Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 28446 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 28446 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. R.G. 29627-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO giusta procura speciale in atti
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso da ll’ AVV_NOTAIO giusta procura speciale in atti
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 902/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della PUGLIA, depositata il 26.3.2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 17/10/2025 dal Consigliere Relatore AVV_NOTAIO NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE (di seguito FSE) propone ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale della Puglia aveva accolto l’appello del Comune di Adelfia avverso la sentenza n. 3629/2016 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Bari in accoglimento del ricorso proposto avverso avviso di accertamento ICI 2011.
Il Comune resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno da ultimo depositato memoria difensiva.
RAGIONI COGNOMEA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c., nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) in quanto la Commissione tributaria regionale avrebbe statuito su una questione (diritto reale d’uso) estranea al thema decidendum .
1.2. La doglianza va disattesa atteso che il giudice ha il potere di qualificare la domanda in modo diverso rispetto a quanto prospettato dalle parti a condizione che la causa petendi rimanga identica, il che deve escludersi quando i fatti costitutivi del diritto azionato, intesi quale fondamento della pretesa creditoria e non quali fatti storici, mutano o, se già esposti nell’atto introduttivo del giudizio in funzione descrittiva, vengono dedotti con una differente portata (cfr. Cass. n. 10402/2024).
1.3. Nella specie, va esclusa la sussistenza della lamentata violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato in presenza della qualificazione, operata del giudice del merito, del fatto storico dedotto, consistente nella disponibilità da parte della ricorrente degli immobili tassati a titolo di diritto di uso e non quale concessionaria della Regione Puglia.
2.1. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c., nullità della sentenza per motivazione apparente o, in alternativa, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in quanto la Commissione tributaria non avrebbe reso percepibile il fondamento della decisione in ordine alla presunta esistenza di un diritto reale d’uso.
2.2. La doglianza va parimenti disattesa.
2.3. In primo luogo va evidenziato che in tema di ricorso per cassazione è contraddittoria la denuncia, in un unico motivo, dei due distinti vizi di omessa pronuncia e di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia; il primo, infatti, implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360, n. 4, c.p.c. e non con la denuncia della violazione di norme di diritto sostanziale, ovvero del vizio di motivazione ex art. 360, n. 5, c.p.c., mentre il secondo presuppone l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione, e va denunciato ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. (cfr. Cass. n.6150/2021).
2.4. Con riguardo, inoltre, alla denunciata apparenza della motivazione si osserva che per costante giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le molte, Cass. nn. 15883 e 9105 del 2017; Cass. sez. unite n. 22232/2016; Cass. n. 9113/2012; Cass. n. 16736/2007), ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorché il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio
convincimento, ovvero li indichi senza un’approfondita disamina logica o giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento.
2.5. Nella fattispecie in esame la sentenza impugnata esplicita in maniera adeguata la ratio decidendi , consentendo il controllo del percorso logico -giuridico che ha portato alla decisione, tant’è che, con i restanti motivi, la contribuente ha potuto censurare compiutamente gli errori di diritto che, secondo la ricorrente, giustificano comunque la richiesta cassazione dell’impugnata sentenza.
3.1. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., violazione dell’art. 1021 c.c. e dell’art. 3 del D. Lgs. 504/1992 per avere la Commissione erroneamente qualificato il rapporto tra FSE e Regione Puglia come diritto reale d’uso, trascurando il principio di tipicità dei diritti reali e la natura obbligatoria del rapporto.
3.2. La doglianza è fondata.
3.3. In fatto va premesso che il Comune di Adelfia notificava alle RAGIONE_SOCIALE un avviso di accertamento per ICI, anno 2011, relativo ad un immobile, iscritto in catasto in categoria A/2, di proprietà della Regione Puglia, oggetto del contratto RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE (art. 8 del D.Lgs. n. 422/1997), stipulato in data 28.2.2001 tra RAGIONE_SOCIALE e Regione Puglia, con cui la prima aveva assunto in uso i beni, gli impianti e le infrastrutture per l’esercizio dei servizi ferroviari ed automobilistici.
3.4. La Commissione tributaria regionale, nel respingere l’appello, ha affermato quanto segue: « … l’immobile oggetto dell’opposto atto risulta essere un fabbricato di categoria A2 destinato ad abitazione di tipo civile e, per conseguenza, assoggettato, ex art. 5 -comma 2- del D.lgs. n. 504/92, all’Imposta Comunale sugli Immobili. La categoria catastale, poi, trova riferimento, come riportato nel contestato avviso di accertamento nel pacifico dato, in quanto non contrastato, risultante dalle dichiarazioni iniziali rese ai fini dell’imposta e nelle denunce/comunicazioni di variazioni. Quanto alla soggettività passiva, l’art. 3 del richiamato D.Lgs. n. 504/1992, la individua nel proprietario, ovvero nel titolare del diritto di usufrutto, uso
o abitazione, enfiteusi, superficie, degli immobili, e nel concessionario in caso di concessione su aree demaniali. Orbene, indiscusso il titolo di proprietà in capo alla Regione Puglia in quanto succeduta allo Stato ex D.Lgs. n. 422/97, dall’esame del contratto di servizio è dato desumere che, pur rilevandosi alcuni requisiti intrinseci, non si può ritenere che nella fattispecie si sia in presenza di un rapporto di concessione, inteso nell’accezione propria, attesa la corresponsione, ex art. 8, di un corrispettivo da parte dell’Ente concedente e, non piuttosto da parte dell’affidatario, pur sussistente l’altro elemento caratterizzante determinato dal trasferimento dell’alea in capo al concessionario. Ne consegue che, in effetti, nella fattispecie si è in presenza di una convenzione regolante il rapporto tra l’Ente affidante e la Società appellata, gestore affidatario di un servizio di interesse generale, che si accolla degli obblighi a fronte dei quali la Regione, riservataria di un pregnante margine di discrezionalità, a compensazione degli oneri di servizio pubblico si impegna a corrispondere un corrispettivo annuo onnicomprensivo, fermo restando il rischio d’impresa a carico dell’affidataria. Tale rapporto è regolamentato secondo le disposizioni di cui agli artt. 18 e 19 del D. Lgs. n. 422/97 in virtù delle quali i contratti di servizio, fra l’altro, assicurano la completa corrispondenza fra oneri per servizi e risorse disponibili, al netto dei proventi tariffari. Si deve pertanto convenire che si tratta di una negoziazione che, per le richiamate caratteristiche, non trova puntuale corrispondenza nel contratto di concessione con il quale, viceversa, l’amministrazione pubblica si spoglia della gestione di un determinato servizio da assicurare alla collettività conferendola, pur riservandosi un margine di discrezionalità, ad altro soggetto, prevedendosi un canone concessorio e la corresponsione da parte dell’utente di una remunerazione, anche solo parziale, per il servizio offerto. Ciò non di meno, rimanendo nell’alveo della causa petendi e del petitum come posta con il ricorso introduttivo, l’imposta è dovuta in quanto sussistente in capo alla Società appellata il diritto reale di uso, come espressamente prevista dall’art. 3 del D.lgs. n 504/92. Infatti dal contratto di servizio -art. 16 comma 1, dato pacificamente ammesso dalla Società negli atti difensivi, emerge
chiaramente che “la Regione concede in uso alla Società, che accetta, tutti i beni mobili ed immobili” e, al successivo comma 4, che “la Società si impegna a conservare in buono stato tutti i beni, ed assumendo a proprio carico tutti i costi di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché tutti gli eventuali oneri finanziari di qualsiasi natura comunque connessi all’impiego dei beni”… ».
3.5. Poste tali premesse, in diritto va in primo luogo ribadito, secondo quanto peraltro già affermato da questa Corte in fattispecie tra le stesse parti sovrapponibile alla presente (cfr. Cass. n. 21229/2017), che in tema di ICI, l’art. 1 del d.lgs. n. 504 del 1992 individua il presupposto dell’imposta, cioè il fatto al cui verificarsi sorge l’obbligo del pagamento del tributo, stabilendo la norma che «presupposto dell’imposta è il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa».
3.6. La definizione giuridica del soggetto passivo di imposta è contenuta, invece, nel successivo art. 3, secondo cui è tale «il proprietario di immobile… ovvero il titolare del diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie».
3.7. La lettura combinata di queste disposizioni porta a ritenere che, avendo dato la legge esclusiva rilevanza, nell’indicare chi sia soggetto al tributo, alla titolarità di un diritto di natura reale, il significato da attribuire al termine «possesso», utilizzato ai fini della definizione del presupposto di imposta, non possa essere fatto coincidere con la situazione di mera disponibilità del bene, rinvenibile anche nei confronti di chi sia titolare di un diritto personale di godimento, ma si sostanzi soltanto nei confronti di situazioni giuridiche soggettive aventi carattere reale.
3.8. Possessore, in tale contesto normativo, è pertanto il proprietario o il titolare di un diritto reale di godimento sull’immobile.
3.9. Con riguardo al caso concreto, va in primo luogo distinto il carattere di «personalità» del diritto reale di uso con il limite quantitativo legato ai bisogni propri dell’usuario e della sua famiglia, trattandosi, invece, di due dati normativi distinti.
3.10. Il carattere personale del diritto di uso è certamente una sua peculiarità e si traduce nella necessità che il diritto di uso sulla cosa venga esercitato effettivamente da chi ne è titolare, esigenza che la legge rafforza con il vincolo di incedibilità posto dall’art. 1024 c.c., limite peraltro che, non risultando dettato per motivi di ordine pubblico, è ritenuto liberamente derogabile in sede di atto costitutivo del diritto (cfr. Cass. n. 3565/1989; conf. Cass. n. 8507/2015).
3.11. Il limite quantitativo legato ai bisogni propri dell’usuario e della propria famiglia è, al contrario, posto dalla legge soltanto con riguardo al percepimento dei frutti (cfr. Cass. nn. 19940/2022 in motiv., 2502 del 1963).
3.12. La possibilità della costituzione del diritto reale di uso in favore della persona giuridica deve essere pertanto pienamente riconosciuta, non trovando essa alcun ostacolo nel carattere personale del relativo diritto, rettamente inteso.
3.13. Va poi posta in rilievo la differenza, dal punto di vista sostanziale e contenutistico, del diritto reale d’uso e del diritto personale di godimento che va colta proprio nell ‘ ampiezza ed illimitatezza del primo, conformemente al canone di tipicità dei diritti reali delineato dalla legge, rispetto alla multiforme atteggiabilità del secondo, che proprio in ragione della natura obbligatoria e non reale del rapporto giuridico prodotto, può essere diversamente regolato dalle parti nei suoi aspetti di sostanza e di contenuto.
3.14. Il principio di tipicità legale necessaria dei diritti reali, infatti, si traduce nella regola secondo cui i privati non possono creare figure di diritti reali al di fuori di quelle previste dalla legge, né possono modificarne il regime, il che comporta che i poteri che scaturiscono dal singolo diritto reale in favore del suo titolare sono quelli determinati dalla legge e non possono essere validamente modificati dagli interessati.
3.15. In particolare, per quanto concerne il diritto d’uso, quale diritto reale disciplinato dall’art. 1021 c.c. e segg., esso attribuisce al suo titolare il diritto di servirsi della cosa e di trarne i frutti per il soddisfacimento dei bisogni propri e della propria famiglia, diritto che, nel suo concreto esercizio, non può non implicare il potere di trarre dal bene ogni utilità che esso può dare (cfr. Cass. nn. 17320/2015, 7811/2006); ne consegue che l’ampiezza di tale potere, a parte il peculiare limite quantitativo rappresentato dai bisogni del titolare e della sua famiglia, che peraltro va riferito non all’uso della cosa ma al percepimento dei frutti, se può incontrare limitazioni derivanti dalla natura e dalla destinazione economica del bene (arg. ex art. 981 c.c., dettato per l’usufrutto ma applicabile anche al diritto d’uso, in forza del rinvio di cui all’art. 977 c.c.), per contro, in ragione del richiamato principio di tipicità, non può soffrire limitazioni o condizionamenti maggiori o ulteriori derivanti dal titolo.
3.16. In altri termini, il fatto che il conferente conceda il bene soltanto per un determinato uso, escludendo ogni potere di gestione e di godimento dell’avente diritto per altre ed ulteriori destinazioni, integra circostanza di fatto certamente in grado di rivelare che l’intenzione della parte era quella di trasferire un diritto personale di godimento e non un diritto reale d’uso.
3.17. Ciò posto, considerato il tenore della clausola contrattuale riportata in sentenza (««… per lo svolgimento dei servizi oggetto del presente contratto, la Regione Puglia concede in uso alla Società, che accetta, tutti i beni mobili ed immobili, trasferiti a titolo gratuito dallo Stato alla Regione ai sensi del DPCM 16.11.2000 e individuati nell’allegato 2 all’Accordo di programma del 23.3.2000, nonché quelli acquistati successivamente con risorse statali e individuati nell’allegato … al presente contratto….»; «…la Società si impegna a conservare in buono stato tutti i beni, ed assumendo a proprio carico tutti i costi di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché tutti gli eventuali oneri finanziari di qualsiasi natura comunque connessi all’impiego dei beni») e considerato quindi che FSE non poteva godere degli immobili in misura piena ed incondizionata, in funzione della stretta connessione tra l’uso degli immobili e l’esercizio dei servizi di trasporto pubblico ferroviario ed automobilistico, emerge l’assenza del
presupposto impositivo, dovendo essere esclusa con certezza la sussistenza di un diritto reale di godimento, sussistendo unicamente un diritto d’ uso strumentale al servizio ferroviario degli immobili in discussione (cfr. in tal senso, in fattispecie tra le stesse parti e sovrapponibili alla presente Cass. nn. 22482/2022, 37947/2021).
La sentenza va pertanto cassata in accoglimento del terzo motivo, assorbito il quarto motivo (circa la condanna alle spese di lite) e respinti i rimanenti motivi, e non essendo necessari ulteriori accertamenti la causa va definita con l’accoglimento dell’originario ricorso della contribuente.
Considerato il consolidamento dell’orientamento di questa Corte in epoca successiva alla proposizione del presente ricorso, è opportuno compensare integralmente le spese sia dei gradi di merito che del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbito il quarto motivo e respinti i rimanenti motivi; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario del contribuente; compensa integralmente le spese di merito e di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da remoto, della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, in data 17.10.2025.
Il Presidente (NOME COGNOME)