Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6924 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 6924 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2024
di cui all’art. 115, secondo comma, cod. proc. civ., né altrimenti inquadrabile nelle regole della comune esperienza, in quanto prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Con la terza doglianza RAGIONE_SOCIALE ha eccepito, con riferimento al paradigma censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ, la violazione e falsa applicazione dell’art. 7,
comma 5, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione agli artt. 61, 65, 68, 69 d.lgs. 15 novembre 1992, n. 507, ponendo in rilievo, dopo aver riepilogato i contenuti della normativa di riferimento, che l’ente locale, nel determinare le singole tariffe, non può scegliere valori diversi da quelli ricompresi tra i valori minimi e massimi indicati nelle tabelle alle allegate al d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 e che la scelta – come nella specie -di adottare valori tariffari medi si sottrae ad ogni sindacato di legittimità, aggiungendo che il potere di disapplicazione che spetta al giudice tributario può esercitarsi solo in presenza di precisi vizi di legittimità dell’atto, tenendo conto dello spazio di discrezionalità di orientamento politico amministrativo, come tale insindacabile in sede giudiziaria.
Con la quarta ragione di impugnazione la società ha contestato, con riguardo alla previsione dell’art. 360, primo comma, num. 1, cod. proc. civ, la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, osservando che il AVV_NOTAIO dell’appello, nel rideterminare la tariffa applicabile nella misura di 11,61 €/mq, equiparandola a quella stabilita per le RAGIONE_SOCIALE, avrebbe operato un’indebita ingerenza nelle prerogativa dell’Amministrazione competente alla quale è demandata la riedizione del potere amministrativo, stante le connesse valutazioni discrezionali, ponendo ancora in rilievo che la domanda di annullamento integrale dell’atto impugnato era stata implicitamente rigettata dal primo AVV_NOTAIO, che aveva accolto quella subordinata di rideterminazione della tassa, senza che fosse stato proposto appello avverso la prima (implicita) decisione, con la conseguenza di dover considerare rinunciata detta originaria domanda di annullamento integrale dell’atto impugnato.
Il ricorso va accolto per le ragioni che seguono.
Va disattesa la prima ragione di censura.
6.1. Si resta nel solco di un orientamento ampiamente consolidato di questa Corte nel ritenere che l’ipotesi di motivazione apparente ricorra allorché essa, pur graficamente e, quindi,
materialmente esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, non consentendo, in tal modo, alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice, lasciando all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.
Siffatta motivazione si considera -come suol dirsi – non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., il che rende nulla la sentenza per violazione (censurabile ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.) anche dell’art. 132, secondo comma, num. 4), cod. proc. civ. o, nel processo tributario, ex 36, comma 2, n. 4, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
Va, invece, va esclusa (in seguito alla riformulazione dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54, comma 1, lett. b) del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile r atione temporis al caso in esame) qualunque rilevanza al semplice difetto di “sufficienza” della motivazione .
6.2. Tanto chiarito sul piano dei principi, va riconosciuto che dal resoconto dei contenuti della sentenza impugnata emergono, con ogni evidenza, le ragioni della decisione impugnata , basate sul rilievo secondo il quale non sussisteva e non era stata fornita alcuna giustificazione per distinguere, peraltro in termini economici rilevanti, le tariffe applicabili a settori di attività (ristorazione e mensa) reputati omogenei, così confermando la disapplicazione del regolamento comunale e determinando l’imposta dovuta sulla base della minore tariffa prevista per le RAGIONE_SOCIALE.
Si tratta di una motivazione perfettamente intellegibile, che rende manifesto il ragionamento seguito, il che vale ad escludere il dedotto vizio, dovendo piuttosto osservarsi che il motivo di impugnazione, largamente sviluppatosi sulla critica alla decisione assunta dal AVV_NOTAIO a quo, è, in realtà, diretto a porre in rilievo i motivi della non condivisione della stessa, ipotesi questa riconducibile ad una valutazione errata, non certo ad una motivazione assente od apparente.
Vanno esaminati unitariamente il secondo, il terzo ed il quarto motivo, siccome interconnessi nella contestazione concernente la valutazione di merito compiuta dal AVV_NOTAIO regionale, tramite la conferma della disapplicazione del regolamento comunale in relazione alla tariffa determinata per i RAGIONE_SOCIALE in termini differenti da quella stabilita per le RAGIONE_SOCIALE, con applicazione di quest’ultima, minore, tariffa per la Tarsu relativa all’unità immobiliare del contribuente destinata ad attività di ristorazione.
I motivi, come anticipato, sono fondati.
7.1. Va premesso che « il potere di disapplicare l’atto amministrativo in relazione alla decisione del caso concreto, che spetta al giudice tributario, può conseguire solo alla dimostrazione della sussistenza di ben precisi vizi di legittimità dell’atto (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere), di tal che la contestazione della validità dei criteri seguiti dal Comune nell’adottare la delibera non è sufficiente per pervenire alla
dichiarazione (incidentale) d’illegittimità della stessa, tanto più che, nell’ambito degli atti regolamentari dei comuni, esiste uno spazio di discrezionalità di orientamento politico-amministrativo, insindacabile in sede giudiziaria» (così Cass., Sez. T, 4 marzo 2015, n. 4321 e nel medesimo senso, tra le tante, Cass., Sez. T, 6 agosto 2019, nn. 20964, 20965, 20966 e la giurisprudenza ivi richiamata).
7.2. Dal contenuto del ricorso emerge che il AVV_NOTAIO regionale ha confermato la valutazione della Commissione tributaria provinciale che aveva accolto il ricorso del contribuente (il quale aveva contestato la legittimità delle delibere di approvazione delle tariffe Tarsu per violazione degli artt. 61, 65, 68 e 69 d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, con riferimento al diverso regime tariffario previsto, da un lato, per ‘RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE‘ ecc. e, dall’altro, per ‘RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE‘), ritenendo il regolamento comunale viziato per eccesso di potere nella parte in cui aveva, in termini considerati non giustificati, previsto per i RAGIONE_SOCIALE una tariffa diversa da quelle stabilita per le RAGIONE_SOCIALE, dovendo semmai ritenersi che, a parità di coperti e metri quadri, le RAGIONE_SOCIALE dovrebbero produrre più rifiuti.
La disapplicazione è stata, dunque, disposta, reputando non giustificata e, al fondo, irragionevole una tariffa diversa e più esosa per attività assimilabili.
7.3. Senonchè, tale ordine di idee, fondato su di un ragionamento meramente empirico, ha omesso di considerare che nel quadro delle previsioni di cui agli artt. 65, 68 e 69 d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, nonché delle tabelle previste dal d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, il regolamento Tarsu del Comune di Pisa, emanato con deliberazione n. 98 del 21 dicembre 2004, aveva proceduto ad una revisione delle classi di contribuzione della Tarsu in termini corrispondenti alla classificazione prevista, per le utenze non domestiche, dalla Tabella 4A del citato d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, mentre con delibera n. 169 dell’8 novembre 2004 il Comune definiva, per l’anno 2005 (ancora valido per l’anno 2012) un nuovo impianto tariffario.
Dal contenuto di tale atto nei termini opportunamente riepilogati nel ricorso (v. pagina n. 33) emerge, in particolare, un diverso coefficiente di produttività di rifiuti (qn) ricavato sui valori medi della Tabella 4a del d.P.R. 158/1999 pari, per i RAGIONE_SOCIALE–RAGIONE_SOCIALE (classe 22), a 60,24 Kg/m 2 anno, di gran lunga maggiore rispetto a quella stabilita per le utenze appartenenti alla classe 23 (RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE), pari a 32,2 Kg/m 2 anno.
In tali termini, quindi, si spiega e si giustifica la diversità di tariffa.
7.4. Ciò posto, non può di certo ritenersi viziato da illegittimità e, dunque, non può essere disapplicato, ai sensi dell’art. 7, comma 5, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, il citato regolamento comunale che, con riferimento alla determinazione della tariffa da applicare ai fini TARSU, ha utilizzato i criteri stabiliti di cui al d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 (c.d. ‘metodo normalizzato’), nel rispetto del principio comunitario ‘chi inquina paga’, commisurando la tariffa alle quantità (e qualità) media ordinaria di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi ed alla tipologia dell’attività svolte, nonché al costo del servizio del ciclo integrato dei rifiuti.
7.5. In conclusione, l’erronea valutazione dei Giudici regionali è stata quella di aver fondato la decisione su un ragionamento congetturale, non ravvisando una «sufficiente giustificazione di una tariffa distinta tra esercizi tra lo perfettamente assimilabili » , laddove le ragioni di tale diversificazione derivano dal predetto diverso coefficiente di produttività di rifiuti, come ricavati dalla menzionata tabella allegata al d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158
Erroneamente, dunque, è stato disapplicato il predetto regolamento comunale, benchè non fosse contrario ad alcuna disposizione di legge, né adottato con eccesso di potere.
Alla stregua delle valutazioni svolte, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata cassata; non essendo necessari
ulteriori accertamenti di merito, deve essere rigettato l’originario ricorso proposto dal contribuente.
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza, mentre quelle di merito vanno compensate.
P.Q.M.
la Corte accoglie il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente.
Condanna NOME COGNOME al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in favore della ricorrente nella somma di 4.500,00 €, oltre accessori ed all’importo di 200,00 € per spese vive.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 novembre 2023.