Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7430 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 7430 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/03/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 25785/2019 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende -controricorrente-
avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. del VENETO n. 41/2019 depositata il 28/01/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Uditi i difensori RAGIONE_SOCIALE parti presenti.
FATTI DI CAUSA
In data 23 giugno 2015 veniva notificato al AVV_NOTAIO l’avviso di liquidazione dell’imposta ed irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni relativo all’atto di divisione immobiliare n. 211248 di repertorio. L’Ufficio accertatore constatava il mancato rispetto dei principi di cui agli artt. 34, commi 1 e 2, 46 e 48 d.P.R. n. 131/1986 (T.U.R.), in quanto nell’atto di divisione non si era tenuto conto del fatto che, mentre il valore dei beni da dividere dipendeva dalle dichiarazioni RAGIONE_SOCIALE parti e non appariva sindacabile, la costituzione di diritti di usufrutto e nuda proprietà comportava il rispetto dei valori di cui al prospetto dei coefficienti della normativa sopra richiamata. In particolare, con riferimento all’assegno unico nei confronti di NOME COGNOME e NOME, l’ atto avrebbe attribuito a quest’ ultima una quota di fatto superiore a quella di diritto.
Avverso il suddetto avviso di liquidazione il AVV_NOTAIO proponeva ricorso denunciando, anzitutto, la violazione dell’art. 52, commi 4 e 5, T.U.R., norma che prevede che il potere di rettifica dei valori dichiarati risulta inibito qualora gli stessi risultino non inferiori al valore catastale dell’immobile, ottenuto moltiplicando, per specifici coefficienti, la rendita catastale o nel caso di terreno agricolo il reddito dominicale. Si lamentava, poi, l’illegittimità dell’avviso di liquidazione per violazione o falsa applicazione dell’art. 42 T.U.R., in quanto si era proceduto, in sede di applicazione di imposta principale, ad un accertamento che, seppure infondato, avrebbe
potuto trovare, tutt’al più, forma e modo quale accertamento complementare.
La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE provinciale di Vicenza rigettava il ricorso. La RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza indicata in epigrafe, confermava la decisione di primo grado.
Avverso la decisione della C.T.R. il AVV_NOTAIO ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi ed illustrato da successiva memoria.
Ha resistito con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
Con ordinanza interlocutoria in data 12 maggio 2021 la causa è stata rinviata in pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 52, commi 4 e 5, T.U.R. ed errata interpretazione della doppia attribuzione insita nell’atto di divisione immobiliare, laddove la C.T.R. ha ritenuto che l’art. 52, riguardante la rettifica di valore, non può essere assimilato alla norma relativa alle divisioni (art. 34 T.U.R.) che disciplina la modalità di tassazione RAGIONE_SOCIALE assegnazioni di beni, con riferimento specifico ai conguagli superiori alla quota di diritto. Assume che, posto che i valori menzionati nell’atto non erano inferiori a quelli tabellari di cui all’ art. 52 T.U.R., in assenza di previsione di conguagli, non era possibile applicare i criteri previsti per i trasferimenti.
Con il secondo motivo lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 42 e 52, comma 4, T.U.R., laddove la C.T.R. si era limitata ad affermare la mancata violazione dell’art. 42 T.U.R. senza comprendere che, in realtà, non vi era alcun presupposto per effettuare una rettifica in sede di imposta principale, in quanto
l’accertamento avrebbe dovuto, tutt’al più, assumere il carattere complementare.
Osserva che l’ ufficio aveva operato una vera e propria riqualificazione non limitandosi ad una mera attività diretta a correggere errori ovvero omissioni.
Con il terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. per avere la C.T.R. compensato le spese di lite nonostante in materia non si riscontrassero specifici precedenti di legittimità.
Il ricorso deve essere respinto per le ragioni appresso specificate.
I primi due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto fra loro connessi, sono da ritenere infondati per le ragioni appresso specificate.
5.1. Deve preliminarmente osservarsi che con l’ atto di divisione in esame sono stati attribuiti diritti reali diversi da quello di cui originariamente i condividenti erano titolari. Infatti NOME COGNOME e NOME COGNOME erano titolari, in regime di comunione ordinaria, della proprietà sui beni in oggetto, mentre con l’ atto di divisione de quo sono stati attribuiti rispettivamente alla COGNOME il diritto di usufrutto sull’intero ed alla COGNOME la nuda proprietà. Di ciò ha tenuto conto la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, la quale facendo riferimento all’art. 34 del d.P.R. 131/1986, ha affermato che, nel caso in esame, si era in presenza di un trasferimento.
Osserva questa Corte che, come condivisibilmente ritenuto dai giudici di merito, nella specie non c’ è stato alcun accertamento né è stata operata una rettifica, ma solo una nuova liquidazione sicchè appare di pregio la censura relativa all’ asserita violazione dell’ art. 52, comma 4, T.U.R., che riguarda, appunto la ‘rettifica’ del valore o corrispettivo degli immobili.
5.2. La sentenza non appare, dunque, censurabile dal momento che il riferimento all’art. 34 del d.P.R. 131/1986 chiarisce la ragione per
la quale la divisione è stata considerata, ai fini dell’imposta, un trasferimento. L’art 34 cit. dispone, appunto, che: “la divisione, con la quale ad un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo eccedente quello a lui spettante sulla massa comune, è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente. …. I conguagli superiori al cinque per cento del valore della quota di diritto, ancorché attuati mediante accollo di debiti della comunione, sono soggetti all’imposta con l’aliquota stabilita per i trasferimenti mobiliari fino a concorrenza del valore complessivo dei beni mobili e dei crediti compresi nella quota e con l’aliquota stabilita per i trasferimenti immobiliari per l’eccedenza… Quando risulta che il valore dei beni assegnati ad uno dei condividenti determinato a norma dell’art. 52 è superiore a quello dichiarato, la differenza si considera conguaglio”. Pertanto, ai fini dell’imposta di registro, l’eccedenza derivante al condividente dall’assegnazione ad esso di beni valore superiore a quello spettante sulla massa comune è considerata, per effetto di presunzione assoluta iuris et de iure , alla stregua di una vendita (Cass. 4 civ., sez. trib., 01/12/2020, n. 27409; Cass. civ., sez. trib., 16/11/2012, n. 20119).
Nel caso in esame, per stabilire il valore dei beni, deve considerarsi la specificità della fattispecie, perché ai condividenti i beni non sono stati assegnati in proprietà, ma attribuiti diritti reali di contenuto più limitato rispetto all’originario diritto dominicale pro-quota , la cui valutazione si opera ai sensi dell’ art. 48 del d.P.R. 131/1986 e cioè considerando la differenza tra il valore della piena proprietà e quello dell’usufrutto, nonché, come dispone l’art. 46 dello stesso d.P.R. 131/1986, tenendo conto dell’età del titolare dell’usufrutto secondo le tabelle allegate al testo normativo. Alla morte dell’usufruttuario, se non è disposta diversa data di scadenza, che comunque non può eccedere la vita stessa del titolare (art 979 c.c.), il diritto di usufrutto si consolida alla nuda proprietà, e, pertanto, l’effetto finale di una
simile divisione è quello di attribuire -alla morte dell’usufruttuariola proprietà piena dei beni ad uno dei condividenti.
Deve tenersi, quindi, conto che in relazione dell’età dell’usufruttuario (e nel caso di specie NOME COGNOME alla data del rogito aveva cinquanta anni) il diritto aveva un valore superiore alla quota originaria di comproprietà (per come ricostruito dalla C.T.R.), con conseguente attribuzione alla stessa di un diritto reale di valore maggiore rispetto alla sua quota originaria, il che è esattamente la ragione posta a fondamento dell’accertamento e RAGIONE_SOCIALE sentenze di merito; in particolare nella sentenza di secondo grado, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha ritenuto che l’atto divisionale posto in essere fra le parti conteneva pattuizioni dalle quali conseguiva un effetto che, ai fini di imposta e nei termini previsti dall’ art. 34 cit., doveva considerarsi traslativo.
Come ritenuto dai giudici di appello l’ ufficio non ha, dunque, contestato il valore della comunione dichiarato ma si è limitato a ricalcolare, in relazione alla disposta divisione di beni immobili, il valore dell’ usufrutto e della nuda proprietà (‘nuovi diritti’) attribuiti ai due condividenti, tenuto conto dei coefficienti di cui alle tabelle allegate al TUR commisurate alla vita del beneficiario.
5.3. In sostanza i giudici di merito hanno accertato che non vi era stata, da parte dell’ ufficio, una vera e propria rettifica ma una mera rideterminazione dei valori di usufrutto e nuda proprietà secondo i parametri di legge: non rileva, quindi, né l’ ar t. 52, commi 4 e 5, cit. operando il disposto di cui all’ art. 48 che non parla di valore catastale né si pone questione di diversa qualificazione operata dall’ ufficio (in questo senso su analoga questione, vedi Cass. 11836/2022).
5.4. Né a diverse conclusioni può pervenirsi alla luce del precedente richiamato in memoria secondo cui «In tema di imposta di registro, con riguardo alla divisione che non preveda conguagli, ai sensi dell’art. 34, d.P.R. n. 131 del 1986, il potere di rettifica dei valori
dichiarati nell’atto di divisione non può essere esercitato dall’Amministrazione, stante la natura dichiarativa, a fini tributari, della divisione e la conseguente inapplicabilità della deroga prevista dall’art. 52, comma 5 bis d.p.r. cit., alla disciplina posta dai commi 4 e 5 della medesima disposizione, con conseguente preclusione all’accertamento dei conguagli cd. fittizi di cui all’art. 34, comma 3, d.P.R. n. 131 del 1986, qualora le quote attribuite ai condividenti rispondano ai parametri catastali delineati dall’istituto della cd. valutazione automatica degli immobili. (Sez. 5 – , Ordinanza n. 27692 del 03/12/2020, Rv. 659968 – 01)», principio affermato da questa Corte in fattispecie diversa in cui era stata operata la ‘rettifica’ dei valori dichiarati nell’atto di divisione situazione, come sopra chiarito, non verificatasi nella fattispecie in esame.
Il terzo motivo è privo di pregio.
6.1. Occorre evidenziare che, in riferimento al regolamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto n ell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi ( ex plurimis Cass. n. 19613/2017), da ciò discendendo la palese infondatezza del motivo in questione.
Conseguentemente il ricorso proposto dal ricorrente deve essere rigettato e lo stesso va condannato al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio di legittimità in favore dell’ ufficio, liquidate come da dispositivo.
7.1. Ricorrono i presupposti processuali per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte
della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rifondere all’ Ufficio le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 600,00 oltre spese prenotate a debito; ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione