Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4942 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4942 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 23/02/2024
TARSU INVITO AL PAGAMENTO
sul ricorso iscritto al n. 18738/2018 del ruolo generale, proposto
DA
RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE), con sede in Busto Arsizio, alla INDIRIZZO, in persona del legale rappresentante pro tempore, NOME COGNOME, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale e nomina rilasciate in calce al ricorso, dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE), quest’ultimo con studio in Roma, al INDIRIZZO.
– RICORRENTE –
CONTRO
il RAGIONE_SOCIALE(codice fiscale CODICE_FISCALE), con sede alla INDIRIZZO , in persona del Sindaco pro tempore, AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale e nomina poste in calce al controricorso, dagli
AVV_NOTAIO (codice fiscale CODICE_FISCALE) ed NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE), quest’ultimo con studio in Roma, alla INDIRIZZO.
– CONTRORICORRENTE – per la cassazione della sentenza n. 1183/2/2018 della Commissione tributaria regionale della Lombardia (Milano), depositata il 20 marzo 2018;
UDITA la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 19 ottobre 2023;
RILEVATO CHE:
con atto n. NUMERO_DOCUMENTO il Comune di Busto Arsizio chiedeva alla contribuente il pagamento della somma di 3.161,19 € a titolo di TARSU per gli anni di imposta 2006/2010;
la Commissione tributaria regionale della Lombardia (Milano) con l’impugnata sentenza rigettava l’appello proposto dalla suindicata società contro la pronuncia n. 141/3/2017, assumendo che:
-« la materia del contendere non è il rimborso delle somme richieste dal contribuente giacchè, diversamente da quanto sostenuto nell’appello, non si può qualificare come diniego implicito l’emissione dell’invito di pagamento emesso dal Comune di Busto Arsizio »;
« La richiesta di rimborso, infatti, vedeva uno specifico provvedimento di diniego espresso dal Comune di Busto con nota numero n. 49906/2016 notificata a mezzo pec al difensore della COGNOME e COGNOME in data 9/6/2016 e da questi ricevuta in pari data » e non oggetto di impugnazione;
« La materia controversa è pertanto quella che concerne l’invito al pagamento emesso dal Comune di Busto Arsizio in data 23 maggio 2006 », il quale « non può ritenersi una rettifica di un
avviso di accertamento che è stato solo parzialmente annullato, bensì un ricalcolo della Tarsu dovuta in applicazione del principio espresso dalla CTP di Varese con la sentenza 100/12/2013 che ha concesso la riduzione al 75% delle aree utilizzate dalla società »;
RAGIONE_SOCIALE impugnava detta pronuncia con ricorso notificato in data 14 giugno 2018 al Comune di Busto Arsizio e ad RAGIONE_SOCIALE, formulando tre motivi di impugnazione, successivamente depositando, in data 5 ottobre 2023, memoria ex art. 380bis . 1, cod. proc. civ.;
il Comune RAGIONE_SOCIALE Busto Arsizio resisteva con controricorso notificato in data 24 luglio 2018;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo di ricorso la contribuente ha dedotto, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., l’errata interpretazione dell’art. 19 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e l’erronea interpretazione del provvedimento impugnato, assumendo che « a fronte di espressa richiesta di rimborso da parte della Contribuenti e del successivo scambio di corrispondenza tra il procuratore di RAGIONE_SOCIALE a cui lo stesso provvedimento 45493 del 23.05.2016 fa riferimento, una richiesta infine formulata dall’Ente di ulteriore pagamento non può che qualificarsi come diniego implicito dell’originale istanza di rimborso », come del resto si desume dallo stesso provvedimento del 9 giugno 2016 n. 50408 secondo cui «’ come già espressamente comunicato in via informale e poi con nota prot. 45493 del 23.05.2016 … è pertanto evidente che alcun rimborso può essere riconosciuto ‘, lasciando chiaramente intendere che la comunicazione di diniego fosse già stata data e che la comunicazione di questione non fosse che la conferma di quanto già in precedenza espresso », concludendo sul punto nel senso che « il vero atto di diniego venne formulato per la prima volta proprio con il provvedimento impugnato e avverso il primo atto qualificabile come diniego della proposta
istanza la ricorrente ha legittimamente proposto impugnativa» (v. pagina n. 7 del ricorso);
con la seconda censura la ricorrente ha lamentato la violazione del giudicato, ponendo in evidenza che il Comune non aveva mai impugnato la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Varese n. 100/12/2013 concernente la Tarsu per gli anni di imposta 2006/2010, che annullò l’avviso di accertamento ivi impugnato riconoscendo il diritto della contribuente alla riduzione del 75% delle superfici tassabili, il che aveva legittimato la società a richiedere il rimborso delle somme in eccedenza e spontaneamente versate sulla base dell’imposta erroneamente calcolata sull’intera superfice tassabile;
2.2. l’istante ha ancora eccepito che, esclusa la possibilità di una riscossione frazionata del tributo, il Comune con il provvedimento n. 45493/2016, oggetto di impugnazione, ha, con un nuovo accertamento, rideterminato la somma dovuta di cui all’originario di accertamento sulla base dell’interpretazione della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Varese n. 100/12/13, così intercettando il limite decadenziale di cui all’art. 1, comma 161, della legge 27 dicembre 2006, n. 296;
con la terza ragione di impugnazione la società ha rimproverato alla Commissione regionale, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 5 cod. proc. civ., l ‘«omissione dell’esame delle circostanze di fatto complessivamente sottese al ricorso della Contribuente» (v. pagina n. 13 del ricorso), rilevando, in particolare, che sia il primo Giudice che la Commissione regionale avevano omesso di considerare che la contribuente aveva spontaneamente versato per gli anni di imposta 2006/2010 la somma di 11.035,38 € a titolo di TARSU, per poi impugnare il relativo avviso di accertamento che aveva liquidato la maggiore imposta di 11.382,00 €, chiedendo la riduzione del 75% delle superfici tassabili, come poi riconosciuto dalla menzionata sentenza n. 100/12/2013, dal cui esame derivava che l’imposta dovuta dalla
ricorrente ammontava all’importo di 5.604,35 € a fronte della somma di 11.035,38 € già versata;
4. il ricorso va rigettato per le seguenti ragioni;
il primo motivo del ricorso riposa sulla contestata interpretazione dell’atto impugnato, che la difesa della contribuente qualifica come diniego dell’istanza rimborso a fronte della versione offerta dal Giudice regionale secondo cui si tratterebbe di un mero invito al pagamento delle somme dovute a titolo di TARSU per gli anni di imposta 2006/2010, come rideterminate all’esito della citata sentenza n. 100/12/2013 della Commissione tributaria provinciale di Varese;
5.1. il motivo si rivela innanzitutto inammissibile poiché la difesa dell’istante, nel censurare per violazione di legge ex art. 360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ. l’erronea interpretazione dell’atto impugnato, ha omesso di specificare i canoni che in concreto si assumano violati;
5.2. l’atto in questione ha, infatti, natura amministrativa e la relativa interpretazione, risolvendosi nell’accertamento della volontà dell’amministrazione è riservata al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e coerente con le disposizioni dettate per l’interpretazione dei contratti (in particolare, gli artt. 1362, secondo comma, 1363 e 1366 cod. civ.), ma applicabili anche agli atti amministrativi. In tale prospettiva – come chiarito da questa Corte -« la parte che denunzi in cassazione l’erronea interpretazione, in sede di merito, di un atto amministrativo, è tenuta, a pena di inammissibilità del ricorso, a indicare quali canoni o criteri ermeneutici siano stati violati; e, in mancanza, l’individuazione della volontà dell’ente pubblico è censurabile non già quando le ragioni addotte a sostegno della decisione siano diverse da quelle della parte, bensì allorché esse si rivelino insufficienti o inficiate da contraddittorietà logica o giuridica (in termini: Cass. 23/07/2010, n. 17367; Cass. 02/04/2013, n. 7982; Cass. 15/12/2008, n.
29322) » (così, Cass. Sez. I, 23 febbraio 2022, n. 5966 e nello stesso senso, ex multis, Cass., Sez. I, 14 ottobre 2022, n. 30281);
5.3. il motivo in esame non contesta la violazione dei canoni interpretativi del provvedimento amministrativo secondo l’indicata prospettiva, la quale resta, come tale, del tutto estranea al motivo, con cui si finisce con l’invocare, invece, impropriamente, il vizio di violazione di legge, senza però porre in discussione i criteri interpretativi in tesi violati;
5.4. in definitiva, le censure in oggetto concernono il risultato dell’operazione interpretativa posta in essere dalla Giudice dell’appello ed integrano, al fondo, una contestazione di accertamenti di fatto da questa operati in ordine all’individuazione dell’effettivo contenuto dell’atto, così risolvendosi le doglianze nella proposta di una diversa interpretazione e dunque nella contestazione di accertamenti di fatto, il che non è consentito in sede di legittimità (cfr. Cass., Sez. III, 3 febbraio 2021, n. 2496, che richiama Cass, Sez. 1, Ordinanza n. 16987 del 27/06/2018, Rv. 649677 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 14355 del 14/07/2016, Rv. 640551 – 01; Sez. L, Sentenza n. 25728 del 15/11/2013, Rv. 628585 – 01; Sez. L, Sentenza n. 10554 del 30/04/2010, Rv. 613562 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944 – 01; Sez. L, Sentenza n. 23569 del 13/11/2007, Rv. 600273 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 22536 del 26/10/2007, Rv. 600183 -0);
5.5. può aggiungersi, per completezza, che correttamente il Giudice d’appello non ha qualificato l’atto impugnato come implicito rigetto della richiesta di rimborso delle somme in eccedenza versate, perché non vi era stato alcun rimborso parziale da parte dell’Ufficio (cfr. sul principio Cass. Sez. V, 22 ottobre 2020, n. 23157), giacchè l’invito oggetto di contestazione concerneva la diversa richiesta di pagamento del tributo (sia pure per il minor importo determinato dalla sentenza n. 100/12/2013), mentre il
diniego di rimborso veniva espresso con il successivo del 9 giugno 2016, pacificamente non impugnato dalla contribuente, il che aveva consolidato e reso definitiva la pretesa contenuta nell’istanza, precludendo il suo riesame, salvo le ipotesi qui non sussistenti riconducibili all’esercizio del potere di autotutela (cfr. Cass., Sez. V, 6 giugno 2023, n. 15754);
il secondo motivo risulta inammissibile, giacchè esso, nel contestare la violazione del giudicato, non coglie la ratio decisoria su cui si è basata la sentenza impugnata;
6.1. il Giudice dell’appello ha ritenuto che con l’atto impugnato il Comune si fosse adeguato al decisum della menzionata pronuncia n. 100/12/2013 della Commissione tributaria provinciale di Varese, chiedendo, per tale via, il pagamento delle somme corrispondenti a tale accertamento giudiziale; in tali termini, dunque, la Commissione ha considerato che l’invito al pagamento non si poneva in contrasto con il giudicato, ma ne dava attuazione, provvedendo a quantificare sulla scorta di esso le somme dovute, non calcolate nella predetta pronuncia;
6.2. il motivo in esame risulta, altresì, infondato nella parte in cui al netto dell’inconferente richiamo alla riscossione frazionata, trattandosi di attuazione di una sentenza passata in giudicato -è stata eccepita la decadenza di cui all’art. 1, comma 161, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, in quanto il potere impositivo era stato all’epoca tempestivamente esercitato e con l’atto impugnato non sia è manifestata la riedizione di tale potere, non si è dato cioè corso ad un nuovo accertamento, avendo il citato invito al pagamento assicurato solo l’effetto conformativo ai contenuti della citata sentenza del giudice tributario;
il terzo motivo di impugnazione risulta inammissibile;
7.1. con esso si lamenta l’ «omissione di esame di circostanze di fatto complessivamente sottese al ricorso della Contribuente» e segnatamente la circostanza che essa aveva spontaneamente
versato per il medesimo titolo la somma di 11.035,38 € e che quindi l’istante aveva diritto ad un rimborso di 5.431,03 € dopo che la Commissione provinciale, con la più volte menzionata sentenza n. 100/12/2013, aveva riconosciuto il diritto alla riduzione del 75% delle superfici in capo alla ricorrente;
7.2. va sul punto ricordato che oggetto del vizio di cui al novellato art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., è «l’omesso esame circa un «fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti», dove per «fatto», secondo pacifica acquisizione, deve intendersi non una «questione» o un «punto», ma: i) un vero e proprio «fatto», in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un «fatto» costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017); ii) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass. n. 21152 del 2014; Cass. Sez. U. n. 5745 del 2015); iii) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133 del 2014); iv) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014). Il «fatto» il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, avere carattere «decisivo», vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Non costituiscono, viceversa, «fatti», il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: a) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014); c) una moltitudine di fatti e circostanze, o il «vario insieme dei materiali di causa» (cfr. Cass. n. 21439 del 2015); d) le
domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello, i quali costituiscono i fatti costitutivi della «domanda» in sede di gravame (v. Cass. n. 22786 del 2018) » (così, tra le tante, Cass., Sez. III, 7 giugno 2023, n. 18318 e Cass. 1915/2023 e le molte ivi citate);
7.3. nella specie, la censura non in altro si sostanzia se non nella rappresentazione delle argomentazioni esposte nei vari atti di causa, volte a perorare un diverso esito della lite, né il dedotto pagamento assume rilevanza decisiva per il giudizio, in quanto nella logica e nell’economia della decisione tale circostanza non poteva assumere alcuna incidenza su di essa, essendo le ragioni della sentenza impugnata basate sul rilievo della citata natura dell’atto impugnato (lo si ripete, invito al pagamento), non qualificabile come diniego implicito dell’istanza di rimborso delle somme versate in eccedenza;
alla stregua delle riflessioni che precedono il ricorso va complessivamente rigettato;
le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo;
va, infine, dato atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte della ricorrente di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso;
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in favore del Comune di Busto Arsizio nella misura di 2.200,00 € per competenze e 200,00 € per spese vive, oltre accessori;
Dà atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte
della ricorrente di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso;
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio il 19 ottobre 2023.