Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7376 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7376 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 33133 -20 18 R.G. proposto da:
COGNOME NOME , rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, pec: EMAIL;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO, domicilia;
– controricorrente –
Oggetto: Tributi – disconoscimento copie documenti
avverso la sentenza n. 3183/10/2018 della Commissione tributaria regionale del LAZIO, Sezione staccata di LATINA, depositata il 15 maggio 2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/02/2024 dal AVV_NOTAIO;
Rilevato che:
In controversia relativa ad impugnazione di un atto di pignoramento presso terzi ex art. 72-bis del d.P.R. n. 602 del 1973 nonché degli atti ad esso prodromici, tra cui le cartelle di pagamento ed un avviso di intimazione di pagamento, la CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, Sezione staccata di Latina) dichiarava «il difetto di giurisdizione del giudice tributario in favore dall’A.G.O. con riferimento all’atto di pignoramento» e dichiarava inammissibile l’appello proposto dal contribuente con riferimento agli atti prodromici a quello di pignoramento. Sosteneva la CTR che l’amministrazione finanziaria aveva documentato la notifica dell’intimazione di pagamento mediante deposito alla Casa Comunale di Frosinone, con conseguente «decadenza del contribuente dalla possibilità di contestare eccezioni inerenti il merito delle pretese impositive e/o la maturazione di termini decadenziali o prescrizionali maturati antecedentemente alla notifica», sicché correttamente la CTP aveva dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione degli att i prodromici per tardività, e che non poteva essere accolto, perché generico, il disconoscimento della conformità agli originali delle copie fotostatiche delle relate di notifica delle cartelle di pagamento e dell’ intimazione di pagamento prodotte dall’agente della riscossione.
Avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui replica l ‘ intimata con controricorso.
Il ricorrente dava atto di aver riassunto la causa dinanzi al tribunale civile di Frosinone limitatamente all’impugnazione dell’atto di pignoramento e con istanza del 25 gennaio 2022 chiedeva a questa Corte di «valutare la situazione di fatto e diritto come modificatasi » all’esito dell’ordinanza del 12 febbraio 2021 con cui il Tribunale di Frosinone aveva accolto l’opposizione all’esecuzione dichiarando prescritti tutti i crediti portati dalle cartelle impugnate. Pronuncia che il ricorrente sostiene essere passata in giudicato per mancata impugnazione da parte dell’agente della riscossione.
Considerato che:
Va preliminarmente esaminata la questione posta dal ricorrente nella memoria del 12 febbraio 2021, intestata «dichiarazione di cessazione della materia del contendere», con cui viene chiesto a questa Corte di «valutare la situazione di fatto e diritto come modificatasi » all’esito dell’ordinanza del Tribunale di Frosinone del 12 febbraio 2021, che il ricorrente assume essere passata in giudicato, che ha accolto l’opposizione all’esecuzione proposta dal contribuente avverso l’atto di pignoramento presso terzi per l’intervenuta prescrizione di tutti i crediti portati dalle cartelle oggetto del presente giudizio.
1.1. La questione, che si risolve in una eccezione di giudicato esterno, formatosi successivamente alla sentenza impugnata (Cass. n. 15846 del 2023) e al ricorso in esame, è inammissibile. E’ noto, infatti che « La parte che eccepisce il passaggio in giudicato di una sentenza ha l’onere di fornirne la prova mediante produzione della stessa, munita della certificazione di cui all’art. 124 disp. att. c.pc., anche nel caso di non contestazione della controparte, restandone, viceversa, esonerata solo nel caso in cui quest’ultima ammetta esplicitamente l’intervenuta formazione del giudicato esterno» (Cass. n. 36258 del 2023; in termini, Cass.
6868 del 2022; n. 20974 del 2018), ma nel caso di specie la copia de ll’ordinanza del tribunale ordinario di Frosinone prodotta in atti non contiene alcuna attestazione in tale senso, né la parte ha prodotta altra idonea documentazione attestante la mancata impugnazione di tale pronuncia.
Venendo ai motivi di ricorso, con il primo viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2712, 2714, 2719, 2724 e 2725 cod. civ., 241 e 215 cod. proc. civ., 26 del d.P.R. n. 602 del 1973 e 60 del d.P.R. n. 600 del 1973. Sostiene che i giudici di appello avevano errato nel ritenere generico il disconoscimento della documentazione prodotta in giudizio dall’agente della riscossione a dimostrazione della regolarità e validità delle notifiche delle cartelle di pagamento e dell’intimazione di pagamento, tempestivamente effettuato da esso contribuente nella memoria depositata in primo grado in cui «effettuava formale ‘ disconoscimento della conformità agli originali delle copie fotostatiche prodotte in giudizio, docc. avversi da 1 a 20, ai sensi dell’art 2719 c.c.’ ».
Con il secondo motivo, formulato in via subordinata, viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 ( rectius : n. 4), cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 22 del d.lgs. n. 546 del 1992, per non avere la CTR disposto l’ordine di esibizione dell’originale dei documenti prodotti in copia dall’agente della riscossione.
Con il terzo motivo viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per motivazione apparente in punto di genericità del disconoscimento operato dal contribuente.
Va preliminarmente ricordato che il disconoscimento effettuato ai sensi dell’art. 2719 cod. civ., e, quindi, ponendo in discussione non l’autenticità del documento, ma soltanto la piena
corrispondenza della riproduzione fotografica al suo originale (Cass. n. 6176 del 2020), «impone che, pur senza vincoli di forma, la contestazione della conformità delle stesse all’originale venga compiuta, a pena di inefficacia, mediante una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all’originale, non essendo invece sufficienti né il ricorso a clausole di stile né generiche asserzioni. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha escluso che il contribuente avesse disconosciuto in modo efficace la conformità delle copie agli originali, in quanto, con la memoria illustrativa, si era limitato a dedurre la mancata produzione degli originali delle relate di notifica e la non conformità “a quanto espressamente richiesto” con il ricorso)» (Cass. n. 16557 del 2019; conf. Cass. n. 14279 del 2021; Cass. n. 40750 del 2021).
5.1. Invero, «perché possa aversi disconoscimento idoneo è necessario che la parte, nei modi e termini di legge, renda una dichiarazione che – pur nel silenzio della norma predetta, che non richiede forme particolari – evidenzi in modo chiaro ed inequivoco gli elementi differenziali del documento prodotto rispetto all’originale di cui si assume sia copia, senza che possano considerarsi sufficienti, ai fini del ridimensionamento dell’efficacia probatoria, contestazioni generiche o onnicomprensive (cfr. in tal senso Cass. n. 28096 del 30/12/2009 in tema di applicazione dell’art. 2719 cod. civ.). Il disconoscimento deve quindi ad es. contenere l’indicazione delle parti il cui la copia sia materialmente contraffatta rispetto all’originale; oppure le parti mancanti e il loro contenuto; oppure, in alternativa, le parti aggiunte; a seconda dei casi, poi, la parte che disconosce deve anche offrire elementi, almeno indiziari, sul diverso contenuto che il documento presenta nella versione originale» (Cass. n. 14279 del 2021, cit.).
5.2. Come correttamente precisato da Cass. n. 40750 del 2021, citata, «La contestazione della conformità all’originale degli atti prodotti in copia (art. 2719 c.c.), infatti, come qualsiasi domanda od eccezione, ha lo scopo di delimitare l’oggetto del contendere; e ciò non potrebbe avvenire se non quando quell’eccezione sia precisa e circostanziata. Sarebbe infatti incoerente con elementari canoni di logica, oltre che col principio costituzionale ed eurounitarrio di ragionevole durata del processo, supporre che nel processo fosse consentito sollevare eccezioni senza indicarne con chiarezza inequivoca il fondamento fattuale. Così, ad esempio, della copia d’un documento si potrà sempre negare che differisca dall’originale quanto alla sottoscrizione, oppure al contenuto, od ancora alla data, od anche a tutti questi elementi insieme; non può per contro ammettersi che la parte controinteressata a quel documento possa limitarsi ad eccepire che “la copia non è conforme”, e null’altro. Ciò ribalterebbe sulla controparte prima, e sul giudice poi, l’onere di intuire in cosa consista la difformità e di conseguenza su quali fatti occorra svolgere l’istruttoria: un esito incompatibile con la millenaria regola giuridica per cui in universo iure civili nemo divinare tenetur (tali princìpi generali, oggi pacifici, hanno formato tutti oggetto della fondamentale decisione pronunciata da Sez. U, Sentenza n. 761 del 23/01/2002, Rv. 551789). Qualsiasi contestazione in ambito processuale non può dunque essere ambigua o generica, perché lascerebbe irrisolto il dubbio se i fatti contestati in modo ambiguo debbano essere provati o meno. Per queste ragioni la contestazione generica deve ritenersi tamquam non esset : e ciò sia per quanto attiene le modalità di contestazione dei fatti processuali allegati dalla controparte; sia per quanto attiene le modalità di contestazione della conformità all’originale della copia di un documento».
5.3. A contrastare il principio sopra affermato il ricorrente indica tre pronunce di questa Corte, ovvero, la sentenza n. 14804 del 2014, la sentenza n. 4801 del 2017 e l’ordinanza n. 7465 del 2018.
5.4. Orbene, l’ampio numero di precedenti giurisprudenziali che hanno condiviso il principio qui condiviso, induce il Collegio a non poter dare seguito all’opposto principio affermato da Cass. n. 14804 del 2014 che, in effetti, ritiene efficace un disconoscimento effettuato mediante la mera dichiarazione che quella prodotta in giudizio era «fotocopia non conforme e come tale non avente alcuna validità probatoria». In realtà, in tale pronuncia la Corte ritiene l’eccezione « univoca e puntuale», ma omette di sindacarne la «specificità», nonostante avesse espressamente richiamato in motivazione «l’insegnamento di questa Corte a tenor del quale l’onere di disconoscere la conformità tra l’originale di una scrittura e la copia fotostatica della stessa prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l’uso di formule sacramentali, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto, che consenta di desumere da essa in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia, senza che possano considerarsi sufficienti, ai fini del ridimensionamento dell’efficacia probatoria, contestazioni generiche o onnicomprensive (cfr. Cass. 30.12.2009, n. 28096; cfr. altresì Cass. 21.11.2011, n. 24456, secondo cui, in tema di negazione di conformità di una copia all’originale, si richiede la precisione ed inequivocità della negazione)».
5.5. Le altre pronunce citate dal ricorrente, invece, non si pongono affatto in contrasto con il principio che qui si è riaffermato.
5.6. Invero:
nella sentenza n. 4801 del 2017 la Corte ritiene validamente effettuato il disconoscimento dei documenti sulla base di quanto
«evidenziato dall’intimato Fallimento (cfr. pagg. 15 e 16 del controricorso)», secondo cui «la società contribuente aveva “espressamente disconosciuto nella propria prima difesa successiva alla produzione (e ciò costituisce circostanza pacifica ed incontestata in atti), la conformità all’originale (perché per definizione non conformi secondo quanto in appresso) dei documenti 1-28 prodotti dall’agente della riscossione, come espressamente riconosciuto dal G.E. nel provvedimento del 16/10/2008 (di sospensione della esecuzione e fissazione del termine per l’instaurazione del giudizio di merito) e mai contestato ex adverso». Da tali affermazioni non può in alcun modo trarsi il convincimento che quel disconoscimento fosse stato effettuato in maniera generica;
– nel l’ordinanza n. 7465 del 2018 la Corte si occupa di questioni diverse (in particolare, della necessità – invero, correttamente esclusa – di proporre querela di falso per il disconoscimento di un documento e della tardività di quello effettuato in quel caso dalla parte contribuente) e comunque riafferma in motivazione il principio secondo cui «la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta (tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione) se la parte comparsa non la disconosca, in modo formale, e quindi specifico e non equivoco, alla prima udienza, ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione».
Da quanto fin qui detto consegue, quindi, che il primo motivo è infondato, il secondo è assorbito, posto che, a fronte della genericità del disconoscimento, i giudici di merito non avevano alcun obbligo di ordinare alla resistente il deposito in giudizio degli originali dei documenti prodotti semplicemente in copia. Invero, è principio consolidato quello secondo cui il giudice di merito è tenuto a disporre la produzione del documento in originale ex art. 22,
comma 5, del d.lgs. n. 546 del 1992 in presenza di una valida contestazione di conformità all’originale (Cass. n. 8446 del 2015, citata dal ricorrente; Cass. n. 11435 del 2018); circostanza nella specie non verificatasi.
Infondato è anche il terzo motivo con cui viene la sentenza impugnata viene censurata sul punto perché contenente una motivazione apparente.
7.1. E’ noto il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre quando il giudice, in violazione di un obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), ossia dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, omette di illustrare l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, ossia di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata . La sanzione di nullità colpisce, pertanto, non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione da punto di vista grafico o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e presentano “una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. U, n. 8053 del 7/4/2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, perchè dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione non consente di “comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato”, non assolvendo in tal modo alla finalità di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi ” (Cass.
Sez. U., n. 22232 del 3/11/2016). Come questa Corte ha più volte affermato, la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, n. 22232 del 2016, cit.; Cass. sez. 6- 5, ord. n. 14927 del 15/6/2017 conf. Cass. n. 13977 del 23/05/2019; cass. n. 29124/2021). Invero, si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente”, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., sez. 6-5, 28829 del 2021).
7.2. Orbene, nel caso di specie, i giudici di appello hanno ritenuto «generico» il disconoscimento effettuato dalla parte ricorrente e ciò hanno fatto dichiarando di conformarsi al principio (ri)affermato da questa Corte nella sentenza n. 15790 del 2016 secondo cui «l’onere di disconoscere la conformità tra l’originale di una scrittura e la copia fotostatica della stessa prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l’uso di formule sacramentali, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto che consenta di desumere da essa in modo inequivoco
gli estremi della negazione della genuinità della copia, senza che possano considerarsi sufficienti, ai fini del ridimensionamento dell’efficacia probatoria, contestazioni generiche o onnicomprensive». Pertanto, a fronte di un disconoscimento del tutto generico, la Corte territoriale non aveva alcun onere di specificare ulteriormente le ragioni della dichiarazione di inefficacia di quell’eccezione.
In estrema sintesi il ricorso va rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.700,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art . 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma in data 15 febbraio 2024