle sole imposte di registro, ipotecarie e catastali.
9.3. La sentenza di divisione -come confermano entrambe le parti in causa -non ha attribuito conguagli, di guisa che non può trovare applicazione l’art. 52 del d.P.R. 131/1986, come ri vendicato dalle contribuenti.
Segue il rigetto del ricorso.
Le spese del presente giudizio seguono il criterio della soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna le ricorrenti alla rifusione delle spese di lite che liquida in favore dell’RAGIONE_SOCIALE in euro 2.500,00, oltre spese prenotate a debito.
Visto l’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale della Sezione tributaria della