Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10902 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10902 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17050/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma al INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentata e difesa
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DEL LAZIO n. 9904/2016 depositata il 30 dicembre 2016
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 16 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 29 maggio 2013 la RAGIONE_SOCIALE presentava alla Direzione Centrale per la normativa e il contenzioso dell’Agenzia delle Entrate istanza d’interpello ex art. 167, commi 5 e 8 -ter , del
D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), nel testo vigente «ratione temporis» , per la disapplicazione della disciplina in materia di imprese estere controllate contenuta nel citato articolo (cd. regime delle «controlled foreign companies» ), in relazione alla partecipazione da essa istante detenuta nella (di qui in poi ), società localizzata in Irlanda e ivi assoggettata a tassazione effettiva inferiore a più della metà di quella a cui sarebbe stata sottoposta ove residente in Italia.
A sostegno dell’avanzata richiesta, specificamente riferita all’anno d’imposta 2012, esponeva che in detto periodo la società controllata aveva svolto effettiva attività commerciale nello Stato di insediamento, in qualità di compagnia di riassicurazione del Gruppo Fondiaria-SAI (cd. ), e che pertanto non rappresentava una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale.
La formulata istanza veniva dichiarata «inammissibile» con provvedimento del 25 settembre 2013, sulla scorta delle seguenti motivazioni:
la società aveva già presentato altro analogo interpello in relazione all’anno d’imposta 2011;
-nella circostanza, l’istanza di disapplicazione era stata ritenuta inammissibile di interpello;
-nel successivo interpello, relativo all’anno d’imposta 2012, , onde .
La prefata compagnia assicurativa, che successivamente assumeva la nuova denominazione di RAGIONE_SOCIALE impugnava tale provvedimento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma.
Il giudice adìto, statuendo nel contraddittorio della Direzione Centrale e di quella Regionale del Piemonte dell’Agenzia delle Entrate, in parziale accoglimento del ricorso, affermava l’impugnabilità della risposta all’interpello, precisando che la notifica della sentenza da essa pronunciata era da considerare equiparabile «alla riproposizione dell’istanza…, con la conseguenza di un nuovo decorso del termine di legge» concesso all’Amministrazione per provvedere nel merito.
La decisione veniva successivamente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, la quale, con sentenza n. 9904/2016 del 30 dicembre 2016, «estrometteva» dal processo l’appellante Direzione Regionale del Piemonte dell’Agenzia delle Entrate, «per evidente difetto di legittimazione passiva» , e, in accoglimento del separato gravame proposto dalla Direzione Centrale della medesima agenzia fiscale, dichiarava inammissibile l’originario ricorso della contribuente.
Osservavano i giudici di secondo grado: «Difetta… nella nota avversata il tratto della valenza provvedimentale dell’atto, che solo renderebbe lo stesso lesivo della sfera giuridica del (la) destinataria, e quindi autonomamente e anzi immediatamente impugnabile (…) In altri termini, il rigetto dell’interpello (e nella specie neppure si tratta di rigetto in senso proprio) non produce alcun effetto diretto ed immediato nei confronti del richiedente, in quanto la risposta in parola ha essenzialmente la funzione di rendere nota, preventivamente, al contribuente la posizione dell’Agenzia fiscale in ordine all’interpretazione ovvero all’àmbito di applicazione di una norma tributaria in relazione ad un caso concreto prospettato dallo
stesso istante (…) Certo è che la risposta all’interpello non integra alcun esercizio di potestà impositiva nei confronti del richiedente» .
Avverso tale sentenza l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
Nel termine di cui al comma 1, terzo periodo, dello stesso articolo la ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è denunciata la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 2 e 19 del D. Lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 100 c.p.c., dell’art. 167 del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), dell’art. 11 della L. n. 212 del 2000 e degli artt. 24, 53 e 97 Cost..
1.1 Si rimprovera alla CTR di aver erroneamente dichiarato inammissibile l’originario ricorso proposto dall’Unipolsai Assicurazioni s.p.a. avverso il provvedimento di diniego dell’interpello disapplicativo emesso dalla Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate.
1.2 Viene, in proposito, obiettato che tale provvedimento deve ritenersi suscettibile di impugnazione dinanzi al giudice tributario in base a un’interpretazione estensiva dell’elenco degli atti indicati nell’art. 19, comma 1, del D. Lgs. n. 546 del 1992, in linea con la costante giurisprudenza di questa Corte formatasi «in subiecta materia» .
Con il secondo motivo, introdotto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la medesima censura di cui al precedente mezzo di gravame viene riproposta sotto il diverso profilo della violazione di norme di diritto, e quindi non come «error in procedendo» , bensì come «error in iudicando» .
I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro intima connessione, sono fondati.
3.1 Giova premettere che l’art. 167 del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), nel testo, applicabile «ratione temporis» , vigente dopo le modifiche apportate dall’art. 13, comma 1, lettere a), b) e c), del D.L. n. 78 del 2009, convertito in L. n. 102 del 2009, così recita per quanto qui di interesse:
« 1. Se un soggetto residente in Italia detiene, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona, il controllo di una impresa, di una società o di altro ente, residente o localizzato in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168 -bis , i redditi conseguiti dal soggetto estero partecipato sono imputati, a decorrere dalla chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero partecipato, ai soggetti residenti in proporzione alle partecipazioni da essi detenute. Tali disposizioni si applicano anche per le partecipazioni in soggetti non residenti relativamente ai redditi derivanti da loro stabili organizzazioni situate in Stati o territori diversi da quelli di cui al citato decreto.
(…)
Le disposizioni del comma 1 non si applicano se il soggetto residente dimostra, alternativamente, che:
la società o altro ente non residente svolga un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello Stato o territorio di insediamento; per le attività bancarie, finanziarie e assicurative quest’ultima condizione si ritiene soddisfatta quando la maggior parte delle fonti, degli impieghi o dei ricavi originano nello Stato o territorio di insediamento;
dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del
Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168bis . Per i fini di cui al presente comma, il contribuente deve interpellare preventivamente l’amministrazione finanziaria, ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante lo statuto dei diritti del contribuente.
(…)
8bis . La disciplina di cui al comma 1 trova applicazione anche nell’ipotesi in cui i soggetti controllati ai sensi dello stesso comma sono localizzati in Stati o territori diversi da quelli ivi richiamati, qualora ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:
sono assoggettati a tassazione effettiva inferiore a più della metà di quella a cui sarebbero stati soggetti ove residenti in Italia;
hanno conseguito proventi derivanti per più del 50% dalla gestione, dalla detenzione o dall’investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie, dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica nonché dalla prestazione di servizi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano la società o l’ente non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l’ente non residente, ivi compresi i servizi finanziari.
8ter . Le disposizioni del comma 8-bis non si applicano se il soggetto residente dimostra che l’insediamento all’estero non rappresenta una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale. Ai fini del presente comma il contribuente deve interpellare l’amministrazione finanziaria secondo le modalità indicate nel precedente comma 5».
3.2 Il comma 8ter del citato articolo prevede espressamente che il contribuente possa chiedere la disapplicazione delle disposizioni antielusive contenute nel precedente comma 8bis mediante un interpello preventivo da rivolgere all’Amministrazione
Finanziaria ai sensi del comma 5, che a sua volta rinvia all’art. 11 della L. n. 212 del 2000.
3.3 Tali disposizioni sono ispirate alla «ratio» di contrastare i fenomeni di delocalizzazione all’estero delle imprese nazionali, con specifico riferimento all’ipotesi del controllo di società estere insediate in Stati o territori fra i quali, per quanto qui d’interesse, rientra l’Irlanda – diversi da quelli inclusi nella cd. di cui al D.M. 21 novembre 2001, richiamati dal comma 1 dello stesso articolo.
3.4 Sull’argomento, con specifico riguardo all’istanza di disapplicazione di norme antielusive proposta ai sensi dell’art. 37 -bis, comma 8, del D.P.R. n. 600 del 1973 e del D.M. 19 giugno 1998, n. 259, questa Corte è da tempo costante nell’affermare che il diniego opposto dall’Amministrazione, costituendo atto amministrativo recettizio ed espressamente qualificato come definitivo, è suscettibile di autonoma e immediata impugnazione dinanzi al giudice tributario.
3.5 Inizialmente si era sostenuto che l’atto in questione fosse assimilabile a quello di diniego di agevolazione e come tale impugnabile ai sensi dell’art. 19, comma 1, lettera h), del D. Lgs. n. 546 del 1992 (cfr. Cass. n. 8663/2011, Cass. n. 5843/2012).
3.6 Nella successiva evoluzione giurisprudenziale, pur escludendosi l’equiparabilità dell’«agevolazione fiscale» alla «disapplicazione di norma antielusiva», si è però ritenuto che la natura tassativa degli atti indicati nell’art. 19 del D. Lgs. n. 546 del 1992 consenta un’interpretazione estensiva del «catalogo» ivi contenuto, fino a ricomprendervi tutti gli atti adottati dell’ente impositore che, con l’esplicitazione delle concrete ragioni che li sorreggono, portino a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria.
3.7 Su questa scia si è giunti a dire che l’istanza di disapplicazione di norme antielusive rientra nel novero degli atti
impugnabili per varie ragioni, e precisamente perchè: è obbligatoria per il privato; deve contenere la descrizione compiuta della fattispecie concreta; deve essere corredata della documentazione rilevante; è soggetta a richieste istruttorie; è volta ad ottenere l’emissione di un atto dell’amministrazione; le determinazioni ad essa inerenti sono assunte dal Direttore Regionale delle Entrate con provvedimento «da ritenersi definitivo» (ex art. 1, comma 6, del D.M. 19 giugno 1998, n. 259, emanato ai sensi dell’art. 37 -bis , comma 8, del D.P.R. n. 600 del 1973) e vengono comunicate al richiedente a mezzo del servizio postale, in plico raccomandato con avviso di ricevimento.
3.8 È stato, inoltre, rimarcato che la risposta all’interpello, positiva o negativa che sia, costituisce il primo atto con cui l’Amministrazione Finanziaria, a sèguito di una fase istruttoria e di una valutazione tecnica e nel rispetto di particolari garanzie procedimentali, porta a conoscenza del contribuente, in via preventiva, il proprio convincimento in ordine a una specifica richiesta relativa a un determinato rapporto tributario, con l’immediato effetto di incidere sulla condotta che il soggetto istante è tenuto ad osservare al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi.
3.9 Di qui la sussistenza dell’interesse del contribuente ad impugnare l’atto, ai fini del controllo giurisdizionale sulla sua legittimità (cfr. Cass. n. 17010/2012, Cass. n. 16183/2014, Cass. n. 11929/2014, Cass. n. 12150/2019).
3.10 Resta, peraltro, fermo, che:
-l’omessa impugnazione del diniego non pregiudica la posizione del contribuente che ad esso non ritenga di adeguarsi;
-la risposta negativa all’interpello non impedisce alla stessa Amministrazione di rivalutare, in sede di esame della dichiarazione dei redditi o dell’istanza di rimborso, l’orientamento in precedenza espresso, nè preclude al contribuente la possibilità di esperire la
piena tutela in sede giurisdizionale avverso l’avviso di accertamento eventualmente emesso in relazione alla denuncia dei redditi presentata in difformità dalla risposta;
la risposta positiva del Direttore Regionale priva, invece, l’Amministrazione del potere di applicare la norma antielusiva oggetto di interpello, in virtù del principio di tutela dell’affidamento, il quale trova diretto fondamento nella Carta costituzionale e riveste carattere generale anche nell’ordinamento tributario, in cui è espressamente sancito dall’art. 10 della L. n. 212 del 2000 (cfr. Cass. n. 26977/2020).
3.11 Si è, altresì, chiarito che, anche in base alla disciplina anteriore all’entrata in vigore dell’art. 6, comma 1, del D. Lgs. n. 156 del 2015 (poi abrogato dall’art. 2, comma 4, lettera e], del D Lgs. n. 219 del 2023) -il quale prevede che avverso le risposte alle istanze di interpello disapplicativo di cui all’art. 11, comma 2, della L. n. 212 del 2000, come modificato dallo stesso D. Lgs. n. 156, «può essere proposto ricorso unitamente all’atto impositivo» -, deve ammettersi la possibilità di impugnare tali risposte in sede giurisdizionale, in quanto contenenti una compiuta pretesa tributaria.
3.12 Una simile soluzione ermeneutica si fonda sul rilievo che, mentre la risposta all’ordinario interpello interpretativo (o consultivo) previsto dall’art. 11, comma 1, della L. n. 212 del 2000 è qualificabile come semplice parere non vincolante, inidoneo a incidere direttamente sulla sfera giuridica del contribuente, per contro, quella all’interpello disapplicativo ha natura provvedimentale (cfr. Cass. Sez. Un. n. 2147/2024, Cass. n. 32962/2018).
3.13 L’orientamento nomofilattico di cui si è dato conto, ormai consolidato, ha ricevuto conferma anche relativamente alla disapplicazione del regime fiscale in materia di imprese estere
contro
llate dettato dall’art. 167 del TUIR, nella formulazione che qui viene in rilievo.
3.14 È stato, infatti, ribadito che il rigetto dell’istanza di interpello finalizzata alla disapplicazione della normativa antielusiva sulle «Controlled Foreign Companies» ( ) contenuta nel predetto articolo è suscettibile di autonoma impugnazione dinanzi al giudice tributario, trattandosi di provvedimento con cui l’Amministrazione esprime una pretesa tributaria che incide sulla situazione giuridica soggettiva del contribuente e sulla sua condotta in ordine alla dichiarazione dei redditi (cfr. Cass. n. 36050/2022; nello stesso senso Cass. n. 35442/2023).
3.15 Per quanto precede, deve allora ritenersi che erroneamente la CTR laziale abbia dichiarato inammissibile il ricorso della contribuente.
3.16 Non induce a diversa conclusione la circostanza -alla quale il collegio di secondo grado ha fatto cenno soltanto come mero «obiter dictum» , senza ergerla ad autonoma «ratio decidendi» – che il provvedimento di cui si discute abbia dichiarato inammissibile l’istanza di interpello.
3.17 Dal tenore della risposta data dalla Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate, riprodotta nel corpo del ricorso (pagg. 33-39), emerge chiaramente come, a prescindere dalla formula conclusiva utilizzata ( ), la richiesta della contribuente sia stata respinta nel merito, in base al decisivo rilievo -già posto a base del provvedimento, ivi richiamato «per relationem» , precedentemente emesso a sèguito di altra istanza di interpello presentata dall’Unipolsai Assicurazioni s.p.a. – che di interpello.
3.18 Si è trattato, dunque, non già di un atto sostanzialmente interlocutorio giustificato da riscontrati vizi formali dell’istanza (come nei casi esaminati in alcuni precedenti di questa Corte: cfr. Cass. n. 26977/2020, Cass. n. 5843/2012), bensì di un provvedimento di definitivo diniego fondato sulla ritenuta mancanza di prova della sussistenza dei presupposti voluti dall’art. 167, comma 8ter , del TUIR ai fini della disapplicazione del regime tributario .
Per le ragioni illustrate, va disposta, ai sensi degli artt. 384, comma 2, prima parte, c.p.c. e 62, comma 2, del D. Lgs. n. 546 del 1992, la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, la quale procederà a un nuovo esame della controversia uniformandosi ai princìpi di diritto sopra espressi.
4.1 Al giudice del rinvio viene rimessa anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità, a norma degli artt. 385, comma 3, seconda parte, c.p.c. e 62, comma 2, del D. Lgs. cit..
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione