Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33392 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33392 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME
COGNOME
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 26352/2021 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME in forza di delega in calce al ricorso per cassazione.
Pec:
-ricorrente – contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
del 2020.
Presidente
Consigliere
Consigliere- Rel.
Consigliere
Ud. 1/23/10/2024 C.C. PU R.G. 26352/2021 –
Consigliere
Cron. 17987/2019
R.G.N. 17987/2019
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA n. 107/2021, depositata in data 12 marzo 2021, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto da COGNOME NOME nei confronti della sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso avente a oggetto l’atto di irrogazione delle sanzioni, relativo al periodo di imposta 2011, quale amministratore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE, operante nei servizi della logistica, dei trasporti e del facchinaggio, poi dichiarata fallita con sentenza del 6 ottobre 2016.
I giudici di secondo grado, per quel che rileva in questa sede, hanno affermato che non sussisteva alcuna violazione del litisconsorzio necessario, in presenza di un rapporto obbligatorio solidale che determinava un litisconsorzio solo facoltativo, dato che il coobbligato solidale rispondeva dell’intera obbligazione e il regresso tra i coobbligati era fattispecie esterna al rapporto tra debitore e creditore, inidonea a incidere su questo; inoltre, sotto l’aspetto de l richiesto simultaneus processus nel rapporto tra società e fisco e tra soci e fisco, sussisteva il litisconsorzio necessario solo nel caso di obbligazioni inscindibili, cioè esemplificativamente, allorché società e soci impugnavano la pretesa di una maggiore imposta derivante dall’accertamento di maggiore imponibile in testa alla società, mentre, nel caso di specie, l’oggetto del giudizio, e i motivi di impugnazione sostanziale ne erano la migliore conferma, riguardava la soggezione del ricorrente alle sanzioni personali e altre rispetto a quelle derivanti dall’accertamento nei confronti della società (ancorché di fatto); la causa petendi dell’impugnazione dell’avviso, cioè il petitum sostanziale di ognuno dei tre motivi originari, nemmeno sfiorava
il merito dell’accertamento nei confronti della società di fatto, incidendo esclusivamente sull’obbligazione sanzionatoria personale, insuscettivi, accolti o non, di spiegare effetti nei confronti dei coobbligati o della società di fatto.
La Commissione tributaria regionale, poi, ha ritenuto corretta la sentenza di primo grado che aveva affermato che l’atto sanzionatorio era stato legittimamente emesso, in quanto lo stesso decreto legislativo n. 472 del 1997 stabiliva che, allorquando più soggetti concorrevano nella medesima violazione, ognuna di esse soggiaceva alla sanzione per questa disposta e che, nel caso delle società di fatto, a cui si applicava il regime delle società in nome collettivo irregolari, tutti i soci avevano autonomo potere amministrativo e l’autonomia patrimoniale delle società era imperfetta, sicché la circostanza che i soci di fatto, tra cui l’appellante, fossero solidalmente responsabili con la società, laddove riferite alla medesima fattispecie di illecito, escludeva in radice la configurabilità della duplicazione delle sanzioni (poiché un ipotetico duplice pagamento si risolveva, secondo le circostanze, o con il regresso o con la ripetizione dell’indebito), ovvero la escludeva in radice laddove le sanzioni fossero state, come nel processo in esame documentato dall’ufficio, proprie di ciascuno e per le quali ognuno aveva un personale autonomo titolo di responsabilità.
I giudici di secondo grado, in ultimo, hanno ritenuto infondata anche l’eccezione di incompetenza funzionale dell’Ufficio di Varese, non senza prescindere dalla circostanza che il potere impositivo dello Stato era unitario e unitariamente esercitato dalle Agenzie fiscali, tra le quali appunto l’Agenzia delle Entrate, con le loro articolazioni territoriali; la tesi dell’appellante, secondo la quale «o “RAGIONE_SOCIALE” è una società effettiva, dotata di autonoma personalità giuridica, con domicilio fiscale coincidente con la propria sede legale dichiarata, sita a Varese INDIRIZZO e, per l’effetto, soggetta alla potestà accertativa della D.P. di Varese o, al contrario, la predetta cooperativa, è una “società di fatto” -per
natura priva di una formale sede legale e della personalità giuridica -e, per l’effetto, soggetta alla potestà accertativa dell’Ufficio Controlli nel cui Comune la stessa risulterebbe essere stata amministrata ed aver operato concretamente e prevalentemente» si risolveva in una petizione di principio, a nulla dire del fatto che le società di persone, regolari o non, non avevano mai personalità giuridica; società di fatto (e occulta), che operava dietro una società schermo, non significava affatto società virtuale, ma solo società altra; nella specie una società in nome collettivo irregolare e nemmeno significava che la società schermo fosse giuridicamente inesistente; dagli atti, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, emergevano tre circostanze (a) l’attività imputata alla società occulta avveniva utilizzando la struttura di quella palese, con sede in Varese, sede effettiva come confermava la posizione INPS; b) il domicilio fiscale del socio amministratore era in Varese; c) l’esistenza di attività rilevanti in altro luogo che in territorio di Varese non privava l’ufficio di quest’ultimo luogo del potere di accertamento ) e che anche per il solo fatto di avere utilizzato la società occulta la società palese (schermo), le attività (nascoste) e contestate, agli occhi dei terzi (fisco incluso) si erano palesate nel territorio delle società (schermo) regolare; la giurisprudenza invocata dall’appellante in materia di sede effettiva difforme da quella apparente riguardava il caso esattamente speculare a quello controverso (cioè il caso di un terzo, fisco incluso, che invocava una sede effettiva da quella reale), con la conseguenza che poteva essere invocata nel caso inverso, per spiegare l’infondatezza del motivo di appello, in quanto non si poteva invocare a proprio vantaggio una sede effettiva, dissimulata da una reale, dopo avere simulato quella reale, e prestarvi fede.
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a quattro motivi.
L ‘Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1. Il primo motivo deduce, in relazione a ll’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione del diritto al contraddittorio e del diritto di difesa, in violazione dell’art. 24 della Costituzione, nonché del combinato disposto dall’art. 27, comma 2, del decreto legge n. 137 del 2020 e dell’art. 33, comma 1, del decreto legislativo n. 546 del 1992. La sentenza impugnata era nulla per lesione del principio del contraddittorio, considerato che il giudice a quo si era pronunciato senza ammettere le parti alla preventiva discussione della controversia, neppure nelle forme della «c.d. trattazione scritta», e ancorché ricorrente avesse insistito per la discussione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 27, comma 2, del decreto legge n. 137 del 2020 e, fissata l’udienza di trattazione per il 23 febbraio 2021, avesse insistito per la discussione, con istanza debitamente notificata all’Ufficio e ritualmente depositata nel fascicolo telematico.
2. Il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, comma 2, e 14 del decreto legislativo n. 546 del 1992, nonché dell’art. 102 cod. proc. civ.: nullità della sentenza per violazione del principio del litisconsorzio necessario «originario» tra la società di fatto e i soci. 3. Il terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la nullità assoluta dell’atto di irrogazione delle sanzioni per incompetenza territoriale funzionale dell’ufficio Controlli dell’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Varese, ex artt. 31, 58 e 59 del d. P.R. n. 600 del 1973, considerato che l’Ufficio che aveva proceduto a notificare l’atto sanzionatorio impugnato apparteneva ad una Direzione Provinciale (D.P. di Varese) territorialmente e funzionalmente incompetente a esercitare la potestà accertativa in relazione alla posizione fiscale oggetto di controllo, rappresentata da «RAGIONE_SOCIALE», quale «società di fatto». Nella motivazione dell’atto di contestazione prodromico all’atto di irrogazione impugnato l’Ufficio
aveva espressamente specificato che « si irrogano nei suoi confronti le seguenti sanzioni irrogate con avviso di accertamento n. T9302CL15419/2016 », dal quale risultava che il soggetto giuridico accertato era la «società di fatto RAGIONE_SOCIALE» e non la «cooperativa». Proprio sulla base di tale impostazione accertativa, in difetto di una formale «sede legale» della società di fatto accertata (giacché priva di una propria personalità giuridica), il domicilio fiscale, sul quale radicare la competenza territoriale dell’Ufficio Controlli, doveva identificarsi con il luogo in cui l’ente stesso veniva amministrato o, comunque, svolgeva la propria attività in modo continuativo e prevalente, cioè a Milano.
Il quarto motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’i llegittima duplicazione della pretesa sanzionatoria, nonché la violazione dell’art. 17, comma 1, del decreto legislativo n. 472 del 1997. Le sanzioni erano le stesse irrogate a pag. 40 dell’avviso di accertamento n. T9302CL15419/ 2016, con una conseguente indebita «duplicazione» della pretesa sanzionatoria in capo al sig. COGNOME (anch’egli destinatario del citato atto impositivo), stante la mancanza, nella società di fatto, di una personalità giuridica distinta ed autonoma da quella dei (presunti) soci; dall’altro, «collegate», comunque, ad imposte (I.V.A. ed I.R.A.P.) già recuperate a tassazione nel separato avviso di accertamento (n. T9302CL15419/2016). Inoltre, le sanzioni in esame, in quanto relative ad imposte già recuperate a tassazione, avrebbero dovuto essere contestate ed irrogate con atto contestuale al predetto avviso di accertamento e non con atto separato, in ossequio a quanto disposto dall’art. 17, comma 1, del decreto legislativo n. 472 del 1997 e dalla Circolare n. 41 del 5 agosto 2011.
L’esame delle esposte censure porta all’accoglimento del primo motivo di ricorso, con assorbimento dei restanti.
5.1 Ed invero, l’art. 27 del decreto legge n. 137 del 2020 (recante « Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19 ») autorizzava, per i processi tributari, « Fino alla cessazione degli effetti della dichiarazione dello stato di emergenza nazionale da Covid-19, ove sussistano divieti, limiti, impossibilità di circolazione su tutto o parte del territorio nazionale conseguenti al predetto stato di emergenza ovvero altre situazioni di pericolo per l’incolumità pubblica o dei soggetti a vario titolo interessati nel processo tributario, lo svolgimento delle udienze pubbliche e camerali e delle camere di consiglio con collegamento da remoto.. .». Il secondo comma stabiliva che « In alternativa alla discussione con collegamento da remoto, le controversie fissate per la trattazione in udienza pubblica, passano in decisione sulla base degli atti, salvo che almeno una delle parti non insista per la discussione, con apposita istanza da notificare alle altre parti costituite e da depositare almeno due giorni liberi anteriori alla data fissata per la trattazione. I difensori sono comunque considerati presenti a tutti gli effetti. Nel caso in cui sia chiesta la discussione e non sia possibile procedere mediante collegamento da remoto, si procede mediante trattazione scritta, con fissazione di un termine non inferiore a dieci giorni prima dell’udienza per deposito di memorie conclusionali e di cinque giorni prima dell’udienza per memorie di replica. Nel caso in cui non sia possibile garantire il rispetto dei termini di cui al periodo precedente, la controversia é rinviata a nuovo ruolo con possibilità di prevedere la trattazione scritta nel rispetto dei medesimi termini. In caso di trattazione scritta le parti sono considerate presenti e i provvedimenti si intendono comunque assunti presso la sede dell’ufficio ».
5.2 Quindi, per i processi per i quali era stata richiesta la trattazione a udienza pubblica era praticabile la decisione allo stato degli atti, salvo che una delle parti non avesse insistito per la discussione, con apposita
istanza da notificare alle altre parti costituite e da depositare almeno due giorni liberi anteriori alla data fissata per la trattazione. In questa evenienza, però, ove non fosse stato possibile procedere al collegamento da remoto, si doveva disporre trattazione scritta, con fissazione di termini per memorie.
5.3 Questa Corte, di recente, ha affermato che il diniego di una richiesta di discussione orale deve trovare il suo fondamento in un bilanciamento che veda il diritto della parte a discutere la controversia oralmente, in pubblica udienza o con collegamento da remoto, con quello di assicurare l’esercizio della giurisdizione e la tempestiva definizione della controversia. A fronte della tempestiva richiesta della parte il giudice ben può procedere comunque alla trattazione scritta ma deve esplicitare le ragioni organizzative che giustificano la scelta di negare il rinvio ad un’udienza successiva per consentire la trattazione in presenza o, ove possibile in modalità da remoto (Cass., 8 gennaio 2024, n. 594, in motivazione).
5.4 Questa Corte ha pure rilevato, in relazione al giudizio camerale davanti a sé, ma con affermazioni di principio di portata generale, che la garanzia del contraddittorio, costituente il nucleo indefettibile del diritto di difesa costituzionalmente tutelato, è assicurata anche dalla trattazione scritta della causa, con facoltà delle parti di presentare memorie per illustrare ulteriormente le rispettive ragioni (Cass., 20 novembre 2020, n. 26480; Cass., Sez. U., 5 giugno 2018, n. 14437; Cass., 2 marzo 2017, n. 5371; Cass., 10 gennaio 2017, n. 395).
5.5 Deve, quindi, ribadirsi che la norma emergenziale, da un lato, presuppone un contesto di divieti e limitazioni che impediscono l’udienza in presenza e, d’altro lato, si fa carico della possibilità che carenze organizzative all’interno degli uffici impediscano lo svolgimento della discussione tramite collegamento da remoto e che essa non rimette la scelta del rito alla parte ed appresta una articolata disciplina, il cui governo è rimesso al giudice, finalizzata ad assicurare, in una
situazione eccezionale e transitoria di emergenza epidemiologica, lo svolgimento dell’attività giudiziaria garantendo comunque le essenziali prerogative del diritto di difesa. Inoltre, un diritto pieno e incondizionato all’udienza pubblica si pone in contrasto con la ratio della norma perché costringe al rinvio a nuovo ruolo, nei casi in cui non sia possibile assicurare né l’udienza in presenza né il collegamento da remoto, pregiudicando così sia l’interesse pubblico all’esercizio della giurisdizione anche in periodo emergenziale sia l’interesse della controparte alla celere definizione del giudizio, e si presta, oltretutto, ad abusi e a facili strumentalizzazioni per scopi essenzialmente dilatori. Né una diversa conclusione può ritenersi imposta dai «principi regolatori del giusto processo», in quanto da un lato la deduzione della violazione di quei principi deve avere carattere decisivo, nel senso che la lamentata violazione deve incidere sul contenuto della decisione e, dunque, deve arrecare un effettivo pregiudizio a chi la denuncia (Cass., 15 ottobre 2019, n. 26087; Cass., 26 settembre 2017, n. 22341) e dall’altro, la stessa Corte EDU ha rilevato che l’obbligo di svolgere un’udienza pubblica non è assoluto, in quanto le circostanze che possono giustificare la dispensa dall’udienza dipendono essenzialmente dalla natura delle questioni che devono essere esaminate (De Tommaso c Italia, sentenza 23 febbraio 2017 § 163) e che un’udienza pubblica può non essere necessaria, in particolare quando non sono sollevate questioni di fatto o di diritto che non possono essere risolte sulla sola base del fascicolo disponibile o delle osservazioni delle parti, come avviene quando si tratta di questioni altamente tecniche (v. COGNOME c. Italia, sentenza 10 aprile 2012, § 32) (cfr. Cass., 28 febbraio 2023, n. 6033, in motivazione).
5.6 In conclusione, come già precisato da questa Corte, in tema di processo tributario durante l’emergenza da Covid-19, la decisione del giudice di disporre, ai sensi dell’art. 27, comma 2, del decreto legge n. 137 del 2020, la trattazione scritta, nonostante la richiesta della parte
di discussione in pubblica udienza o con collegamento a distanza, è legittima, ove carenze organizzative all’interno dell’ufficio impediscano il collegamento da remoto, poiché le parti non hanno un diritto pieno e incondizionato all’udienza pubblica e la trattazione scritta garantisce le essenziali prerogative del diritto di difesa, assicurando l’interesse pubblico all’esercizio della giurisdizione anche in periodo emergenziale (Cass., 28 febbraio 2023, n. 6033; Cass., 18 aprile 2023, n. 11271) e, tuttavia, il giudice, a fronte della tempestiva richiesta della parte, non può venir meno al dovere di esplicitare le ragioni che giustificano la scelta di negare il rinvio ad un’udienza successiva per consentire la trattazione in presenza o, ove possibile, in modalità da remoto, con facoltà delle parti di presentare memorie per illustrare ulteriormente le rispettive ragioni (Cass., 8 gennaio 2024, n. 594, citata).
5.7 La decisione impugnata non è conforme ai principi normativi e giurisprudenziali richiamati, in quanto, come si legge a pagina 3 della sentenza di secondo grado, il Collegio ha dato atto che « Alla camera di consiglio non partecipata costituita telematicamente, in assenza di diverse istanze delle parti, l’appello è stato trattenuto in decisione » (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata), così, da un lato, obliterando del tutto l’istanza di discussione orale in pubblica udienza, datata 4 febbraio 2021 e depositata telematicamente in pari data (ricevuta dal SIGIT in data 5 febbraio 2021), e, dall’altro, non concedendo i termini per la presentazione di memorie conclusionali e di memorie di replica. 6. Per le ragioni di cui sopra, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti; la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 23 ottobre 2024.