Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24650 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24650 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8657/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro-tempore, con sede Empoli (FI), INDIRIZZO, rappresentata e difesa dal prof. avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ;
-resistente – avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana n. 972/2023, depositata il 10 ottobre 2023;
AVVISO DI ACCERTAMENTO -RITENUTE ALLA FONTE 20142015-2016
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza in camera di consiglio del 21 maggio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
viste le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del sost. proc. gen. NOME COGNOME con cui ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
-Rilevato che:
1. All’esito di verifica fiscale e sulla base di processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, notificato il 12 luglio 2018, l’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale di Firenze notificava in data 13 agosto 2019 alla società RAGIONE_SOCIALE i seguenti avvisi di accertamento: a ) avviso di accertamento n. T8B072001434/2019, con il quale veniva contestata alla suddetta società la genuinità e legittimità dei contratti di distacco temporaneo di personale intervenuti, in àmbito comunitario, negli anni dal 2012 al 2016 tra la stessa RAGIONE_SOCIALE e la società di diritto portoghese RAGIONE_SOCIALE, con sede in Lagoa (Portogallo), e quindi l’omesso versamento, per l’anno 201 4, delle ritenute alla fonte IRPEF con riferimento al personale in questione , per l’importo di € 38.594,00, oltre addizionali, interessi e sanzioni; b ) avviso di accertamento n. T8B072001442/2019, con il quale venivano recuperate ritenute alla fonte, sempre per la ritenuta fittizietà e non genuinità dei rapporti di lavoro suindicati, per l’importo di € 37.986,00 per l’anno 2015, oltre addizionali, interessi e sanzioni; c ) avviso di accertamento n. T8B072001445/2019, con il quale venivano recuperato analoghe ritenute alla fonte, per l’anno d’imposta
2016, per l’importo di € 32.278,00, oltre addizionali, interessi e sanzioni.
Gli avvisi in questione venivano impugnati, con separati ricorsi, dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Firenze la quale, previa riunione degli stessi, con sentenza n. 88/2021, depositata il 12 febbraio 2021, li rigettava, condannando la RAGIONE_SOCIALE alla rifusione delle spese di lite.
Interposto appello da parte della contribuente soccombente, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (nuova denominazione della Commissione Tributaria Regionale) della Toscana, con sentenza n. 972/2023, pronunciata il 28 settembre 2023 e depositata in segreteria il 10 ottobre 2023, rigettava il gravame, condannando l’appellante al pagamento delle spese di giudizio.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE sulla base di quattro motivi (ricorso notificato il 5 aprile 2024).
L’Agenzia delle Entrate ha resistito in giudizio ai soli fini della eventuale partecipazione all’udienza di d iscussione, ai sensi dell’art. 370, comma 1, c.p.c.
Con decreto del 24 febbraio 2025 è stata, quindi, fissata la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione per l’adunanza in camera di consiglio del 21 maggio 2025, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1 c.p.c.
E’ intervenuto in giudizio il Pubblico Ministero, in persona del sost. proc. gen. NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso .
La ricorrente ha depositato memoria.
-Considerato che:
Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso la RAGIONE_SOCIALE denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 112 e 132 c.p.c. e 36 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deduce, in particolare, che la sentenza impugnata sarebbe da ritenersi nulla per mancanza di motivazione e per omesso esame sulle domande proposte, per avere la CGT di secondo grado accolto integralmente la prospettazione difensiva dell’Ufficio, senza però indicare alcun elemento in base al quale aveva ritenuto di non accogliere alcuna delle richieste di parte contribuente.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione della Direttiva CE n. 96/71/CE del 16 dicembre 1996, del Regolamento CE n. 987/2009 del 16 settembre 2009, nonché degli artt. 1-3 del d.lgs. 22 febbraio 2000, n. 72, 30 del d.lgs. n. 10 settembre 2003, n. 276 e 113 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Rileva, in particolare, che la Corte regionale avrebbe erroneamente ritenuto applicabile, nella specie, la normativa di cui al d.lgs. n. 276/2003 che, in realtà, era applicabile soltanto in materia di distacco di lavoratori in àmbito nazionale, nel mentre l’unica disciplina applicabile, nella specie, era quella di cui al d.lgs. n. 72/2000 (attuativa della Direttiva CE n. 96/71/CE), le cui condizioni erano state, nel caso di specie, rispettate.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente prospetta la violazione e falsa applicazione della Direttiva CE n. 96/71/CE del 16 dicembre 1996, del Regolamento CE n. 883/04 del 29 aprile 2004, del Regolamento CE n. 987/2009 del 16 settembre 2009, nonché degli artt. 1 -3 del d.lgs. n. 72/2000 e dell’ art. 30 del d.lgs. n. 276/2003, nonché, ancora, della legge 10 luglio 982 n. 562 , dell’ art. 51 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e dell’art. 23 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; infine, degli artt. 1321-1349, 1362-1371, 1375, 2697 ss. c.c. e 115-116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Rileva, in particolare, che la sentenza impugnata si sarebbe dovuta considerare errata anche in punto di una pretesa fittizietà ed inesistenza del contratto di distacco comunitario intervenuto tra la società portoghese RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, trattandosi invece di distacco autentico ed effettivo.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, infine, viene denunciata la violazione dell’art. 51 del d.P.R. n. 917/1986 e degli artt. 23 ss. d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Osserva la ricorrente che, ove si volesse confermare la fittizietà dei rapporti di lavoro in questione, in ogni caso le ritenute IRPEF alla fonte sui trattamenti retributivi corrisposti ai lavoratori in questione non avrebbero potuto calcolarsi sugli interi importi fatturati dalla società portoghese RAGIONE_SOCIALE in relazione a tali distacchi, posto che tali importi comprendevano, oltre che la retribuzione legalmente e contrattualmente dovuta e pagata ai lavoratori in questione dalla società portoghese, anche i contributi previdenziali dovuti
dal datore di lavoro e già pagati all’istituto di previdenza portoghese, nonché le ritenute fiscali operate sulle retribuzioni versate a tali lavoratori e già girate al Ministero delle Finanze portoghese e, infine, le ritenute previdenziali dovute dai lavoratori stessi sulle retribuzioni loro versate, operate e girate all ‘istituto previdenziale portoghese, ragion per cui il complessivo importo a titolo retributivo su cui si sarebbero dovute calcolare le ritenute alla fonte era ben più ridotto rispetto a que llo utilizzato dall’Agenzia delle Entrate.
Così delineati i motivi di ricorso, la Corte osserva quanto segue.
2.1. Il primo motivo è infondato.
La ricorrente lamenta un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere riportato pedissequamente le prospettazioni difensive dell’Ufficio, senza prendere in considerazioni le argomentazioni di parte contribuente.
Come è noto, il sindacato di legittimità sulla motivazione è circoscritto alla verifica del rispetto del c.d. minimo costituzionale, nel senso che l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce – con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza – nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile. Infatti, dopo la riformulazione dell’art. 360, comma 1, num. 5),
c.p.c. (ad opera dell’articolo 54 del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2012, n. 134), non è più consentito censurare in sede di legittimità la contraddittorietà o l’insufficienza della motivazione, essendo evidente che ammettere, in sede di legittimità, la verifica della sufficienza o della razionalità della motivazione in ordine alle quaestiones facti significherebbe consentire un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053 e, da ultimo, Cass. 28 aprile 2023, n. 11263; Cass. SU 7 aprile 2023, n. 9543).
A tal proposito, la violazione del principio del c.d. minimo costituzionale è individuabile nei soli casi – che si tramutano in vizio di nullità della sentenza per difetto del requisito di cui all’articolo 132, comma 2, num. 4) c.p.c., e, nel processo t ributario, all’art. 36, comma 2, num. 4), d.lgs. n. 546/1992 -di «mancanza assoluta di motivi sotto il profilo materiale e grafico», di «motivazione apparente», di «contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili» e di «motivazione perplessa od incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza della mera «insufficienza» o «contraddittorietà» della motivazione (v., per tutte, Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053, cit.).
Nel caso di specie, tale minimo costituzionale risulta comunque raggiunto, in quanto la Corte territoriale ha, sia pur sinteticamente, spiegato che, a suo avviso, nel caso di specie mancavano i requisiti della temporaneità del distacco, ed essendo i lavoratori assoggettati alle decisioni del datore di
lavoro, ragion per cui la ricostruzione operata dall’Ufficio appariva attendibile.
Va rilevato, peraltro, che la motivazione per relationem alle difese di parte non inficia né l’argomentazione, essendo legittima quando il giudice adotta le considerazioni di un atto di parte per economia di scrittura, né il contraddittorio, a condizione che il giudice abbia espresso una convinzione autonoma. Una sentenza che riproduce un atto di parte senza aggiunte è valida se le ragioni sono chiare, univoche ed esaustive, attribuibili al giudice. Questa pratica non implica parzialità, poiché il giudice non è tenuto all’originalità nei contenuti o nella forma, secondo le norme costituzionali e processuali (Cass. 29 febbraio 2024, n. 5393).
Nella fattispecie in esame, è evidente che la Corte, nel riportare le argomentazioni difensive dell’Ufficio, ha ritenuto di condividerle e farle proprie, ragion per cui la stessa Corte ha comunque esplicitato le ragioni a fondamento della propria decisione.
Il motivo in questione, peraltro, è da considerare inammissibile nella parte in cui lamenta un vizio di omessa pronuncia sulle questioni sottoposte all’attenzione con l’atto di appello, non specificandosi in alcun modo quali fossero tali questioni, e quindi difettando del requisito della c.d. autosufficienza.
2.2. Il secondo motivo è, invece, fondato.
Il contratto di distacco di personale di cui si discute in causa è intervenuto non in ambito nazionale italiano, ma in ambito comunitario tra la società portoghese RAGIONE_SOCIALE quale parte distaccante, e la società RAGIONE_SOCIALE quale parte distaccataria.
Si è, dunque, in presenza di un contratto che ha riguardato un’impresa stabilita in uno Stato membro dell’Unione Europea diverso dall’Italia (il Portogallo), e cioè la società portoghese RAGIONE_SOCIALE, la quale, nell’ambito d i una prestazione di servizi transnazionali, ha distaccato dei suoi lavoratori autisti in territorio italiano, in forza di un contratto di distacco concluso con un’impresa distaccataria stabilita in Italia, e cioè la società italiana RAGIONE_SOCIALE, durante il quale i lavoratori distaccati sono continuati ad essere dipendenti di tale impresa distaccante portoghese, ed hanno semplicemente operato di fatto sul territorio italiano, presso tale impresa distaccataria italiana, solo per periodi determinati.
Orbene, tale contratto di distacco temporaneo di personale intervenuto in ambito comunitario, dal Portogallo verso l’Italia, era ed è da considerare sottoposto al solo rispetto della normativa comunitaria e nazionale italiana all’epoca del 2014 -2016 vigente ed applicabile al caso di distacco comunitario di specie, e, in particolare, soltanto alle seguenti normative: a ) la Direttiva CE n. 96/71/CE del 16 dicembre 1996; b ) il Regolamento CE n. 883/04 del 29 aprile 2004; c ) il Regolamento CE n. 987/2009 del 16 settembre 2009; d ) il decreto legislativo italiano n. 72 del 22 febbraio 2000, che all’epoca ha dato attuazione alla Direttiva CE n. 96/71/CE.
Invero, al caso di specie non si applicava e non si applica in alcun modo la norma contenuta nell’art. 30 del d.lgs. n. 276/2003, atteso che tale norma ha riguardo ed opera esclusivamente nei confronti del distacco nazionale tra imprese entrambe italiane, che non è, pacificamente, il caso in
questione, che riguarda, invece, solo un distacco in ambito comunitario.
Inoltre, al caso qui in questione non si applica neppure il decreto legislativo n. 136 del 17 luglio 2016, atteso che esso è entrato in vigore solo a decorrere dal 22 luglio 2016 ed ha avuto applicazione solo relativamente ai contratti di distacco comunitario sottoscritti a partire da tale data in avanti (essendo norma irretroattiva ex art. 11, comma 1, delle disposizioni sulla legge in generale), e non relativamente ai contratti di distacco comunitario precedentemente instaurati, come quelli oggetto del presente giudizio, che sono stati instaurati precedentemente ed ai quali perciò ha continuato ad applicarsi la normativa contenuta nel d.lgs. n. 72/2000 fino alla loro scadenza, come precisato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con la circolare n. 3 del 22 dicembre 2016.
Pertanto, all’epoca dei fatti di cui si discute , gli artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 72/2000, attuativo della Direttiva CE n. 96/71/CE, in materia di distacco transnazionale c.d. comunitario, prevedevano che esso si realizzasse legittimamente, per il solo fatto che, semplicemente, una impresa stabilita in uno Stato membro dell’Unione Europea diverso dall’Italia (quale era la società portoghese RAGIONE_SOCIALE, in occasione di una prestazione di servizi transnazionale, per un periodo limitato e sin dall’inizio previamente predeterminato contrattualmente, effettuasse il distacco di uno o più lavoratori, per conto proprio e sotto la sua direzione, in territorio nazionale italiano, nell’ambito di un contratto concluso con il destinatario della prestazione di servizi che operasse in territorio italiano (quale era la RAGIONE_SOCIALE, purché, durante il periodo di distacco, continuasse
ad esistere un rapporto di lavoro tra il lavoratore distaccato e l’impresa distaccante ed il lavoratore distaccato fosse chiamato ad operare sul territorio dell’impresa distaccataria .
Del resto, proprio con riguardo ad un’ipotesi di distacco comunitario relativa ad un lavoratore svolgente attività di autista nel settore del trasporto internazionale su strada, la Grande Sezione della Corte di Giustizia UE ha avuto l’occasione di precisare, con riferimento alla Direttiva CE n. 96/71/CE, che tale lavoratore è legittimamente definibile come un lavoratore distaccato comunitario da uno stato membro presso un diverso stato membro, qualora, semplicemente ed effettivamente, come è avvenuto nel caso in esame, egli svolga, per un certo determinato periodo di tempo, il proprio lavoro nel territorio di uno stato membro in cui opera il soggetto distaccatario, che è diverso dal territorio dello stato membro in cui opera il suo datore di lavoro distaccante (Corte Giustizia UE, sentenza 1° dicembre 2020 resa nella causa C-815/18).
2.3. Per effetto del l’accoglimento del secondo motivo, il terzo ed il quarto motivo vanno ritenuti assorbiti.
La sentenza impugnata deve essere quindi cassata, con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, affinché -sulla scorta della ricostruzione normativa e giurisprudenziale come in precedenza operata – accerti se sussistano, o meno, le condizioni suddette nella fattispecie in esame.
Al giudice di rinvio è rimessa anche la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbiti il terzo e quarto.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 21 maggio 2025.