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Diniego rimborso credito IVA: motivazione e cessionario

Una società finanziaria, cessionaria di un credito d’imposta da una società fallita, si è vista negare il rimborso dall’Agenzia delle Entrate. La motivazione del diniego era l’esistenza di un controcredito erariale, derivante da un accertamento divenuto definitivo nei confronti della società cedente. La Corte di Cassazione ha stabilito che, in caso di diniego rimborso credito IVA, la motivazione dell’Agenzia può essere sintetica, a differenza degli atti impositivi. Inoltre, ha chiarito che l’amministrazione non ha l’obbligo di notificare al cessionario gli atti di accertamento emessi nei confronti del cedente, poiché il rapporto tributario principale rimane in capo a quest’ultimo.

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Pubblicato il 6 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Diniego Rimborso Credito IVA: La Posizione del Cessionario e gli Obblighi di Motivazione

L’acquisto di crediti fiscali è un’operazione finanziaria comune, ma quali sono i rischi quando l’amministrazione finanziaria contesta l’esistenza stessa del credito? Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale: il diniego rimborso credito IVA e la posizione del soggetto che ha acquistato tale credito (cessionario). La pronuncia chiarisce gli obblighi di motivazione dell’Agenzia delle Entrate e i doveri di notifica nei confronti del cessionario, delineando un quadro preciso dei diritti e degli oneri delle parti coinvolte.

I fatti del caso: la cessione del credito e il diniego dell’Agenzia

Una società bancaria, in qualità di cessionaria di un credito IRES vantato da una società terza (poi fallita), presentava istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate. L’amministrazione finanziaria, tuttavia, respingeva la richiesta, opponendo l’esistenza di un proprio controcredito nei confronti della società cedente. Tale controcredito derivava da un avviso di accertamento, divenuto definitivo per mancata impugnazione, che di fatto annullava il credito oggetto di cessione.

La banca impugnava il diniego, lamentando un vizio di motivazione: l’atto non specificava né allegava l’avviso di accertamento su cui si fondava. Mentre la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso, la Commissione Tributaria Regionale ribaltava la decisione, dando ragione all’Ufficio. La questione è così giunta all’esame della Corte di Cassazione.

La decisione della Cassazione sul diniego rimborso credito IVA

La Suprema Corte ha respinto le doglianze della società bancaria, confermando la legittimità dell’operato dell’Agenzia delle Entrate. La decisione si fonda su due principi cardine che meritano un’analisi approfondita.

La motivazione del diniego: un obbligo meno stringente

Il primo punto affrontato dalla Corte riguarda l’obbligo di motivazione. Secondo i giudici, quando si tratta di un diniego rimborso credito IVA, l’obbligo di motivazione per l’Ufficio è diverso e meno stringente rispetto a quello previsto per gli atti impositivi, come un avviso di accertamento.

In un procedimento di rimborso, i ruoli sono invertiti: è il contribuente a essere creditore e a dover provare l’esistenza del suo diritto. L’Agenzia assume il ruolo di debitore che ‘resiste’ alla pretesa. Di conseguenza, non è tenuta a una motivazione esaustiva. È sufficiente che il provvedimento di diniego delinei gli aspetti essenziali delle ragioni del rigetto, ad esempio richiamando l’insussistenza dei presupposti di legge. L’amministrazione finanziaria può, inoltre, integrare le proprie argomentazioni nel corso del successivo giudizio.

La posizione del cessionario: nessun obbligo di notifica degli atti impositivi

Il secondo e più rilevante aspetto riguarda la posizione del cessionario del credito. La banca sosteneva che gli atti che incidevano sul credito (come l’accertamento che lo annullava) avrebbero dovuto essere notificati anche a lei, in quanto cessionaria.

La Cassazione ha rigettato questa tesi, affermando che la cessione del credito non modifica la titolarità del rapporto giuridico-tributario sottostante, che rimane in capo al cedente. La cessione trasferisce solo l’esercizio del diritto di credito. Pertanto, tutti gli atti relativi all’obbligazione tributaria, inclusi gli avvisi di accertamento, devono essere notificati unicamente al contribuente originario (il cedente). Il cessionario, quale terzo estraneo al rapporto tributario, non ha titolo per pretendere la notifica di tali atti, anche se questi incidono sull’esigibilità del credito che ha acquistato.

Le motivazioni della Corte

La Corte ha motivato la sua decisione richiamando un orientamento consolidato. Il rapporto che si instaura con una richiesta di rimborso non è di natura impositiva, ma ha una struttura civilistica in cui il contribuente è l’attore sostanziale che deve dimostrare il proprio diritto. L’Ufficio, in qualità di convenuto, può limitarsi a contestare tale diritto.

Questa inversione dei ruoli processuali giustifica un onere motivazionale ridotto per l’atto di diniego. L’interesse del contribuente a una motivazione dettagliata è meno pressante, poiché può comunque far valere le sue ragioni in giudizio, dove l’onere di provare il credito grava su di lui.

Per quanto riguarda la cessione, la Corte ha sottolineato che il cessionario subentra nella stessa posizione del cedente, ma solo per quanto riguarda l’esercizio del credito. La titolarità del rapporto fiscale resta invariata. Ne consegue che l’amministrazione finanziaria non ha alcun obbligo legale di notificare al cessionario gli atti destinati al debitore d’imposta originario.

Le conclusioni e le implicazioni pratiche

La sentenza ha importanti implicazioni per gli operatori finanziari che acquistano crediti fiscali.

1. Due Diligence Rafforzata: Il cessionario deve svolgere un’accurata due diligence non solo sull’esistenza formale del credito, ma anche sulla posizione fiscale complessiva del cedente. Il rischio che il credito venga annullato da un accertamento successivo, non notificato al cessionario, è concreto.
2. Motivazione Sintetica: Il cessionario non può contestare un diniego di rimborso basandosi unicamente sulla sua sinteticità o sulla mancata allegazione degli atti presupposti. Dovrà invece essere pronto a dimostrare, in sede giudiziaria, la piena esistenza e spettanza del credito acquistato.
3. Nessun Affidamento sulla Notifica: Non si può fare affidamento sul fatto di ricevere notifiche dall’Agenzia delle Entrate relative ad atti impositivi verso il cedente. La gestione del rapporto fiscale rimane una prerogativa del contribuente originario.

L’Agenzia delle Entrate deve motivare in modo esaustivo un provvedimento di diniego di rimborso di un credito d’imposta?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la motivazione di un diniego di rimborso può essere sintetica e limitarsi a delineare gli aspetti essenziali delle ragioni del rigetto. L’onere motivazionale è meno stringente rispetto agli atti impositivi, poiché nel giudizio di rimborso è il contribuente a dover provare l’esistenza del suo credito.

In caso di cessione di un credito tributario, l’Agenzia delle Entrate è obbligata a notificare gli atti di accertamento relativi a quel credito anche al cessionario?
No. La Corte ha stabilito che la titolarità del rapporto tributario rimane in capo al cedente. Pertanto, l’avviso di accertamento deve essere notificato solo al contribuente originario (cedente) e non anche al cessionario, il quale è considerato un terzo estraneo a tale rapporto.

Chi ha l’onere di provare l’esistenza del credito in un giudizio per il rimborso?
L’onere di provare i fatti costitutivi del diritto al rimborso grava sul contribuente (o sul cessionario che agisce in sua vece). È il richiedente a dover dimostrare in giudizio l’esistenza, la consistenza e la spettanza del credito di cui chiede la restituzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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