Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32050 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32050 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9991/2021 R.G. proposto da:
REGIONE CAMPANIA (C.F. NUMERO_DOCUMENTO), in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE), in virtù di procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliata in Roma, presso l’Ufficio di rappresentanza della Regione Campania, INDIRIZZO e con domicilio digitale PEC EMAILregioneEMAILcampaniaEMAIL
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Prof. COGNOMEC.F.
Oggetto: tributi – violazione del ne bis in idem
CODICE_FISCALE) e dall’Avv. NOME COGNOMEC.F. CODICE_FISCALE in virtù di procura speciale in calce al controricorso, elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, INDIRIZZO
–
contro
ricorrente
–
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 4261/13/20 depositata in data 28 settembre 2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 ottobre 2024 dal Consigliere Relatore NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La società contribuente RAGIONE_SOCIALE società esercente l’attività estrattiva calcarea e di ricomposizione ambientale, ha impugnato un avviso di pagamento, relativo ai periodi di imposta dal 2008 al 2013, con il quale la Regione Campania ingiungeva il pagamento dei contributi estrattivi (ambientali e regionali) dovuti a termini delle leggi regionali n. 15/2005 e 1/2008. La causa faceva seguito ad analogo provvedimento della Regione Campania, inizialmente impugnato davanti al Tribunale di Napoli, il cui giudizio si sarebbe dovuto riassumere davanti alla CTP di Napoli. La società contribuente ha dedotto -per quanto qui ancora rileva – che l’atto impugnato costituiva duplicazione di precedente analoga pretesa impositiva, già impugnata giudizialmente, con violazione del divieto di doppia imposizione.
la CTP di Napoli, come risulta dalla sentenza impugnata, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione, in quanto l’emissione del precedente atto accertativo rendeva impugnabile il successivo solo per vizi propri.
La CTR della Campania, con sentenza qui impugnata, ha accolto l’appello della società contribuente , ritenendo che l’atto impugnato costituisse duplicazione della originaria pretesa impositiva, in contrasto
con il principio del ne bis in idem , dichiarando assorbiti gli ulteriori motivi di appello.
Propone ricorso per cassazione la Regione Campania, affidato a due motivi, cui resiste con controricorso la società contribuente.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 29 d.l. 31 maggio 200, n. 79, conv. dalla l. 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che la Regione Campania avrebbe duplicato la pretesa impositiva. Deduce parte ricorrente che l’applicazione del principio dei cd. atti « impoesattivi » sarebbe proprio degli atti impositivi dell’Agenzia delle Entrate ivi descritti, quali gli avvisi di accertamento esecutivi (AVE) e gli avvisi di addebito (AVA), non anche agli atti impositivi emessi dalle Regioni, per cui la decisione sarebbe viziata dalla applicazione al caso di specie di una norma che non sarebbe stata applicabile.
Parte ricorrente articola, inoltre, un secondo motivo con cui deduce che nel caso di specie vi sarebbero i presupposti per una decisione nel merito ex art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., deducendo che il provvedimento impugnato non sarebbe una duplicazione del primo provvedimento regionale. Sul punto, osserva che il precedente provvedimento impositivo è stato oggetto di sentenza della CTP di Napoli di declaratoria dell’inammissibilità del ricorso per omessa pronuncia dell’ordinanza del Tribunale di Napoli, da cui il giudizio promanava a seguito di declaratoria di difetto di giurisdizione. Osserva, inoltre che l’atto impositivo sarebbe un atto meramente riscos sivo conseguente all’omesso pagamento in conseguenza del primo atto impositivo.
Il primo motivo è inammissibile -conformemente alle osservazioni del controricorrente -per non avere il ricorrente
compiutamente censurato la ratio decidendi della sentenza impugnata. Effettivamente il giudice di appello ha fatto riferimento all’argomento secondo cui i due atti impositivi (« due atti di ingiunzione reiterati ») sarebbero atti impoesattivi a termini dell’art. 29 d.l. n. 78/2010 , avendo entrambi la stessa funzione di accertamento e di atto esecutivo. Tuttavia, tale inciso non costituisce propriamente una ratio decidendi ma un punto a partire dal quale è stata sviluppata la motivazione della sentenza impugnata. Invero, non risulta censurata dal ricorrente l’affermazione che la presente causa sarebbe duplicazione della causa già introdotta e ancora sub iudice al momento della decisione. Il ricorrente ha, difatti, censurato l’erronea applicazione al caso di specie della suddetta disposizione, ma non ha censurato l’affermazione per la quale la seconda intimazione costituisse reiterazione della prima, con conseguente violazione del divieto di doppia imposizione e del principio del ne bis in idem. Ne deriva che, st ante l’omessa censura di tale iter argomentativo, il ricorrente non ha interesse all’esame del la censura, in quanto detto esame non risulterebbe idoneo a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata la motivazione non oggetto di censura (Cass., Sez. III, 13 giugno 2018, n. 15399; Cass., Sez. VI, 18 aprile 2017, n. 9752).
4. Il secondo motivo è inammissibile sotto diversi profili. In primo luogo, il ricorrente non indica le norme a sostegno del motivo, ma solo le ragioni per una decisione nel merito. In secondo luogo, il ricorrente riepiloga la vicenda processuale al fine di giungere alla conclusione che il secondo atto impositivo non costituisca reiterazione del primo, così intendendo giungere a un diverso apprezzamento delle emergenze processuali per un diverso accertamento in fatto, precluso in sede di legittimità.
Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi € 8.200,00, oltre € 200,00 per esborsi, 15% rimborso spese generali e accessori di legge; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 22 ottobre 2024