Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7492 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 7492 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 920/2020 R.G., proposto
DA
NOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME, con studio in Lamezia Terme (CZ) (indirizzo pec per notifiche e comunicazioni del presente procedimento: EMAIL ), elettivamente domiciliata presso l’Avv. NOME COGNOME, con studio in Roma, giusta procura in calce al ricorso introduttivo del presente procedimento;
RICORRENTE
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE con sede in Maida (CZ), in persona dell’amministratore unico pro tempore ;
INTIMATA
avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Calabria il 2 maggio 2019, n. 1412/01/2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22 gennaio 2025 dal Dott. NOME COGNOME
TARSU TIA TARI INGIUNZIONE DI PAGAMENTO CONTESTAZIONE DELLA PROCEDURA DI AFFIDAMENTO DEL SERVIZIO DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
udito il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. NOME COGNOME che ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso;
dato atto che nessuno è comparso per la ricorrente;
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Calabria il 2 maggio 2019, n. 1412/01/2019, la quale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di ingiunzione di pagamento n. 0318/IF/2006/2014 notificatale il 29 gennaio 2015 per l’importo complessivo di € 3.002,45 dalla ‘ RAGIONE_SOCIALE, in qualità di concessionaria del servizio di accertamento e riscossione dei tributi per conto del Comune di Gizzeria (CZ), in dipendenza di avviso di accertamento per omesso versamento del l’ICI relativa all’anno 2006 , con riferimento a terreni ubicati nel territorio comunale, ha rigettato l’appello proposto da lla medesima nei confronti della RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Catanzaro il 2 febbraio 2017, n. 156/05/2017, senza alcuna statuizione sulle spese giudiziali per la contumacia dell’appellata.
Il giudice di appello ha confermato la decisione di prime cure – che aveva rigettato il ricorso originario della contribuente sul presupposto che la concessionaria del servizio di accertamento e riscossione dei tributi era legittimata all’emissione dell’ingiunzione di pagamento, essendo iscritta nell’albo ex art. 53 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446; che la convenzione concessoria era valida ed efficace, essendo irrilevante ed infondata la contestata violazione della procedura di evidenza pubblica; che la decadenza non era maturata, non
essendo decorsi cinque anni al momento di notifica del prodromico avviso di accertamento; che l’ingiunzione di pagamento era stata notificata prima del decorso di cinque anni dalla notifica dell’avviso di accertamento.
La RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
Con conclusioni scritte, il P.M. si è espresso per la dichiarazione di inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso.
La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, il P.M. ha chiesto di dichiarare l’inammissibilità del ricorso per carenza di prova della tempestiva notifica, non essendo stato depositato l’avviso di ricevimento della raccomandata di spedizione del relativo plico. 1.1 Invero, è pacifico che, ai fini della verifica della tempestività del ricorso per cassazione, la notifica a mezzo del servizio postale non si esaurisce con la spedizione dell’atto per raccomandata, ma si perfeziona con la consegna del plico al destinatario, attestata dall’avviso di ricevimento da allegarsi all’originale a norma dell’art. 149, ultimo comma, cod. proc. civ.; ne consegue che la mancanza di tale documento impone la declaratoria di inammissibilità del ricorso per inesistenza della notifica, senza possibilità di rinnovazione ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ. (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 21 luglio 2021, n. 20778; Cass., Sez. 6^-5, 4 novembre 2021, n. 31556; Cass., Sez. 5^, 29 novembre 2021, nn. 37186 e 37187; Cass., Sez. 5^, 2 febbraio 2022, nn. 3179 e 3181; Cass., Sez. 3^, 12 maggio 2022, n. 15144). Ciò non di meno, l’avviso di ricevimento non allegato al ricorso e non depositato in seguito può essere prodotto fino all’udienza di discussione ex art. 379
cod. proc. civ., ma prima che abbia inizio la relazione prevista dal primo comma della citata disposizione, ovvero fino all’adunanza della Corte in camera di consiglio prevista dall’art. 380bis cod. proc. civ., anche se non notificato mediante elenco alle altre parti nel rispetto dell’art. 372, secondo comma, cod. proc. civ. In caso, però, di mancata produzione dell’avviso di ricevimento ed in assenza di attività difensiva dell’intimato, il ricorso per cassazione è inammissibile, non essendo consentita la concessione di un termine per il deposito e non ricorrendo i presupposti per la rinnovazione della notificazione ex art. 291 cod. proc. civ.; tuttavia, il difensore del ricorrente presente in udienza o all’adunanza della Corte in camera di consiglio può domandare di essere rimesso in termini per il deposito dell’avviso che affermi di non aver ricevuto, offrendo la prova documentale di essersi tempestivamente attivato nel richiedere all’amministrazione postale un duplicato dell’avviso stesso, secondo quanto stabilito dall’art. 6, comma 1, della legge 20 novembre 1982, n. 890 (tra le tante: Cass., Sez. 6^-2, 12 luglio 2018, n. 18361; Cass., Sez. 5^, 28 marzo 2019, n. 8641; Cass., Sez. 5^, 4 novembre 2020, n. 24529; Cass., Sez. 5^, 29 ottobre 2021, n. 30824; Cass., Sez. 5^, 10 maggio 2022, n. 14801; Cass., Sez. Trib., 29 marzo 2023, n. 27667; Cass., Sez. Trib., 14 novembre 2024, n. 29387; Cass., Sez. Trib., 27 febbraio 2025, n. 5161).
1.2 Tuttavia, l’eccezione deve essere disattesa, rilevandosi che l’avviso di ricevimento (con l’attestazione della consegna al destinatario) è stato ritualmente depositato (in via telematica) – insieme alla memoria illustrativa – prima della pubblica udienza. Per cui, si può ritenere che il contraddittorio sia stato
regolarmente instaurato nei confronti della controparte.
Sempre in limine litis
, la ricorrente ha chiesto di tener conto
-ai fini dell’eventuale cessazione della materia del contendere -dell’annullamento automatico ex art. 4 del d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136, per i crediti portati da cartelle di pagamento per importi inferiori ad € 1.000,00 . A tal fine, ella ha sottolineato di essere coerede per la sola quota di 1/3 della defunta NOME COGNOME che era l’originaria debitrice verso il Comune di Gizzeria (CZ).
2.1 C ome è noto, l’art. 4, comma 1, del citato d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, prevede che: « 1. I debiti di importo residuo, alla data di entrata in vigore del presente decreto, fino a mille euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2010, ancorché riferiti alle cartelle per le quali è già intervenuta la richiesta di cui all’articolo 3, sono automaticamente annullati. L’annullamento è effettuato alla data del 31 dicembre 2018 per consentire il regolare svolgimento dei necessari adempimenti tecnici e contabili ».
S econdo l’orientamento di questa Corte, l’annullamento ai sensi della menzionata disposizione dei debiti tributari inferiori ad € 1.000,00, la cui riscossione sia stata affidata agli agenti di riscossione nel periodo compreso tra l’1 gennaio 2000 e il 31 dicembre 2010, opera automaticamente ipso iure in presenza dei presupposti di legge e, con riferimento ai debiti litigiosi, determina l’estinzione del processo per cessata materia del contendere, senza che assuma rilievo la mancata adozione del provvedimento di sgravio, trattandosi di atto dovuto meramente dichiarativo, previsto solo per consentire i necessari adempimenti tecnici e contabili nell’ambito dei
rapporti tra agenti di riscossione ed enti impositori (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 7 giugno 2019, n. 15471; Cass., Sez. 5^, 27 settembre 2022, n. 28069; Cass., Sez. 5^, 12 dicembre 2022, n. 36234; Cass., Sez. 5^, 1 marzo 2023, n. 6102; Cass., Sez. 5^, 12 agosto 2024, n. 22689; Cass., Sez. Trib., 10 gennaio 2025, n. 658).
2.2 In seguito, l’art. 1, commi 222 , 227 e 229, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, ha esteso il suddetto beneficio ai carichi affidati agli agenti della riscossione fino al 31 dicembre 2015, ma ha dettato una disciplina differenziata, da un lato, per i crediti delle amministrazioni statali, delle agenzie fiscali e degli enti pubblici previdenziali, per i quali l’annullamento automatico opera anche per il capitale, e, dall’altro lato, per i crediti degli enti diversi dalle amministrazioni statali, dalle agenzie fiscali e dagli enti pubblici previdenziali (comprensivi degli enti locali), per i quali l’annullamento automatico opera soltanto per gli accessori, sempre che questi ultimi enti non abbiano stabilito l’inapplicabilità di tale annullamento entro il 31 gennaio 2023.
Difatti, è stato disposto che: « 222. Sono automaticamente annullati, alla data del 31 marzo 2023, i debiti di importo residuo, alla data di entrata in vigore della presente legge, fino a mille euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2015 dalle amministrazioni statali, dalle agenzie fiscali e dagli enti pubblici previdenziali, ancorché compresi nelle definizioni di cui all’articolo 3 del decreto -legge 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136, all’articolo 16 -bis del decreto- legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n.
58, e all’articolo 1, commi da 184 a 198, della legge 30 dicembre 2018, n. 145. (…) 227. Fermo restando quanto disposto dai commi 225, 226 e 228, relativamente ai debiti di importo residuo, alla data di entrata in vigore della presente legge, fino a mille euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2015 dagli enti diversi dalle amministrazioni statali, dalle agenzie fiscali e dagli enti pubblici previdenziali, l’annullamento automatico di cui al comma 222 opera limitatamente alle somme dovute, alla medesima data, a titolo di interessi per ritardata iscrizione a ruolo, di sanzioni e di interessi di mora di cui al l’articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602; tale annullamento non opera con riferimento al capitale e alle somme maturate alla predetta data a titolo di rimborso delle spese per le procedure esecutive e di notificazione della cartella di pagamento, che restano integralmente dovuti. (…) 229. Gli enti creditori di cui al comma 227 possono stabilire di non applicare le disposizioni dello stesso comma 227 e, conseguentemente, quelle del comma 228, con provvedimento adottato da essi entro il 31 gennaio 2023 nelle forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti e comunicato, entro la medesima data, all’agente della riscossione con le modalità che lo stesso agente pubblica nel proprio sito internet entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Entro lo stesso termine del 31 gennaio 2023, i medesimi enti danno notizia dell’adozione dei predetti provvedimenti mediante pubblicazione nei rispettivi siti internet istituzionali ».
2.3 Nel caso di specie, essendo stato iscritto a ruolo soltanto nell’anno 2015 , il debito portato dall’ingiunzione di pagamento (ICI relativa all’anno 2006) potrebbe astrattamente usufruire dell’annullamento ex lege nei limiti consentiti dall’art. 1, comma 227, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, sempre che l’importo complessivo (per capitale ed accessori) non oltrepassi il limite invalicabile di € 1.000,00 dopo il frazionamento corrispondente alla misura della quota ereditaria.
In proposito, è pacifico che l’art. 65 , comma 1, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (a tenore del quale: « Gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa »), è applicabile soltanto alle imposte dirette, mentre per l’IMU non vi un’espressa deroga al principio generale della ripartizione pro quota tra i coeredi del debito del de cuius . Per cui, in tema di responsabilità per i debiti ereditari tributari, in mancanza di norme speciali che vi deroghino, si applica la disciplina comune di cui agli artt. 752 e 1295 cod. civ., in base alla quale gli eredi rispondono dei debiti in proporzione delle loro rispettive quote ereditarie (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 22 ottobre 2014, n. 22426; Cass., Sez. 5^, 21 settembre 2016, n. 18451; Cass., Sez. 6^-5, 27 dicembre 2017, n. 30966; Cass., Sez. 5^, 22 marzo 2022, n. 9186; Cass., Sez. Trib., 17 luglio 2023, nn. 20553, 20557 e 20585).
Ciò non di meno, il debito pro quota a carico della ricorrente è di importo lievemente superiore a d € 1.000,00 , ma tanto basta a precludere -per l’eccezionalità d i tale previsione -anche l’annullamento ex lege degli accessori, rendendo superflua la verifica circa l’adozione di provvedimenti contrari all’applicabilità del beneficio da parte dell’ente impositore .
Ciò detto, il ricorso è affidato a tre motivi.
In proposito, va rilevato che, nonostante la mescolanza e la commistione nelle singole rubriche di più vizi denunciabili ai sensi dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., la concreta formulazione dei motivi consente, comunque, l’ esclusivo apprezzamento delle censure sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di legge (n. 3), dovendo escludersi le deduzioni di nullità della sentenza impugnata o del relativo procedimento (n. 4) ovvero di omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti (peraltro, preclusa dalla c.d. ‘ doppia conforme ‘ ex art. 348ter , quinto comma, cod. proc. civ.) (n. 5), che non sono state sviluppate nella parte espositiva del ricorso e devono, pertanto, essere considerare come non proposte perché semplicemente indicate in rubrica, ma non argomentate (da ultima: Cass., Sez. Lav., 2 marzo 2025, n. 5505).
Ed invero, la corretta qualificazione del vizio denunciato col ricorso per cassazione deve essere rapportata alla prospettazione delle argomentazioni in fatto ed in diritto a fondamento della censura, in quanto la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma è soltanto l’esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 3 agosto 2012, n. 14026; Cass., Sez. 5^, 6 ottobre 2017, n. 23381; Cass., Sez. 5^, 23 maggio 2018, n. 12690; Cass., Sez. 5^, 26 settembre 2019, n. 24009; Cass., Sez. 6^-5, 30 luglio 2020, n. 16443; Cass., Sez. 5^, 30 marzo 2021, n. 8744; Cass., Sez. 2^, 11 febbraio 2022, n. 4531; Cass., Sez. Trib., 7 settembre 2023, n. 26095; Cass., Sez. Trib., 12 novembre 2024, n. 29147; Cass., Sez. Lav., 2 marzo 2025, n. 5505).
Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 53 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 2 e 3 del r.d. 14 aprile 1910, n. 639, 43 e 44 del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 112, 13 disp. prel. cod. civ., in relazione a ll’art. 360, primo comma, nn. 3), 4) e 5), cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che l’iscrizione all’« albo dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle Province e dei Comuni » (art. 53 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446) è presupposto sufficiente per l’attribuzione dei relativi poteri, « ivi compreso quello di emettere il visto di esecutorietà », laddove « non era in discussione l’scrizione o meno della società di riscossione nell’apposito albo ministeriale, bensì la sua legittimazione ad agire con ingiunzione fiscale per come ha effettivamente fatto ».
Secondo la ricorrente, infatti, l’ingiunzione di pagamento emessa dalla concessionaria del servizio di accertamento e riscossione dei tributi avrebbe dovuto essere munita del visto di esecutorietà da parte del funzionario responsabile del servizio in seno all’organizzazione amministrativa dell’ente impositore, trattandosi di competenza riservata agli enti pubblici.
4.1 Il predetto motivo è infondato.
4.2 Invero, è ormai pacifico che i Comuni possono avvalersi della procedura di riscossione coattiva tramite ingiunzione, di cui al r.d. 14 aprile 1910, n. 639, anche affidando il relativo servizio ai concessionari iscritti all’albo previsto dal l’ art. 53 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, essendo tale affidamento consentito dal l’art. 4, comma 2 -sexies , del d.l. 24 settembre 2002, n. 209, convertito, con modificazioni, dalla legge 22
novembre 2002, n. 265, del quale non è intervenuta l’abrogazione – pure inizialmente disposta dal l’art. 7, comma 2, del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 – non essendo entrate in vigore le disposizioni cui essa era subordinata (da ultima: Cass., Sez. 3^, 19 marzo 2024, n. 7365).
4.3 Il panorama normativo di riferimento è stato così ricostruito da una costante giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. 2^, 28 settembre 2017, n. 22710; Cass., Sez. 2^, 13 novembre 2017, n. 26736; Cass., Sez. 2^, 8 ottobre 2018, n. 24722; Cass., Sez. 2^, 6 febbraio 2019, nn. 3504, 3505, 3506 e 3507; Cass., Sez. 6^-2, 22 settembre 2020, n. 19839; Cass., Sez. 3^, 29 settembre 2021, n. 26308; Cass., Sez. 3^, 26 luglio 2023, n. 22722; Cass., Sez. 3^, 19 marzo 2024, n. 7365).
La facoltà per i Comuni di avvalersi, per la riscossione dei tributi e delle altre entrate, della procedura di riscossione coattiva tramite l’ingiunzione di cui al r.d. 14 aprile 1910, n. 639, era stata loro attribuita dal l’art. 52, comma 6, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, in forza del quale era prevista anche la possibilità di affidare ad altri soggetti la riscossione dei tributi e di tutte le altre entrate, individuandoli negli « altri soggetti menzionati alla lettera b) del comma 4 ».
Detta norma è stata abrogata dall ‘art. 1, comma 224, lett. b), della legge 24 dicembre 2007, n. 244, È, poi, intervenuto l ‘art. 36, comma 2, del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 28 febbraio 2008, n. 31, a norma del quale: « La riscossione coattiva dei tributi e di tutte le altre entrate degli enti locali continua a potere essere effettuata con: a) la procedura dell’ingiunzione di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, seguendo anche
le disposizioni contenute nel titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, in quanto compatibili, nel caso in cui la riscossione coattiva è svolta in proprio dall’ente locale o è affidata ai soggetti di cui all’articolo 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446; b) la procedura del ruolo di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, se la riscossione coattiva è affidata agli agenti della riscossione di cui all’articolo 3 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248 ».
L’art. 7, comma 2, lett. ggsepties ), nn. 1) e 3), del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, ha disposto che, « gg-septies) in conseguenza delle disposizioni di cui alle lettere da gg-ter) a gg-sexies): 1) all’articolo 4 del decreto-legge 24 settembre 2002, n. 209, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 novembre 2002, n. 265, i commi 2-sexies, 2-septies e 2-octies sono abrogati ; (…) 3) il comma 2 dell’articolo 36 del decretolegge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, è abrogato ».
Tale abrogazione non è, poi, di fatto avvenuta per effetto di un gioco di rinvii dell’entrata in vigore delle disposizioni a cui era subordinata la abrogazione medesima [v edansi l’art. 10, comma 13octies , del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 , e l’art. 29, comma 5bis , del d.l. 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012 n. 14 (« L’abrogazione delle disposizioni previste dall’articolo 7, comma 2, lettera gg-septies), numeri 1) e 3), del decretolegge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni,
dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, acquista efficacia a decorrere dalla data di applicazione delle disposizioni di cui alle lettere gg-ter) e gg-quater) del medesimo comma 2 »].
È, poi, intervenut o l’art. 5, comma 8 -bis , del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, il quale ha disposto che: « All’articolo 7, comma 2, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, e successive modificazioni, la lettera gg-septies) è sostituita dalla seguente: “gg-septies) nel caso di affidamento ai soggetti di cui all’articolo 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, la riscossione delle entrate viene effettuata mediante l’apertura di uno o più conti correnti di riscossione, postali o bancari, intestati al soggetto affidatario e dedicati alla riscossione delle entrate dell’ente affidante, sui quali devono affluire tutte le somme riscosse. Il riversamento dai conti correnti di riscossione sul conto corrente di tesoreria dell’ente delle somme riscosse, al netto dell’aggio e delle spese anticipate dal soggetto affidatario, deve avvenire entro la prima decade di ogni mese con riferimento alle somme accreditate sui conti correnti di riscossione nel mese precedente ».
Pertanto, il legislatore del 2012 ha inserito alla lett. ggsepties ), un testo diverso che non contempla più l’abrogazione del l’art. 36 del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248. Conseguentemente, sempre per effetto del meccanismo descritto (nuova formulazione della lett. ggsepties ), e mancata riproduzione delle abrogazioni) è rimasto in vigore l’art. 4, comma 2 -sexies , del d.l. 24 settembre 2002, n. 209 (destinato alla soppressione), a norma del quale: « I Comuni e i concessionari iscritti all’albo di cui all’articolo 53 del decreto
legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, di seguito denominati ‘concessionari’, procedono alla riscossione coattiva delle somme risultanti dall’ingiunzione prevista dal testo unico di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n.639, secondo le disposizioni contenute nel titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, in quanto compatibili ». Tirando le fila di questo complicato percorso ricostruttivo, si sulla legittimazione della società concessionaria ad utilizzare lo deve ritenere corretta la decisione impugnata strumento previsto dal r.d. 14 aprile 1910, n. 639.
4.4 Per il resto, non occorre più l’apposizione del ‘ visto di esecutività ‘ all’ingiunzione di pagamento, che è ormai esecutiva di diritto.
Invero, l’art. 2, comma 2, del r.d. 14 aprile 1910, n. 639, disponeva che: « La ingiunzione è vidimata e resa esecutoria dal pretore nella cui giurisdizione risiede l’ufficio che la emette, qualunque sia la somma dovuta (…) ».
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’ingiunzione fiscale, quale estrinsecazione del potere di supremazia dello Stato e degli altri enti ai quali la legge riconosce tale potere, ripete la sua efficacia direttamente dal potere attribuito all’ente di realizzare coattivamente la sua pretesa, indipendentemente dal visto di esecutorietà del giudice; la mancanza del visto pretorile non incide, quindi, sulla validità ed efficacia dell’ingiunzione fiscale per gli effetti che si ricollegano alla sua qualità di atto amministrativo contenente l’ordine di pagare una data somma, e, pertanto, la stessa è pienamente valida come atto di accertamento di ufficio del credito che si intende realizzare, oltre che di costituzione in mora, laddove la mancanza del visto pretorile rende solamente inidoneo l’atto a dare inizio all’esecuzione (Cass., Sez. 5^, 6 settembre 2006,
n. 19195; Cass., Sez. 5^, 20 settembre 2006, n. 20360; Cass., Sez. Trib., 19 luglio 2023, n. 21410).
Ad ogni modo, tale disposizione è stata tacitamente abrogata dall’art. 229 del d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, a tenore del quale: « Il potere del pretore di rendere esecutivi atti emanati da autorità amministrative è soppresso e gli atti sono esecutivi di diritto » (in termini: Cass., Sez. Trib., 13 luglio 2023, n. 20148).
Per cui, l’apposizione del visto di esecutività è adempimento sopravvissuto soltanto per i ruoli esattoriali a norma degli artt. 67, comma 2, lett. b), del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, e 52, comma 5, lett. d), del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 (Cass., Sez. 5^, 18 aprile 2019, n. 10893; Cass., Sez. 6^-5, 26 maggio 2022, n. 17079; Cass., Sez. Trib., 13 luglio 2023, n. 20148; Cass., Sez. Trib., 19 luglio 2023, n. 21410).
Pertanto, l’ingiunzione di pagamento deve essere solamente sottoscritta (anche in forma meccanica o digitale) dal funzionario responsabile o dal legale rappresentante della concessionaria del servizio di riscossione dei tributi comunali.
Con il secondo motivo, si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 52, comma 5, lett. b), del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, 25 del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, 2 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, nonché delle lineeguida ANAC, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3), 4) e 5), cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che la concessionaria del servizio di riscossione dei tributi comunali fosse legittimata ad emettere l’ingiunzione di pagamento per l’ICI relativa all’anno 2006, senza tener conto (ai fini della disapplicazione ex art. 7, comma 5, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546), che la convenzione di
affidamento del servizio era stata stipulata all’esito di gara pubblica svolta mediante la pubblicazione di avviso pubblico di partecipazione in soli sei Comuni del circondario e la presentazione di un’unica offerta da parte dell’aggiudicataria in palese violazione della normativa nazionale ed europea che impone la procedura di evidenza pubblica per la scelta dei contraenti con le pubbliche amministrazioni, e che la convenzione di affidamento del servizio era stata rinnovata (anche prima della scadenza nell’anno 2009) in difetto di proroghe legali.
5.1 Il predetto motivo è fondato.
5.2 La censura attinge la sentenza impugnata nel passaggio motivazionale in cui si afferma che: « L’asserita violazione della procedura dell’evidenza pubblica appare irrilevante, e comunque infondata atteso che il contratto non risulta impugnato da alcuno così come non risulta impugnata la deliberazione comunale (anche essa prodotta) per l’affidamento del servizio di gestione, accertamento e riscossione dei tributi, con espresso richiamo della procedura di asta pubblica seguita ».
5.3 A ben vedere, NOME COGNOME ha impugnato l’ingiunzione di pagamento per l’ illegittimità dell’affidamento del servizio di accertamento e riscossione dei tributi comunali alla ‘ RAGIONE_SOCIALE, deducendo la carenza di legittimazione impositiva attiva in capo a quest’ultima.
Secondo il giudice di appello, tuttavia, la concessione per l’affidamento del servizio di accertamento e riscossione dei tributi comunali non sarebbe viziata dalla dedotta irregolarità della procedura di evidenza pubblica. Peraltro, a suo dire, sia il contratto che la delibera autorizzatoria non sarebbero stati impugnati dalla contribuente nelle sedi competenti.
Tale argomentazione non è condivisibile. Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di ICI (ma anche di TARSU), ove il Comune, ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, affidi il servizio di accertamento e riscossione, mediante apposita convenzione, ai soggetti terzi indicati nella suddetta norma, il potere di accertamento e riscossione è demandato al concessionario, al quale è, pertanto, conferita anche la legittimazione processuale per le relative controversie, sicché, in caso di contestazione della legittimità della delega (che costituisce presupposto imprescindibile dell’atto impositivo o esattivo), grava sul contribuente l’onere di specificarne i profili di illegittimità in relazione alle patologie tipiche degli atti amministrativi (incompetenza, violazione di legge o regolamento, eccesso di potere) (Cass., Sez. 5^, 30 settembre 2019, n. 24276; Cass., Sez. 6^-5, 29 settembre 2020, n. 20650; Cass., Sez. Trib., 18 gennaio 2024, nn. 1898 e 1937; Cass., Sez. Trib., 22 luglio 2024, n. 20168).
Difatti, si tratta pur sempre di atti amministrativi costituenti il presupposto dell’imposizione e della riscossione, che possono essere disapplicati dal giudice tributario in sede di impugnazione dei conseguenti atti impositivi o esattivi, pur non influendo sul loro contenuto. Ovviamente, la disapplicazione non involge la convenzione accessoria (alla concessione) tra l’ente impositore e la concessionaria, la quale ha la sola funzione si regolamentare i reciproci rapporti inter partes per la gestione del servizio di accertamento e riscossione dei tributi.
Pertanto, ove il contribuente contesti il regolare conferimento dall’ente impositore alla concessionaria del potere di accertamento o di riscossione (in relazione al prodromico
svolgimento della procedura di evidenza pubblica) , l’art. 7, comma 5, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, riserva al giudice tributario un sindacato incidentale di legittimità che può condurre alla disapplicazione degli atti relativi all’ affidamento del servizio ed al conseguente annullamento dell’atto impositivo o esattivo (per difetto di legittimazione sostanziale in capo alla concessionaria).
5.4 Nella specie, dunque, la sentenza impugnata ha contravvenuto al principio enunciato, avendo respinto il motivo di appello circa la carenza di legittimazione sostanziale della concessionaria sull’erroneo presupposto che l’omessa impugnazione in sede giudiziale della convenzione e della delibera per l’affidamento del servizio di accertamento e riscossione da parte dell’ente impositore ne comportasse l’in sindacabilità (con la preclusione a qualsiasi tipo di doglianza), senza tenere in alcun conto l’eventua le esercizio del potere riservato al giudice tributario dall’art. 7, comma 5, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, con riguardo agli atti amministrativi costituenti il presupposto dell’imposizione (espressione di un principio generale dell’ordinamento, fissato dall’art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E -da ultima: Cass., Sez. Trib., 2 ottobre 2024, n. 25935), in relazione al sindacato incidentale dell’illegittimità lamentata dalla contribuente con riguardo all’ingiunzione di pagamento che ne costituiva applicazione.
6. Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 5 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 1, 2, 3, 6 e 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, 2, comma 1, lett. b), e 9 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, 58 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 , in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3), 4) e 5), cod. proc. civ., per essere stato
erroneamente ritenuto dal giudice di appello che la concessionaria non era decaduta dall’esercizio della potestà impositiva, essendo stati notificati, prima, l’avviso di accertamento e, poi, l’ingiunzione di pagamento prima della scadenza del termine quinquennale ex art. 1, comma 161, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
6 .1 Il predetto motivo è assorbito dall’accoglimento del precedente motivo, rendendosene superfluo ed ultroneo lo scrutinio in questa sede.
7 . In conclusione, valutandosi l’infondatezza del primo motivo, la fondatezza del secondo motivo e l’assorbimento del terzo motivo, alla stregua delle suesposte argomentazioni, il ricorso può trovare accoglimento entro tali limiti e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria (ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a), della legge 31 agosto 2022, n. 130), in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo, rigetta il primo motivo e dichiara l’assorbimento del terzo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 22 gennaio