Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5898 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5   Num. 5898  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2025
Tributi- rimborso
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6247/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  Direttore  generale pro tempore, domiciliata ex  lege in  INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, con avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE),  ed  elettivamente  domiciliata  presso  lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE), in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA SICILIA n. 5352/2019 depositata il 18/09/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/02/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La contribuente RAGIONE_SOCIALE ha incorporato nel tempo la  RAGIONE_SOCIALE,  già  RAGIONE_SOCIALE,  già  RAGIONE_SOCIALE che, per l’anno fiscale 1980, aveva avanzato istanza di rimborso  per  crediti  di  imposta  IRPEG  esposti  su  modello  760  di quell’anno. Formatosi il silenzio rifiuto, aveva esperito azione avanti la CTP di Agrigento.
Subentrata RAGIONE_SOCIALE, essa adiva il giudice di prossimità per ottenere il rimborso, affermando non essere prescritto, perché già esposto dall’originario istituto bancario creditore, incorporato per fusione.
Si  costituiva  l’RAGIONE_SOCIALE,  affermando  di  aver  ricevuto  diverse istanze  da  RAGIONE_SOCIALE,  in  allora  Credito  Italiano,  per  vedersi corrispondere il credito in Titoli di Stato, ai sensi della l. n. 457/1994.
L’RAGIONE_SOCIALE rispondeva con nota n. 41430 del 21 dicembre 1996, affermando  non  poter  dar  corso  al  pagamento  mediante  Titoli  di Stato per non essergli opponibile la cessione del credito da RAGIONE_SOCIALE a Credito Italiano (poi RAGIONE_SOCIALE), in quanto non assunto con le  dovute forme, trattandosi piuttosto di atto societario vincolante inter partes , ma inefficace ai fini tributari, specie del rimborso.
La CTP di Agrigento accoglieva le ragioni della parte privata, ordinando la corresponsione del rimborso e degli interessi,  donde proponeva appello l’RAGIONE_SOCIALE, eccependo in primo luogo che non fosse stata impugnata la prefata nota n. 41430/1996, da intendersi come diniego del rimborso che, pertanto, doveva ritenersi definitivo.
Il collegio d’appello confermava la pronuncia di primo grado, ritenendo la comunicazione n. 41430/1996 cosa diversa dal diniego di  rimborso  -di  cui  non  aveva  i  caratteri  formali  (indicazione  dei termini  e  dell’autorità  cui  ricorrere,  notificazione  etc.)  –  quanto
piuttosto risposta alla domanda di ottenere il credito tramite Titoli di Stato.
Avverso questa sentenza ricorre l’RAGIONE_SOCIALE, affidandosi  a  due  motivi,  cui  replica  la  parte  contribuente  con tempestivo controricorso e, in prossimità dell’adunanza, depositato altresì memoria ad illustrazione RAGIONE_SOCIALE proprie ragioni.
CONSIDERATO
Vengono proposti due motivi di ricorso.
Con  il primo  motivo,  si denuncia  violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 21 D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, in relazione  all’art.  360,  comma  1,  n.  4,  cod.  proc.  civ.,  per  aver disatteso  l’eccezione  di  inammissibilità  del  ricorso  introduttivo  per omessa impugnazione dell’espresso diniego del rimborso nell’anno 1996.
 Con  il  secondo  motivo,  si  denuncia  violazione  e  falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1,  n.  3,  cod.  proc.  civ.,  per  aver  invertito  il  principio  dell’onere probatorio con riguardo alla sussistenza del credito rimborsabile.
Il primo motivo è infondato. Come si è detto, sin dal giudizio di primo grado, l’Amministrazione finanziaria ha dedotto l’inammissibilità del ricorso originario della contribuente, che è stato proposto nell’anno 2012, per l’omessa impugnazione nel termine di decadenza ex art. 21 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546 del diniego di rimborso, che era stato pronunciato nell’anno 1996. Secondo la sentenza impugnata, la contribuente non aveva proposto un’istanza di rimborso del credito IRPEG, ma aveva soltanto manifestato la propria disponibilità a ricevere parte della somma pretesa in restituzione mediante l’assegnazione di titoli di Stato; inoltre, la nota trasmessa dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE (AG) il 21 dicembre 1996, prot. n. NUMERO_DOCUMENTO, non costituiva atto impugnabile ex art. 19, comma 1, lett. g, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546 per la carenza di notifica alla contribuente e per l’omissione di indicazioni sulle modalità di proposizione del ricorso giudiziale e sulla commissione tributaria competente a decidere sul
ricorso giudiziale (secondo la prescrizione dell’art. 19, comma 2, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546).
3.1. Il giudice di appello ha accertato in fatto che nella nota trasmessa dall’RAGIONE_SOCIALE il 21 dicembre 1996 prot. n. NUMERO_DOCUMENTO non era contenuta l’indicazione dell’autorità giudiziaria a cui ricorrere né del relativo termine.
Peraltro, tale accertamento non risulta essere stato censurato in  questa  sede.  In  proposito,  l’art.  19,  comma  2,  del  D.L.vo  31 dicembre 1992 n. 542 (con disposizione cui ora si sovrappone anche l’art, 7, comma 2, della Legge 27 luglio 2000 n. 212) prevede che negli atti impugnabili espressi siano indicati il termine per proporre ricorso, la commissione  tributaria competente  e le forme di proposizione previste dall’art.  20  del  D.L.vo  31  dicembre  1992  n. 542.
La giurisprudenza di questa Corte ha escluso che la mancata indicazione di tali elementi determini invalidità dell’atto, essendo la relativa previsione normativa sprovvista di sanzione in caso di omissione (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 29 settembre 2003, n. 14482; Cass., Sez. 5^, 30 luglio 2008, n. 20634; Cass., Sez. 5^, 18 maggio 2011, n. 10987; Cass., Sez. 6^-5, 8 novembre 2013, n. 25227; Cass., Sez. 5^, 28 dicembre 2016, nn. 27141, 27142 e 27147; Cass., Sez. 5^, 18 maggio 2018, nn. 12238 e 12239; Cass., Sez. 5^, 29 maggio 2019, n. 14619; Cass., Sez. 5^, 20 novembre 2019, n. 30135; Cass., Sez. 5^, 27 febbraio 2020, n. 5369); tuttavia, secondo gran parte della dottrina, ove la mancanza o l’erroneità RAGIONE_SOCIALE indicazioni suddette abbia indotto il contribuente a presentare il ricorso tardivamente, dovrebbe intervenire una rimessione in termini per errore scusabile, o in ogni caso il ricorso dovrebbe considerarsi tempestivo (Cass., Sez. 5^, 30 luglio 2008, n. 20634).
Un simile risultato  ermeneutico  è  condivisibile  anche  perché trova conferma nei principi generali affermati dalla sentenza depositata  dalla  Corte  costituzionale  11  aprile  1998  n.  86,  nella quale, in materia di opposizione a ordinanza ingiunzione relativa alla
irrogazione di sanzioni amministrative, si sostiene che «non possono verificarsi preclusioni a proporre opposizione, non solo quando manchi nell’ordinanza – ingiunzione l’indicazione del termine entro cui è possibile farlo, ma, a maggior ragione, nel caso in cui sia indicato erroneamente un termine più lungo di quello fissato dalla legge, vanificandosi, altrimenti, oltre alla portata precettiva della L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 4, anche l’esigenza di effettiva tutela del cittadino nei confronti degli atti della P.A.». Per cui, la legge non commina espressamente alcuna nullità per l’omissione RAGIONE_SOCIALE predette indicazioni, che può, tutt’al più, determinare la mancata decorrenza del termine per impugnare.
3.2. Deve, pertanto, escludersi che possa ritenersi l’intempestività di un ricorso proposto avverso un atto che non rechi le indicazioni (prescritte dall’art. 19, comma 2, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, nonché dall’art. 7, comma 2, della Legge 27 luglio 2000 n. 212) concernenti la commissione tributaria provinciale alla quale proporre il ricorso, nonché i termini e le modalità per ricorrere. Dai suddetti arresti di questa Corte, pertanto, con riferimento all’omessa indicazione, negli atti impositivi, RAGIONE_SOCIALE informazioni relative al termine entro cui il destinatario può proporre impugnazione e all’autorità giurisdizionale dinanzi alla quale il ricorso può essere proposto, deriva la necessità di procedere ad una necessaria distinzione tra il piano, meramente formale, degli effetti sulla validità dell’atto, da quello, più propriamente processuale, del termine entro cui il ricorso può essere proposto, ai sensi dell’art. 21 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546; invero, se, da un lato, non può ritenersi che l’atto impositivo, privo RAGIONE_SOCIALE suddette informazioni, sia di per sé invalido, d’altro lato, l’omesso inserimento RAGIONE_SOCIALE medesime nel contesto dell’atto assume rilevanza ai fini della valutazione della tempestività o meno del ricorso: è, quindi, necessario che la parte che ha ricevuto la notifica dell’atto impositivo provveda a proporre la relativa impugnazione avverso il medesimo, senza, tuttavia, che, da un lato, possa prospettare vizi che attengono all’omesso inserimento RAGIONE_SOCIALE informazioni e, dall’altro, che possa prospettarsi una questione
di  tardività  del  ricorso  (in  termini:  Cass.,  Sez.  5^,  20  novembre 2019, n. 30135).
Tanto premesso in punto di diritto, il collegio ritiene che la nota trasmessa dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE il 21 dicembre 1996, prot. n. NUMERO_DOCUMENTO (il cui contenuto è stato trascritto nel corpo del ricorso, in ossequio al canone della completezza ed esaustività), non possa considerarsi atto impugnabile ex art. 19, comma 1, lett. g, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, non essendo qualificabile nei termini di «rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi». Difatti, la richiesta respinta della “RAGIONE_SOCIALE” non aveva per oggetto il rimborso del credito IRPEG per l’anno d’imposta 1986, di cui essa aveva acquistato la titolarità per effetto della cessione di azienda del 2 dicembre 1992, anche in considerazione della reiterata proposizione della relativa istanza nelle dichiarazioni annuali dei redditi ex art. 1 del D.M. 26 agosto 1994, ma l’opzione per una diversa modalità di estinzione del medesimo credito (assegnazione di Titoli di Stato) ai sensi dell’art. 5, commi 1 e 1-bis, del D.L. 23 maggio 1994 n. 307, convertito, con modificazioni, dalla Legge 22 luglio 1994 n. 457. Per cui, il rifiuto di soddisfare il credito con la modalità alternativa dell’assegnazione dei titoli di Stato non poteva equivalere ad un diniego (ancorché tacito) di rimborso.
Aggiungasi che la circostanza dell’omessa comunicazione alla “RAGIONE_SOCIALE”  della  nota  trasmessa  dall’RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE il 21 dicembre 1996, prot. n. NUMERO_DOCUMENTO, pur essendo di per sé ininfluente per verificarne l’impugnabilità in relazione alla sua efficacia, costituisce, comunque, elemento significativo per disattendere l’eccezione di tardiva proposizione del ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Agrigento.
Nella specie, il giudice di appello ha fatto corretta applicazione di  tali  principi,  avendo  accertato  che  il  provvedimento  adottato dall’amministrazione finanziaria – oltre a non essere stato notificato alla contribuente, che, pertanto, non poteva considerarsi decaduta dall’impugnazione per decorso del termine ex art. 21, comma 1, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, anche in considerazione
dell’omessa indicazione del termine di impugnazione e del giudice tributario competente a decidere sull’impugnazione – si era limitato a negare l’opzione di soddisfazione del credito d’imposta mediante l’assegnazione di titoli di Stato, ma non aveva rigettato (neanche per implicito) l’istanza di rimborso (la pronuncia, dunque, atteneva al quid e non all’ an debeatur ). In tal senso, si può condividere la motivazione della sentenza impugnata, laddove afferma che: «Invero, la nota prot. 4130 non integra un rifiuto di istanze di rimborso, ma segue richieste di estinzione di crediti (risultanti da altrettante dichiarazioni annuali) anziché in denaro contante mediante assegnazione di Titoli di Stato. Peraltro, le istanze di rimborso erano già contenute nelle dichiarazioni annuali ai sensi dell’art.1 DM 26.8.1994. I commi 1 e 1 bis dell’art. 5 D.L. 307/94 prevedevano la possibilità di chiedere una diversa modalità di estinzione del credito di cui era già stato chiesto il rimborso nella dichiarazione annuale. Lungi dall’integrare un’istanza di rimborso il cui eventuale diniego diveniva impugnabile ex art. 19 d.lgs. 546/1992, nel caso di specie veniva in questione una comunicazione a mezzo della quale il contribuente affermava di essere disponibile a ricevere gran parte RAGIONE_SOCIALE somme richieste a rimborso tramite l’assegnazione di titoli di Stato. Inoltre, la comunicazione che porta numero di protocollo il NUMERO_DOCUMENTO non indica le modalità del ricorso».
Anche il secondo motivo è infondato. La violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione RAGIONE_SOCIALE acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (tra le tante: Cass., Sez. 3^, 29 maggio 2018, n. 13395; Cass., Sez. Lav., 19 agosto 2020, n. 17313; Cass., Sez. 5^, 22 luglio 2021, n. 20950; Cass., Sez. 1^, 29 luglio 2021, n. 21831). 2.2 Nella
specie, l’amministrazione finanziaria ha dedotto in sede di legittimità che la contribuente non avrebbe prodotto la copia della documentazione  inerente  ai  versamenti  in  eccedenza,  per  cui  la censura  si  risolve  in  una  rivalutazione  dell’accertamento  fatto  dal giudice di merito.
Peraltro, la censura non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata,  la  quale  si  era  pronunciata  sull’efficacia  del  subentro della contribuente nella titolarità del credito d’imposta e non sulla prova di tale titolarità.
Ad ogni modo, decidendo su uno specifico motivo di gravame, il giudice di appello ha accertato, sulla scorta RAGIONE_SOCIALE risultanze probatorie, che la “RAGIONE_SOCIALE” aveva acquistato la titolarità del credito d’imposta dalla “RAGIONE_SOCIALE” per effetto della cessione di azienda (ex art. 2559 cod. civ.) del 2 dicembre 1992, che non era soggetta agli oneri previsti per la cessione di crediti verso lo Stato dagli artt. 69 e 70 del R.D. 18 novembre 1923 n. 2440 e che era stata pubblicata nella G.U. della Repubblica Italiana ex art. 26 del D.L.vo 14 dicembre 1992 n. 481 (poi trasfuso nell’art. 58, comma 4, del D.L.vo 1 settembre 1993 n. 385) per gli effetti dell’art. 1264 cod. civ.. Il che è in sintonia con la più recente giurisprudenza di questa Corte n. 28928/2021, secondo la quale, avendo riguardo alla cessione isolata di crediti di qualsiasi natura nei confronti dello Stato, l’art. 69 del R.D. 18 novembre 1923 n. 2440 è derogato, con particolare riguardo alle cessioni interbancarie di attività e passività, dall’art. 58, comma 4, del D.L.vo 1 settembre 1993 n. 385 (espressamente richiamato dall’art. 90, comma 2, ultima parte, del D.L.vo 1 settembre 1993 n. 385 per le operazioni intervenute durante la liquidazione coatta amministrativa), secondo il quale: «Nei confronti dei debitori ceduti gli adempimenti pubblicitari previsti dal comma 2 producono gli effetti indicati dall’articolo 1264 del codice civile».
Pertanto, considerando la “specialità” della norma in relazione alla  qualifica  professionale  dei  soggetti  coinvolti,  alla  complessità tecnica RAGIONE_SOCIALE vicende circolatorie in ordine ad una massa di rapporti
attivi e passivi, alla vigilanza della Banca d’Italia sulle varie fasi RAGIONE_SOCIALE operazioni,  si  può  ritenere  che  le  formalità  previste  dall’art.  58, comma 2, del D.L.vo 1 settembre 1993 n. 385 (iscrizione nel registro RAGIONE_SOCIALE imprese e pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana) debbano valere – ai fini dell’opponibilità ai terzi – anche per i crediti d’imposta verso l’amministrazione finanziaria.
Ne consegue che gli adempimenti prescritti l’art. 69, comma 1, del R.D. 18 novembre 1923 n. 2440 (notifica al debitore ceduto o accettazione del debitore ceduto) non possono venire in rilievo per ammettere o escludere il riconoscimento del rimborso al cessionario del credito d’imposta, che sia stato oggetto di trasferimento a titolo particolare tra banche nel più ampio contesto di cessioni “in blocco” di  attività  e  passività  ai  sensi  dell’art.  58,  comma  4,  del  D.L.vo  1 settembre 1993 n. 385. 3.
Valutandosi  la  infondatezza  dei  motivi  dedotti,  dunque,  il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente  RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in €. millequattrocento/00  per  compensi,    oltre  euro  200,00  per  esborsi, rimborso spese forfetaria nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.
Così deciso in Roma, il 19/02/2025.