Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18330 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 18330 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/07/2025
Oggetto: Art. 57 D.Lgs. 546/1992 – Divieto dei nova – Motivazione parvente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 25243/2016 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME e NOME COGNOME, rappresentati e difesi, in virtù di procure speciali in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dei difensori;
–
contro
ricorrente
–
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del l’Abruzzo, Sezione Staccata di Pescara, n. 470/06/2016, depositata il 6 maggio 2016.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 3 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi per la ricorrente l’Avv. dello Stato NOME COGNOME e per i controricorrenti l’ Avv. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
A seguito di verifica fiscale l ‘Agenzia delle Entrate di Pescara recuperava a tassazione, ai fini IRAP ed IVA, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti, per brevità, solo RAGIONE_SOCIALE), per l’anno di imposta 2005, costi contabilizzati non documentati relativi alla costruzione di due complessi immobiliari (Residence Tour e Parco del Sole), rideterminando il reddito della società in Euro 522.544,00, imputandolo ai soci (NOME COGNOME e NOME COGNOME) ai fini IRPEF in proporzione della rispettiva quota di partecipazione societaria.
L’Ufficio riscontrava significative anomalie nei contratti di appalto stipulati tra la società ed i vari fornitori, in relazione al mancato rispetto di specifiche clausole contrattuali.
Venivano, quindi, emessi distinti avvisi di accertamento, autonomamente impugnati dalla società e dai soci innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Pescara, che, riuniti i ricorsi, li accoglieva, fatta eccezione per la posizione di NOME COGNOME in relazione alla quale confermava la ripresa relativa alle schede carburante.
L ‘Agenzia proponeva gravame innanzi alla Commissione tributaria regionale del l’Abruzzo, Sezione Staccata di Pescara, deducendo che la documentazione prodotta dalla società contribuente non fosse idonea a dimostrare la rilevanza fiscale del costo; in particolare, eccepiva la mancata accettazione, da parte del committente, dei lavori appaltati.
I contribuenti si costituivano eccependo, preliminarmente, l’inammissibilità, ex art. 57 d.lgs. n. 546/1992, del motivo relativo alla mancata accettazione dei lavori appaltati.
La CTR preliminarmente dichiarava inammissibile il motivo relativo alla ‘supposta indeducibilità di costi conseguente alla mancata accettazione dei committenti’ (pag. 3 della sentenza), in quanto nuovo, non essendo stato dedotto con il ricorso introduttivo. Nel merito, confermava la decisione di primo grado evidenziando che ‘la società appellata per ciascun costo riportato nelle fatture contestate dall’Ufficio ha fornito ampie e condivisibili giustificazioni contrapponendo alle pretese tributarie dell’Uffic io elementi documentali di chiaro riscontro motivazionale circa le supposte anomalie contestate dall’Ufficio’ (sempre pag. 3).
L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. I contribuenti resistono con controricorso eccependo, preliminarmente, l’inammissibilità dell’impugnazione in quanto involgente questioni di fatto.
All’esito dell’udienza pubblica del 24/01/2025 questa Corte, rilevata la mancata comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza ai controricorrenti, rinviava la causa a nuovo ruolo (ord. n. 4423/2025).
Fissata l’udienza pubblica del 03/06/2025, il Sostituto Procuratore Generale, nella persona del dott. NOME COGNOME ha depositato memoria con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
I contribuenti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
All’udienza pubblica del 03/06/2025 il Sostituto Procuratore Generale, nella persona del dott. NOME COGNOME si è riportato alle conclusioni rese nella memoria; il patrono erariale ha chiesto accogliersi il ricorso; l’avvocato de i controricorrenti ha chiesto dichiararsi inammissibile o, comunque, rigettarsi il ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va, preliminarmente, rigettata l’eccezione di inammissibilità proposta dai controricorrenti, non involgendo i motivi del ricorso questioni di fatto, bensì di puro diritto (v. infra ).
Con il primo motivo l ‘Ufficio lamenta , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la «violazione e falsa applicazione dell’art. 57 Dlgs.n. 546/92».
Deduce che erroneamente la CTR avrebbe ritenuto ‘nuovo’ il motivo di gravame relativo alla mancata accettazione dei costi da parte dei committenti. Sostiene, di contro, che esso integri ‘un mero approfondimento delle implicazioni dell’assenza dei s.a.l.’ (già specificata nell’avviso di accertamento), re sosi necessario onde confutare la decisione di primo grado circa la natura meramente formale della ‘non corrispondenza fra elementi contrattuali ed elementi contabili’ (pag. 8 del ricorso).
Il motivo è fondato.
2.1. È noto che il divieto di ius novorum in grado di appello è stato introdotto nel 1992 (art. 57 d.lgs. n. 546/1992), difettando, di contro, una espressa disciplina in tal senso nella pregressa normativa del processo tributario (d.P.R. n. 636/1972).
Dottrina e giurisprudenza concorde di questa Corte ( ex multis , Cass. 26/03/2002, n. 4335 e Cass. 24/12/2020, n. 29526) ritengono che, sebbene sia precluso all’Ufficio di introdurre nuove ragioni a sostegno della pretesa impositiva, ciò non discende dalla previsione dell’art. 57 del d.lgs. n. 546/1992 bensì semmai dal divieto di modificare, in sede giudiziale, la motivazione dell’atto im positivo impugnato. Il predetto divieto costituisce la naturale e logica contropartita del principio per cui i motivi di nullità e/o illegittimità dell’atto impositivo devono necessariamente essere dedotti dal contribuente quali motivi del ricorso introduttivo; il contribuente, quindi, non potrebbe difendersi da contestazioni e motivazioni diverse ed ulteriori rispetto a quell e inserite nell’atto impositivo e
presentate solo successivamente, in corso di causa, ed è per questo che è preclusa all’Amministrazione finanziaria l’introduzione di pretese nuove rispetto all’atto già nel processo di primo grado (a maggior ragione nel grado di appello) indipendentemente dal divieto contenuto nell’art. 57. In altri termini, l’oggetto del processo tributario è circoscritto ai presupposti di fatto e alle ragioni di diritto contenuti nell’atto impositivo ed ai motivi di ricorso proposti dal contribuente in primo grado (Cass. n. 29526/2020 cit.).
Si è correttamente affermato, quindi, che è soltanto il contribuente a poter in teoria presentare domande, con il ricorso introduttivo o con il ricorso in appello, per ottenere l’eliminazione dell’atto impugnato ovvero la riduzione delle sue conseguenze e, pertanto, è nei suoi confronti che opera effettivamente e propriamente il divieto di cui all’art. 57 cit.. Il giudizio tributario è volto esclusivamente a verificare la legittimità, formale e sostanziale dell’atto impositivo impugnato, per cui l’Amministr azione finanziaria convenuta in primo grado non può presentare domande riconvenzionali né, a maggior ragione, domande nuove in appello; l’indagine sul rapporto tributario è limitata al riscontro della consistenza della pretesa fatta valere con gli atti impositivi indicati nell’art. 19 d.lgs. n. 546/1992 (Cass. 31/08/2022, n. 25635).
Questa Corte ha precisato che il processo tributario, in quanto rivolto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento impositivo, è strutturato come un giudizio di impugnazione del provvedimento stesso, nel quale l’Ufficio assume la veste di attore in senso sostanziale, e la sua pretesa è quella risultante dall’atto impugnato, sia per quanto riguarda il petitum sia per quanto riguarda la causa petendi . Tale caratteristica circoscrive il dibattito alla pretesa effettivamente avanzata con detto atto alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati ed entro i limiti delle contestazioni mosse dal contribuente. Da tale principio discende che la novità delle difese dell’Amministrazione finanziaria che ha emesso l ‘atto impositivo impugnato deve essere
necessariamente verificata in base, non solo (e/o non tanto), alle controdeduzioni di primo grado della stessa, ma, soprattutto, in stretto riferimento alla pretesa effettivamente avanzata con detto atto, ovvero alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati (Cass. 27/09/2019, n. 17231; Cass. 07/10/2024, n. 26214).
Quello che, pertanto, l’Amministrazione finanziaria non può mutare sono i termini della contestazione, deducendo motivi diversi da quelli contenuti nell’atto di accertamento ed avanzando nell’appello pretese diverse, sotto il profilo del fondamento giustificativo e, dunque, sul piano della causa petendi , da quelle recepite nell’atto impositivo, altrimenti ledendosi la concreta possibilità per il contribuente di esercitare il diritto di difesa attraverso l’esternazione dei motivi di ricorso, i quali, necessariamente, vanno rapportati a ciò che nell’atto stesso risulta esposto (Cass. 10/05/2019, n. 12467).
Nello stesso senso si è precisato che nel processo tributario la parte resistente la quale, in primo grado, si sia limitata ad una contestazione generica del ricorso, può rendere specifica la stessa in sede di gravame poiché il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, posto dall’art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, riguarda solo le eccezioni in senso stretto e non anche le mere difese, che non introducono nuovi temi di indagine (Cass. 23/05/2018, n. 12651).
2.2. Nella specie la CTR, accogliendo l’eccezione di inammissibilità ex art. 57 d.lgs. n. 546/1992 sollevata dall’appellata, non si è conformata alla giurisprudenza sopra richiamata, tra l’altro affermando che il motivo de quo non era stato dedotto ‘in sede di ricorso introduttivo’, senza considerare che quest’ultimo era stato introdotto dalla contribuente, ovviamente, e non dall’Ufficio appellante.
Infatti, alla luce dei principi appena richiamati, deve ritenersi che l’Ufficio non abbia affatto proposto in appello domande e/o eccezioni nuove, avendo unicamente precisato la difesa già svolta in primo grado circa l’assenza dei s.a.l. e delle implicazioni di essa. In
tal modo non ha mutato la propria pretesa ( risultante dall’atto impugnato), sia per quanto riguarda il petitum sia per quanto riguarda la causa petendi .
Con il secondo motivo l’Agenzia delle entrate lamenta, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., la «violazione dell’art. 36, 2°c. n. 4 Dlgs n. 546/92», ovvero la inesistenza della motivazione della sentenza gravata avendo la CTR giudicato ‘ampia e condivisibile’ la documentazione depositata dalla controparte e ritenuto ‘convincenti ed attendibili’ le considerazioni dalla stessa esposte.
Con il terzo motivo l’Ufficio lamenta la violazione degli artt. 109 t.u.i.r., 2697, 2709 e 2727 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.; sostiene, in particolare, che ‘l’assoluta genericità della condivisione della documentazione avversaria’ non possa essere fondata sulla ‘mancata controdeduzione analitica dell’Ufficio a documentazione e tesi di parte’ (pag. 9 del ricorso), incombendo sul contribuente l’onere della prova dei costi e, nella specie, era stato adempiuto mediante il deposito di documenti provenienti dalla stessa contribuente, inidonei, pertanto, a corroborare le dichiarazioni dei terzi.
I due motivi possono essere trattati congiuntamente, poiché condividono un nucleo censorio comune, ovvero il deficit motivazionale della sentenza gravata.
I motivi sono fondati.
5.1. Giova premettere che secondo la giurisprudenza di questa Corte «la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza
impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Cass., Sez. U., 07/94/2014 n. 8053).
Inoltre, la motivazione è solo «apparente» e la sentenza è nulla quando benché graficamente esistente, non renda percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit.).
Si è, più recentemente, precisato che «in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali» (Cass. 03/03/2022, n. 7090).
5.2. Orbene, nel caso di specie, la CTR ha, come supra riportato, ritenuto che la società contribuente avesse fornito ampie e condivisibili giustificazioni dei costi riportati nelle fatture contestate dall’Ufficio.
Dette affermazioni, per la loro genericità (non viene nemmeno indicata la natura e/o la tipologia dei documenti prodotti dalla contribuente), non consentono in alcun modo di apprezzare l’iter logico posto a fondamento della decisione di appello e di verificare le ragioni che hanno indotto la CTR a confermare la decisione di prime cure.
5.3. Sussiste, altresì, la violazione di legge denunciata nel terzo motivo, con cui viene sostanzialmente contestata la tenuta del ragionamento inferenziale costruito dalla CTR sulle dichiarazioni dei terzi (ossia i fornitori), in quanto non contestate (nella loro valenza e contenuto) dall’Ufficio.
A ben vedere, infatti, l’ Agenzia non aveva alcun onere di contestare i documenti ex adverso prodotti, dovendo piuttosto la CTR vagliarne la valenza probatoria, con particolare riferimento sia a quelli provenienti dalla stessa parte (ossia alla contabilità della società , ai sensi dell’art. 2709 cod. civ. ) sia alle dichiarazioni sostitutive di atto notorio provenienti dai terzi/fornitori. Queste ultime andavano (come affermato dalla stessa CTR) corroborate da ulteriori elementi, che però non sono stati indicati nella sentenza (fatta eccezione per la considerazione, meramente ipotetica e, perciò, neutra, relativa alla scarsa credibilità del rilascio di una dichiarazione mendace dei fornitori, i cui ricavi erano, comunque, assoggettati ad imposizione).
I primi tre motivi vanno, quindi, accolti, con assorbimento del quarto, con il quale l’Ufficio lamenta l’omesso esame di fatti decisivi e oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ.).
In base alle considerazioni svolte la sentenza di appello va cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, Sezione Staccata di Pescara, in diversa composizione, perché proceda a nuovo esame in relazione alle censure accolte ed alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, Sezione Staccata di Pescara, in diversa composizione, perché proceda a nuovo esame in relazione alle censure accolte e provveda anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3 giugno 2025.