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Distribuzione indiretta utili: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha stabilito che, per verificare la distribuzione indiretta di utili in un’associazione sportiva, il compenso da confrontare con i contratti collettivi è il salario lordo corrisposto al lavoratore, non il costo aziendale complessivo. L’ordinanza analizza il caso di un’associazione a cui erano stati revocati i benefici fiscali per aver pagato compensi ritenuti eccessivi ai propri soci e un canone di locazione fuori mercato. La Corte ha accolto il motivo relativo ai compensi, cassando la sentenza precedente, e ha dichiarato inammissibile quello sul canone di locazione per il principio della ‘doppia conforme’.

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Pubblicato il 25 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Distribuzione Indiretta di Utili: La Cassazione e i Compensi nelle Associazioni Sportive

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un’interpretazione cruciale per le associazioni sportive dilettantistiche (ASD) e le società sportive (SSD) riguardo alla distribuzione indiretta di utili. La sentenza chiarisce come debbano essere calcolati i compensi corrisposti a soci e collaboratori per non incorrere nella perdita dei benefici fiscali. La decisione sottolinea l’importanza di un’interpretazione letterale della norma, respingendo calcoli basati sul più ampio ‘costo aziendale’.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a una società sportiva dilettantistica a responsabilità limitata. L’autorità fiscale contestava la perdita della qualifica di ente non commerciale per l’anno d’imposta 2014, con conseguente recupero di imposte (IRES, IVA, IRAP).
Le contestazioni principali erano due:
1. L’erogazione a due soci, che operavano come istruttore e amministrativo, di compensi superiori di oltre il 20% rispetto a quelli previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) di settore.
2. Il pagamento di un canone di affitto per l’azienda (la palestra) a una società immobiliare collegata, ritenuto notevolmente superiore ai valori di mercato.

Secondo l’Agenzia, entrambe le condotte configuravano una distribuzione indiretta di utili, vietata per gli enti che beneficiano di regimi fiscali agevolati. Mentre i giudici di primo e secondo grado avevano dato ragione alla società, l’Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso e la Disciplina della Distribuzione Indiretta di Utili

Il ricorso dell’Agenzia si fondava su due motivi principali, entrambi incentrati sulla violazione delle norme che regolano la distribuzione indiretta di utili.

Il Calcolo dei Compensi Eccessivi

Il primo motivo riguardava la violazione dell’art. 10, comma 6, lettera e), del D.Lgs. 460/1997. Questa norma stabilisce una presunzione legale di distribuzione indiretta di utili qualora un ente non profit corrisponda a lavoratori dipendenti ‘salari o stipendi superiori del 20 per cento rispetto a quelli previsti dai contratti collettivi di lavoro per le medesime qualifiche’.

L’Agenzia sosteneva che i giudici di merito avessero errato nel calcolo, accogliendo la tesi della società secondo cui il confronto andava fatto non sul compenso lordo percepito dal lavoratore, ma sul ‘costo aziendale’ complessivo (che include anche gli oneri contributivi e fiscali a carico del datore di lavoro). Secondo l’Agenzia, la norma parla chiaramente di ‘salari o stipendi corrisposti’, un concetto che si riferisce alla retribuzione lorda del lavoratore, non all’esborso totale dell’azienda.

L’Anomalia del Canone di Affitto

Il secondo motivo denunciava l’omesso esame di un fatto decisivo: i legami tra la società sportiva e la società immobiliare proprietaria dei locali. Entrambe le entità erano amministrate dalle stesse persone. Secondo l’Agenzia, questa circostanza non era stata adeguatamente valutata dai giudici di merito e avrebbe dovuto portare alla conclusione che l’elevato canone di affitto era stato concordato per trasferire occultamente utili, mascherandoli da costi operativi.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha analizzato separatamente i due motivi, giungendo a conclusioni opposte.

L’Analisi sul Compenso Eccessivo: Vince l’Interpretazione Letterale

Sul primo motivo, la Corte ha dato pienamente ragione all’Agenzia delle Entrate. Ha affermato che la norma in questione è una norma ‘antielusiva’ che crea una presunzione legale assoluta. Il suo testo è chiaro e non lascia spazio a interpretazioni estensive.
La dicitura ‘corresponsione ai lavoratori dipendenti di salari o stipendi’ si riferisce inequivocabilmente alla retribuzione lorda che entra nella disponibilità del lavoratore, prima delle ritenute fiscali. Non si può far riferimento al ‘costo aziendale’, che è una grandezza diversa e più ampia. Pertanto, il confronto per verificare il superamento della soglia del 20% deve avvenire tra:

* Il compenso lordo erogato dalla società al collaboratore/socio.
* Il salario lordo previsto dal CCNL di riferimento per la medesima qualifica.

I giudici hanno quindi stabilito che la Corte territoriale aveva errato nell’interpretare la legge, accogliendo una tesi difensiva (‘il costo azienda’) che non trova fondamento nel dato letterale della norma.

L’Inammissibilità del Motivo sull’Affitto per ‘Doppia Conforme’

Riguardo al secondo motivo, relativo al canone d’affitto, la Cassazione lo ha dichiarato inammissibile. La ragione risiede nel principio processuale della ‘doppia conforme’ (art. 348 ter c.p.c.). Poiché sia il tribunale di primo grado sia la corte d’appello avevano rigettato le argomentazioni dell’Agenzia basandosi su un medesimo percorso logico-argomentativo (fondato principalmente sulla perizia che stimava il canone), non era possibile contestare in Cassazione un presunto ‘omesso esame di fatto decisivo’. In sostanza, il fatto (i legami tra le società) era stato esaminato, ma ritenuto non decisivo da entrambi i giudici di merito.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha accolto il primo motivo del ricorso, ha dichiarato inammissibile il secondo, ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte di Giustizia Tributaria regionale per un nuovo esame.

Il principio di diritto stabilito è di fondamentale importanza: per evitare di incorrere nella presunzione di distribuzione indiretta di utili, le associazioni e società sportive devono assicurarsi che i compensi lordi pagati a soci, amministratori e collaboratori non superino del 20% i salari lordi previsti dai CCNL di settore per qualifiche equivalenti. Qualsiasi calcolo basato su grandezze diverse, come il costo aziendale, è errato e non protegge da contestazioni fiscali. Questa sentenza impone quindi la massima attenzione e rigore nella determinazione delle retribuzioni all’interno del mondo no-profit e sportivo.

Come si calcola il compenso per verificare la distribuzione indiretta di utili?
Il confronto deve essere fatto tra il salario lordo effettivamente corrisposto al lavoratore/collaboratore e la retribuzione lorda prevista dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) di riferimento per la medesima qualifica. Non si deve considerare il costo aziendale complessivo, che include anche gli oneri a carico del datore di lavoro.

Cosa succede se un’associazione sportiva paga compensi superiori al limite del 20% previsto dalla legge?
Scatta una presunzione legale di distribuzione indiretta di utili. Di conseguenza, l’associazione perde il diritto ai regimi fiscali agevolati (come quello previsto dalla L. 398/1991) e viene considerata un ente commerciale a tutti gli effetti, con l’obbligo di pagare le imposte ordinarie (IRES, IRAP, IVA).

Perché il motivo di ricorso sul canone di affitto eccessivo è stato dichiarato inammissibile?
È stato dichiarato inammissibile a causa del principio della ‘doppia conforme’. Poiché sia il giudice di primo grado che quello di secondo grado avevano raggiunto la stessa conclusione basandosi su un percorso argomentativo simile, la legge preclude un ulteriore esame del fatto in sede di Cassazione sotto il profilo del vizio di motivazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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