Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21192 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21192 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 25781/2016 R.G. proposto da
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE Moving On New Information Technology
-intimata – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, n. 442/22/2016, depositata il 04.04.2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTP di Novara accoglieva il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE (in breve Moonit), esercente l’attività di commercio all’ingrosso di computer e software, avverso l’avviso di accertamento relativo ad IVA per l’anno di imposta 20 07, riguardante fatture per operazioni soggettivamente inesistenti;
Oggetto:
Tributi
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte rigettava l’appello proposto dal l’Agenzia delle Entrate e, richiamando e condividendo la sentenza di primo grado, osservava, per quanto qui rileva, che non sussistevano prove sufficienti per sostenere che le operazioni contestate a RAGIONE_SOCIALE potessero essere qualificate come operazioni soggettivamente inesistenti; nello specifico, i rilievi esposti nell’avviso di accertamento e nell’ atto di appello non erano idonei a dimostrare che la società contribuente avesse partecipato volontariamente alla frode;
l ‘Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della CTR di secondo grado con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;
la società contribuente rimaneva intimata.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 36, comma 2, n. 4 d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. , per omissione totale di motivazione o motivazione apparente in ordine alla asserita correttezza dell’operato della Moonit, essendosi la CTR limitata ad alcune affermazioni apodittiche;
il motivo è infondato;
è stato più volte affermato che ‘la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture ‘ (Cass., Sez. U. 3.11.2016, n. 22232);
la motivazione della sentenza impugnata non rientra affatto nei paradigmi invalidanti indicati nel citato, consolidato e condivisibile,
arresto giurisprudenziale, in quanto presenta una motivazione che, a prescindere dalla sua correttezza o meno, palesa l’ iter logico seguito dai giudici di appello, che hanno condiviso il giudizio del primo giudice, riportandone il contenuto e ritenendo di confermare la l’annullamento della ripresa, in quanto l’Ufficio non aveva offerto prove sufficienti per qualificare le operazioni contestate come soggettivamente inesistenti e per concludere che la contribuente avesse partecipato volontariamente alla frode, dovendosi ritenere che il giudice tributario di appello abbia assolto il proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale” (cfr. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053);
con il secondo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 19, comma 1 , d.P.R. n. 633/1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. per avere la CTR riconosciuto alla società il diritto alla detrazione dell’I VA scontata sugli acquisti effettuati dalle società cartiere, avendo ritenuto che i rilievi esposti nell’avviso di accertamento e nell’appello non fossero idonei a dimostrare che la società contribuente avesse partecipato ‘volontariamente’ alla frode, senza considerare che, per riconoscere il diritto alla detrazione dell’IVA, non era sufficiente escludere la partecipazione dolosa del cessionario alla frode commessa a monte dai suoi fornitori, ma anche la sua negligenza professionale nello scegliere le controparti;
con il terzo motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la CTR affermato che l’Ufficio non aveva provato la sussistenza della pretesa e che la contribuente non doveva fornire prove contrarie o comunque che le aveva fornite;
-i predetti motivi, che vanno esaminati unitariamente per connessione, sono fondati;
va ribadito che, nel caso di operazione soggettivamente inesistente l’IVA non è, in linea di principio, detraibile, perché è stata versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa e non assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta, in quanto la fattura è emessa da un soggetto che non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, da ritenersi “inesistenti” (Cass. 30.10.2013, n. 24426);
poiché il diniego del diritto di detrazione costituisce un’eccezione al principio di neutralità dell’IVA che tale diritto costituisce, incombe sull’Amministrazione finanziaria provare, anche sulla base di presunzioni, che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano, le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione (e segnatamente: che il soggetto emittente non era il reale cedente e che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta), mentre spetterà al contribuente, una volta raggiunta questa prova, fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente (Cass. 20.04.2018, n. 9851);
per quanto riguarda la consapevolezza del cessionario, invece, occorre rilevare che, se a quest’ultimo non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali od operativi anomali dell’operazione commerciale, tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi di una potenziale evasione (Cass. 2.12.2015, n. 24490);
-con riferimento al tipo di prova incombente sull’Amministrazione, è stato poi condivisibilmente affermato che può trattarsi sia di prova
logica (o indiretta) sia di prova storica (o diretta), consistente anche in indizi integranti una presunzione semplice (Cass. n. 28246 del 2020), potendo essere valorizzati, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione dell’operazione da parte del fatturante, l’assenza della minima dotazione personale e strumentale adeguata alla predetta esecuzione, l’immediatezza dei rapporti fra cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente, la conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione (Cass. n. 5339 del 2020);
anche di recente è stato ribadito che, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. n. 24471 del 2022);
il contenuto della massima diligenza esigibile nei confronti di un accorto operatore, al fine di non essere parte di una frode IVA, si incentra sulle opportune informazioni circa l’effettiva esistenza del fornitore, da acquisirsi sia direttamente (in relazione alla struttura organizzativa dello stesso) sia indirettamente, attraverso l’esame
delle modalità con le quali si è estrinsecato il rapporto commerciale con l’emittente (Cass. n. 28165 del 2022);
il giudice del gravame non ha seguito i principi sopra indicati, non avendo considerato il valore sintomatico degli elementi indicati dall’Amministrazione finanziaria nell’atto impositivo (e richiamati, in ossequio al principio di autosufficienza, nel testo del ricorso per cassazione), quali, a titolo meramente esemplificativo, le circostanze che le società fornitrici erano prive di strutture e di personale (cartiere), dedite all’omissione sistematica delle dichiarazioni e dei versamenti dell’IVA, che le forniture venivano pagate mediante assegni circolari direttamente al reale fornitore COGNOME che spediva la merce alla contribuente o la merce veniva ritirata direttamente presso il magazzino della COGNOME dalla moglie del legale rappresentante della COGNOME
la CTR ha, invece, valorizzato elementi irrilevanti quali la mancata prova della partecipazione volontaria della contribuente alla frode, alterando le regole di ripartizione dell’onere probatorio gravanti sulle parti, in quanto si tratta di circostanza priva di rilievo, essendo sufficiente dimostrare la mancata diligenza dell’operatore;
in conclusione, vanno accolti il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigettato il primo; la sentenza impugnata va cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, per nuovo esame e per la liquidazione delle spese.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia anche per la liquidazione delle spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 14 maggio 2025