Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 28830 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 28830 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/10/2025
AVVISO DI ACCERTAMENTO -IRES-IVA-IRAP 2012.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13083/2024 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, con sede in Monte San Giovanni Campano (INDIRIZZO, INDIRIZZO, in persona del legale rappresentante protempore;
COGNOME NOME;
rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO in virtù di procura speciale a margine del ricorso,
-ricorrenti – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio n. 6816/2023, depositata il 28 novembre 2023;
udita la relazione svolta nell’adunanza in camera di consiglio del 9 settembre 2025 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; preso atto dell’intervento del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO. procAVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
-Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE notificava, in data 19 settembre 2017, alla RAGIONE_SOCIALE, avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO , con il quale, all’esito di una verifica fiscale da parte della Guardia di RAGIONE_SOCIALE, veniva disconosciuta l’attività di RAGIONE_SOCIALE dilettantistica (riqualificata come società di fatto) , ed i redditi relativi all’anno d’imposta 2012 erano assoggettati a regime ordinario, come redditi da attività commerciale, con rideterminazione di maggiore IRES (€ 19.073 ,00), IRAP (€ 3.343,4 0) ed IVA (€ 14.915,00).
L’avviso di accertamento in questione veniva notificato anche ai soci COGNOME NOME (in proprio e quale legale rappresentante), COGNOME NOME e COGNOME NOME.
L’RAGIONE_SOCIALE ed i soci impugnavano l’avviso di accertamento in questione dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di RAGIONE_SOCIALE la quale, con sentenza n. 901/2018, depositata il 18 dicembre 2018, accoglieva il ricorso proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME (in quanto non risultava che avessero svolto attività per conto dell’RAGIONE_SOCIALE, in rapporto alle operazioni da cui scaturiva il debito d’imposta), mentre rigettava il ricorso proposto dall’RAGIONE_SOCIALE e da COGNOME NOME, condannando quest’ultimo alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di lite.
Interposto gravame da parte de ll’RAGIONE_SOCIALE e del socio COGNOME NOME, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, con sentenza n. 6816/2023, pronunciata il 22 novembre 2023, e depositata in segreteria il 28 novembre 2023, rigettava l’appello, condannando gli appellanti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione l’RAGIONE_SOCIALE, nonché COGNOME NOME, sulla base di cinque motivi (ricorso notificato il 28 maggio 2024).
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
Con decreto presidenziale del 29 aprile 2025 è stata quindi fissata la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione per l’adunanza in camera di consiglio del 9 settembre 2025, sempre ai sensi degli artt. 375, comma 2, e 380bis .1 c.p.c.
E’ intervenuto il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO. proc. AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
– Rilevato che:
Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a cinque motivi.
1.1. Con il primo motivo i ricorrenti eccepiscono violazione dell’art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3) o, in subordine, num. 4), c.p.c.
Deducono, in particolare, che la C.T.R. aveva erroneamente escluso l’espletamento di accertamenti sulle condizioni reddituali di COGNOME NOME (che aveva inviato una segnalazione sull’RAGIONE_SOCIALE alla Guardia RAGIONE_SOCIALE, che aveva poi proceduto a verifica fiscale), nonché l’acquisizione RAGIONE_SOCIALE relative dichiarazioni dei redditi, documenti che erano nella
disponibilità della sola RAGIONE_SOCIALE, ed indispensabili per valutare l’attendibilità del denunciante.
1.2. Con il secondo motivo si eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deducono, in particolare, i ricorrenti che la Corte regionale non aveva fatto corretta applicazione della disposizione citata, non considerando che nelle dichiarazioni rese dalle persone ascoltate dalla Guardia di RAGIONE_SOCIALE esistevano, a detta della stessa, ‘plurime incongruenze’, che l’esposto di COGNOME NOME conteneva atti che non recavano alcuna sottoscrizione riconducibile all’RAGIONE_SOCIALE e che lo stesso COGNOME era del tutto inattendibile.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto in via subordinata, viene denunciata violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), dello stesso codice , per avere la C.G.T. di secondo grado affermato che « l’RAGIONE_SOCIALE correttamente ha inquadrato l’RAGIONE_SOCIALE tra gli enti soggetti all’imposta sul reddito RAGIONE_SOCIALE società », senza rendersi conto che il tenore RAGIONE_SOCIALE contestazioni svolte nei motivi di appello riguardavano non l’ an RAGIONE_SOCIALE rivendicazioni dell’Ufficio (legate alla natura commerciale dell’attività svolta dall’RAGIONE_SOCIALE per carenza dei presupposto per usufruire dei benefici fiscali riconosciuti alle ASD), ma il quantum dei ricavi ricostruiti , risultando dagli atti del giudizio l’esatto contrario .
1.4. Con il quarto motivo di ricorso viene eccepita la nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost., nonché degli artt. 132, comma 1, num. 4) e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), c.p.c. , per essere la sentenza impugnata affetta da carenza di motivazione.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso, infine, i contribuenti eccepiscono nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), dello stesso codice di rito, per avere omesso la C.T.R. di pronunciarsi su alcuni dei motivi di appello.
Così delineati i motivi di ricorso, la Corte osserva quanto segue.
2.1. Il primo motivo è infondato.
Ed invero, in tema di contenzioso tributario, l’art. 7 d.lgs. n. 546/1992, che prevede la possibile acquisizione d’ufficio di mezzi di prova, è norma eccezionale, la quale preclude al giudice di sopperire alle carenze istruttorie RAGIONE_SOCIALE parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori in un processo a connotato tendenzialmente dispositivo (Cass. 22 giugno 2010, n. 14960; Cass. 10 settembre 2007, n. 18976).
Il potere del giudice di disporre (anche d’ufficio) l’acquisizione di mezzi di prova è rimesso comunque alla sua discrezionalità, e non è sindacabile in sede di legittimità; esso, in ogni caso, presuppone l’insufficienza RAGIONE_SOCIALE prove nella disponibilità d elle parti, e la decisività dell’integrazione.
Nel caso di specie, le richieste istruttorie del ricorrente (acquisizione RAGIONE_SOCIALE informazioni sulle condizioni reddituali di COGNOME NOME, e cioè colui che, con il suo esposto, ha dato il via alla verifica fiscale) sono assolutamente irrilevanti ai fini della decisione, in quanto non riguardano in alcun modo la sussistenza del presupposto impositivo dei maggiori redditi accertati in capo alla RAGIONE_SOCIALE.
Correttamente, pertanto, la C.G.T. di secondo grado ha ritenuto di non procedere all’integrazione probatoria in questione.
2.2. Il secondo motivo è invece inammissibile.
Attraverso la dedotta violazione dell’art. 2697 c.c. (che riguarda la ripartizione dell’onere della prova), i ricorrenti, in realtà, censurano la valutazione in punto di fatto operata dalla Corte regionale, risolvendosi, AVV_NOTAIOanzialmente, in una mera richiesta di rivalutazione di merito del materiale probatorio del precedente grado di giudizio, sulla base del presupposto che l’Ufficio non avrebbe adeguatamente d imostrato la percezione, da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, di somme non registrate.
Sul punto, mette conto rilevare, al contrario, che la C.T.R. ha chiaramente evidenziato il materiale probatorio acquisito, ai fini del giudizio di conferma dell’avviso di accertamento (v. pagg 56 della sentenza d’appello: mancanza dei requisiti previsti dalla l. n. 398/1991; carenza del principio di democraticità; insussistenza di un reale vincolo associativo; mancanza di documentazione contabile; mancanza di iscrizione al CONI); inoltre, a fronte di tali elementi probatori, la C.T.R. ha chiarito che l’A ssociazione si era limitata a generiche asserzioni volte a mettere astrattamente in discussione la fondatezza della pretesa erariale, del tutto inidonee a giustificare i plurimi rilievi dell’Ufficio.
Di fronte a tale chiara ricostruzione probatoria effettuata dalla Corte territoriale, si sono, in realtà limitati a censurare genericamente, e nel merito, gli accertamenti effettuati, senza operare alcuna censura di legittimità, ma limitandosi ad afferma re che «l’Ufficio si è sottratto all’onere della prova, limitandosi a AVV_NOTAIOenere le proprie convinzioni sotto forma di mere petizioni di principio, prive di reali elementi oggettivi di riscontro e, per di più, senza tener conto di quanto ha rappresentato il contribuente nelle fasi di contraddittorio»,
affermazione, in realtà, smentita dl contenuto della motivazione in precedenza evidenziato.
2.3. Il terzo e quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, e sono infondati.
È noto che il sindacato di legittimità sulla motivazione è circoscritto alla verifica del rispetto del c.d. minimo costituzionale, nel senso che l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce – con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza – nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile. Infatti, dopo la riformulazione dell’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c. , non è più consentito censurare in sede di legittimità la contraddittorietà o l’insufficienza della motivazione, essendo evidente che ammettere, in sede di legittimità, la verifica della sufficienza o della razionalità della motivazione in ordine alle quaestiones facti significherebbe consentire un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito (da ultimo, Cass. 28 aprile 2023, n. 11263; Cass. 7 aprile 2023, n. 9543).
A tal proposito, la violazione del principio del c.d. minimo costituzionale è individuabile nei soli casi – che si tramutano in vizio di nullità della sentenza per difetto del requisito di cui all’articolo 132, comma 2, num. 4) c.p.c., e, nel processo t ributario, all’art. 36, comma 2, num. 4), d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – di «mancanza assoluta di motivi sotto il profilo materiale e grafico», di «motivazione apparente», di «contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili» e di «motivazione perplessa od incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza della mera «insufficienza» o «contraddittorietà» della motivazione (Cass. 18 agosto 2023, n. 24808).
In particolare, la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo – quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. 9 settembre 2022, n. 26618).
Nel caso di specie, tale minimo costituzionale appare sicuramente raggiunto, avendo la Corte territoriale chiaramente ed analiticamente indicato gli elementi probatori a fondamento della ripresa fiscale operata dall’Ufficio (v ., in particolare, le pagg. 5-6 della sentenza impugnata, richiamate in precedenza).
2.4. Anche il quinto motivo è infondato.
La RAGIONE_SOCIALE ha chiaramente spiegato le ragioni del rigetto dell’appello , e della conseguente fondatezza della pretesa erariale, e le questioni non esaminate devono ritenersi implicitamente rigettate.
Ed invero, la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia ricorre esclusivamente quando manchi del tutto la pronuncia del giudice del merito sulla domanda o su un capo di essa o su un’eccezione ritualmente proposte, AVV_NOTAIOanziandosi nella totale carenza di considerazione della questione sottoposta all’esame del giudice, il quale manchi completamente di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito di accoglimento o di rigetto. Tale vizio si distingue nettamente dal vizio di motivazione previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., il quale presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia stato, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico oppure si sia tradotto nella mancanza assoluta di motivazione, nella motivazione apparente, nella motivazione perplessa o incomprensibile o nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili. Ne consegue che quando il giudice di merito, dopo aver richiamato i presupposti di fatto e di diritto della pretesa e l’onere probatorio incombente sulla parte, affermi espressamente che tale parte ha fornito la prova richiesta, implicitamente rigetta le avverse eccezioni sollevate al riguardo, con la conseguenza che non ricorre alcuna omessa pronuncia (da ultimo, Cass. 23 ottobre 2024, n. 27551).
Peraltro, contrariamente a quanto AVV_NOTAIOenuto dai ricorrenti, sulla questione dell’eccepito difetto di motivazione dell’avviso di accertamento la Corte territoriale si è esplicitamente pronunciata, ritenendo che l’atto soddisfacesse l’obbliga della motivazione, in quanto poneva il contribuente nella condizione di conoscere esattamente la pretesa impositiva.
Consegue il rigetto del ricorso.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza dei ricorrenti, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Ricorrono i presupposti processuali per dichiarare l’RAGIONE_SOCIALE tenuto al pagamento di una somma di importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna l’RAGIONE_SOCIALE alla rifusione, in solido tra loro, in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio, che si liquidano in € 4.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per dichiarare i ricorrenti tenuti al pagamento di una somma di importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Così deciso in Roma, il 9 settembre 2025.
Il Presidente (AVV_NOTAIO NOME COGNOME)