Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4884 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 4884 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 23/02/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 27024/2018 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, (C.F. CODICE_FISCALE) in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA RAGIONE_SOCIALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis ;
-controricorrente avverso la sentenza n 168/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del VENETO, depositata il 13.02.2018.
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14.02.2024 dal Consigliere NOME COGNOME Udito il P .G. che ha concluso per il rigetto del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo.
Uditi i difensori RAGIONE_SOCIALE parti.
FATTI DI CAUSA
1.In data 10 aprile 2014 veniva notificato al AVV_NOTAIO l’avviso di liquidazione dell’imposta e irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni relativo all’atto di divisione immobiliare n. NUMERO_DOCUMENTO di repertorio. L’Ufficio accertatore constatava il mancato rispetto dei principi di cui agli artt. 34, commi 1 e 2, 46 e 48 d.P.R. n. 131/1986 (T.U.R.), in quanto nell’atto di divisione con il quale veniva assegnato al figlio NOME COGNOME beni per un valore corrispondente alla quota di diritto di 15.000,00 euro, alla madre NOME COGNOME – cui spetterebbe la quota di euro 90.000,00 -venivano assegnati beni per il valore di euro 10.600,00; alla figlia NOME COGNOME -cui spetterebbe la quota di diritto pari ad euro 15.000,00 -venivano assegnati beni del valore di euro 42.400,00 e a NOME COGNOME, la cui quota di diritto corrisponde ad euro 15.000,00, venivano assegnati beni del valore di euro 67.000,00; con ciò superando la percentuale del 5% della rispettiva quota di diritto definite dalle parti in atto come donazioni.
Avverso il suddetto avviso di liquidazione il AVV_NOTAIO proponeva ricorso denunciando anzitutto che nell’atto di divisone la madre aveva rinunciato alla differenza pari a euro 104.000,00 emersa tra la quota di diritto e quota di fatto e ciò a favore dei figli beneficiari.
La Commissione tributaria provinciale di Vicenza accoglieva il ricorso. La Commissione tributaria RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza indicata in epigrafe, nel riformare la decisione di primo grado, accoglieva l’appello dell’ente finanziario.
Avverso la decisione della CTR il AVV_NOTAIO ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, illustrati da memorie difensive.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
Il P .G. ha concluso nel senso del rigetto del primo motivo, assorbito il secondo.
Motivi di diritto
1.Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 34 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, per avere i giudici territoriali trascurato che la peculiarità della operazione divisionale, la quale contemplava la donazione della differenza tra quota di diritto e quota di fatto, non poteva essere soggetta alla disciplina della norma citata, la quale prevede l’onerosità del conguaglio; al contrario, assume il AVV_NOTAIO che la divisione che comporti un conguaglio donato è operazione irrilevante per il fisco, in quanto avente carattere di liberalità, la disciplina della tassazione deve essere individuata in quella per gli atti donativi.
Assume, altresì’, che quella prevista dal legislatore all’art. 34 citato in rubrica presenta le caratteristiche di una presunzione iuris tantum che ammettono la prova contraria.
Con la seconda doglianza si lamenta la violazione dell’art. 20 del citato d.P.R. 131/1986, per aver i giudici regionali trascurato di motivare in ordine alla mancata applicazione dell’art. 20 TUR.
Si deduce al riguardo che l’imposta è stata applicata all’atto divisionale come se si trattasse di compravendita senza rilevare il dato letterale dell’operazione da cui emerge la rinuncia con amimus donandi da parte della madre al conguaglio.
Al contrario, la costante giurisprudenza di legittimità ha sottolineato che, nella qualificazione del negozio, occorre dare
rilievo preminente alla sua causa reale ed alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguiti dalle parti.
La prima censura è destituita di fondamento, assorbita la seconda.
Prima di esaminare il quadro normativo, merita ricordare che con sentenza n.27692 del 2020, questa sezione tributaria della Corte, ha specificato che la “rimodulazione”, operata dalle Sezioni Unite con sentenza 7 ottobre 2019, n.25021, della qualificazione della fattispecie divisionale – -non opera in ipotesi di imposizione di registro della fattispecie divisionale senza conguagli, per la quale va ribadita la natura dichiarativa. E ciò in ragione della circostanza che la qualificazione tributaria della divisione, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro (v., altresì, il d.lgs. n. 347 del 1990, artt. 2 e 10) è essa stessa espressiva della scelta, operata dal legislatore, che esclude l’ipotizzabilità di un effetto traslativo in presenza di uno scioglimento della comunione senza conguagli (d.p.r. n. 131 del 1986, art. 34); scelta, questa, oltretutto connotata da un particolare favor che si incentra tanto sulla misura degli stessi conguagli, qual rilevanti ai fini della configurabilità di un effetto traslativo (art. 34, c. 2), quanto sulla disciplina della riunificazione di masse plurime «considerate come una sola comunione se l’ultimo acquisto di quote deriva da successione a causa di morte» (art. 34, c. 4); il profilo qualificatorio in questione, sotteso al dato normativo, si salda poi, -secondo un rilievo che è, del resto, presente (anche) nella pronuncia RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite della Corte -all’effetto retroattivo della divisione (art. 757 cod. civ.), ed alla scelta del legislatore di così «assicurare continuità tra la posizione giuridica del defunto e quella dell’erede attributario del bene diviso»; col criterio regolatorio fondamentale che governa la tassazione di registro ed
alla cui stregua l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli «effetti giuridici» dell’atto presentato alla registrazione (d.p.r. n. 131 del 1986, art. 20), ove, dunque, qualificazione normativa ed effetti giuridici dell’atto di divisione escludono (in assenza di conguagli) ogni effetto traslativo; la stessa sostanza economica dell’atto divisionale, qual rilevante nella prospettiva del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), pare consentanea, poi, con una siffatta qualificazione degli effetti giuridici (non traslativi) della divisione, -secondo (anche qui) un rilievo presente nella pronuncia RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite, ed alla cui stregua «… l’idea secondo cui la divisione non costituirebbe titolo di acquisto dei beni assegnati in proprietà esclusiva può essere condivisa solo a patto di restringerne il significato al piano puramente economico, essendo chiaro che il passaggio dalla contitolarità pro quota dei beni comuni alla titolarità esclusiva della porzione non si traduce in un incremento patrimoniale per il condividente…..ove, pertanto, la retroattività della divisione, a fini tributari, si salda col difetto di un incremento patrimoniale in capo al condividente> ( v. anche Cass. n. 32613/2021).
La divisione è, in conclusione, considerata atto avente natura dichiarativa, sottoposto all’aliquota dell’1 % (art. 3 della Tariffa, parte Prima, allegata al TUR) se le porzioni concretamente assegnate ai condividenti, quote di fatto, corrispondono alle quote di diritto, cioè a quelle quote che spettano ai partecipanti, sui beni della massa, in ragione dei diritti che essi vantano. Le quote rappresentano infatti la partecipazione ad una ricchezza che entra a fare parte del patrimonio del coerede all’atto della accettazione, sicché la successiva divisione secondo le quote non apporta ulteriore incremento patrimoniale al condividente. Solo in caso contrario si applica l’art. 34, comma 1, del d.P.R. 131/1986.
3.1 L’art. 34 del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 dispone che: «1. La divisione, con la quale ad un condividente sono assegnati beni per
un valore complessivo eccedente quello a lui spettante sulla massa comune, è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente 2. I conguagli superiori al cinque per cento del valore della quota di diritto, ancorché attuati mediante accollo di debiti della comunione, sono soggetti all’imposta con l’aliquota stabilita per i trasferimenti mobiliari fino a concorrenza del valore complessivo dei beni mobili e dei crediti compresi nella quota e con l’aliquota stabilita per i trasferimenti immobiliari per l’eccedenza. 3. Quando risulta che il valore dei beni assegnati ad uno dei condividenti determinato a norma dell’art. 52 è superiore a quello dichiarato, la differenza si considera conguaglio».
3.2. La formulazione di tale disposizione – come si desume, in particolare, dall’utilizzo dell’inciso «(…) è considerata vendita» -sembra sancire una vera e propria “presunzione assoluta” -juris et de iure -ai fini dell’imposta di registro, in virtù della quale la divisione con assegnazione di beni eccedenti il valore della quota sulla massa comune deve essere sempre qualificata come vendita ed assoggettata all’imposta sui trasferimenti per la sola eccedenza di valore, prescindendo dall’eventualità che il conguaglio sia o meno corrisposto nei rapporti tra i condividenti. Per cui, il legislatore si è preoccupato di esigere, in ogni caso, l’applicazione dell’imposta sui trasferimenti nei limiti dell’eccedenza di valore, ritenendo irrilevante che il conguaglio (inteso come surplus aritmetico del valore dei beni rispetto al valore della quota) abbia formato oggetto dell’assunzione di un’obbligazione pecuniaria con funzione compensativa ovvero della disposizione di una liberalità indiretta nei rapporti tra i condividenti. La disposizione in esame sottopone la divisione con conguagli ad un trattamento fiscale specifico, indipendentemente dalla volontà RAGIONE_SOCIALE parti (cioè dal fatto che l’assegnazione ad un condividente di una quota maggiore rispetto a quella a lui spettante comporti per l’interessato il
pagamento di un corrispettivo o meno) . Per completezza, si vedano anche Cassazione, n. 16220/2021, n. 2378/2022 e n. 11836/2022.
La mutevole funzione RAGIONE_SOCIALE pattuizioni intercorse al riguardo tra i condividenti è neutralizzata dalla predeterminazione normativa dell’unicità di trattamento tributario ; ne deriva la “neutralità” del conguaglio ai fini dell’imposta di registro, essendone invariabilmente predeterminata la rilevanza tributaria, senza alcuna derogabilità in relazione alla peculiarità civilistica della causa ( causa obligandi, causa donandi, causa solvendi, ecc.) che connota l’accordo tra i condividenti (v. Cass. 27/01/2022,n.2378, Cass. 31364/2023, entrambe in motiv.).
In altri termini, il trattamento tributario è fissato dall’art. 34 del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 per ogni ipotesi di divisione in cui i condividenti ricevano beni di valore non corrispondente (quindi, maggiore o minore rispetto) a quello RAGIONE_SOCIALE rispettive quote sulla massa comune, non rilevando che tale differenza di valore formi oggetto di rinuncia da parte dell’avente diritto.
4. Cass. n. 27409/2020, in motiv., ha statuito che, in materia di imposta di registro, l’art. 34 cit. nel sancire, puramente e semplicemente, che la divisione con la quale ad un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo eccedente quello a lui spettante sulla massa comune, «è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente» pone una presunzione assoluta ( iuris et de iure ), in forza della quale l’eccedenza di valore dei beni assegnati rispetto alla quota sulla massa comune (c.d. conguaglio) è invariabilmente sottoposta al trattamento tributario della compravendita, non rilevando che i condividenti che ricevono di più assumano un’obbligazione avente ad oggetto una prestazione pecuniaria (di corrispondente ammontare) con funzione compensativa in favore dei condividenti che ricevono di meno, né che i condividenti che ricevono di meno rinunzino (per spirito di liberalità, verso un corrispettivo o a scopo di adempimento) a
ricevere una prestazione pecuniaria (di corrispondente ammontare) dai condividenti che ricevono di più, dal momento che la mutevole funzione RAGIONE_SOCIALE pattuizioni intercorse al riguardo tra i condividenti viene ad essere neutralizzata dalla predeterminazione normativa dell’unicità di trattamento tributario.
5.Dalla lettera della norma si rileva pertanto in modo inequivocabile che il legislatore ha voluto sottoporre la fattispecie in esame ad un trattamento fiscale specifico, indipendentemente dalla volontà RAGIONE_SOCIALE parti; del resto lo stesso principio di tassatività è espresso nel secondo comma dello stesso articolo.
La Commissione Tributaria Regionale ha fatto corretta e puntuale applicazione di tale principio con argomentazioni pienamente condivisibili.
Stante l’infondatezza dei motivi dedotti, il ricorso non può che essere rigettato.
Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese giudiziali in favore della controricorrente, liquidandole nella somma complessiva di euro 950,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; dà atto dell’obbligo, a carico del ricorrente, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso all’udienza della Sezione tributaria della corte di