Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 497 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 497 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2025
IRES DINIEGO DI AUTOTUTELA IMPUGNABILITA’
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 20517/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale a margine del ricorso e presso di questi elettivamente domiciliato in Milano, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE con sede in Roma, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, ove per legge domicilia in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana n. 1868/1/19 depositata il 17/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29 novembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito l’Avv. NOME COGNOME comparso in sostituzione e per delega scritta dell’Avv. NOME COGNOME per la società ricorrente; udito l’Avv. NOME COGNOME dell’Avvocatura generale dello
Stato per la controricorrente Agenzia delle Entrate.
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE nell’anno 2011 realizzò degli impianti fotovoltaici per i quali avrebbe potuto usufruire, secondo la sua prospettazione, sia della detassazione degli investimenti ambientali ai sensi della lege 23/12/2000, n. 388 sia della tariffa incentivante erogata dal Gestore dei servizi energetici e prevista dal d.m. 19/2/2007. Persistendo dubbi circa la cumulabilità delle due agevolazioni, la società si avvalse solo di una delle due, la tariffa incentivante.
1.1. Con successivo d.m. 5/7/2012 venne chiarita la cumulabilità delle due agevolazioni e, pertanto, nel 2014 la società presentò dichiarazione in rettifica con la quale intendeva far valere entrambe le agevolazioni con ricalcolo delle imposte per l’anno di imposta 2011 e avvalendosi nella dichiarazione per il 2012 delle agevolazioni non usufruite nel 2011 dichiarando imposte in misura inferiore.
1.2. Nel 2015 l’Amministrazione finanziaria, a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione, notificava comunicazione di irregolarità con la quale rettificava il reddito ingiungendo il pagamento delle imposte dovute.
1.3. La società presentò una prima istanza di annullamento in autotutela chiedendo di potersi avvalere della agevolazione della legge 388/2000; l’Agenzia delle Entrate respinse l’istanza. La società contribuente versò, allora, le maggiori imposte richieste con avviso di irregolarità.
1.4. Nel 2017, essendo entrato in vigore il d.l. 22/10/2016, n. 193 che consentiva l’emendabilità delle dichiarazioni oltre i termini di cui al d.P.R. 22/07/1998, n. 322, la società presentò ulteriore dichiarazione integrativa con la quale chiedeva nuovamente di potersi avvalere della agevolazione di cui alla legge 388/2000 non usufruita nel 2011 e chiese nuovamente, invocando i poteri della amministrazione di autotutela, l’annullamento della comunicazione di irregolarità definita nell’anno 2015 previo pagamento del dovuto e, di conseguenza, il rimborso di quanto versato. L’Agenzia delle Entrate rigettò l’istanza di autotutela.
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso avverso il diniego di autotutela innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Prato. L’Ufficio si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto dell’impugnazione. La Commissione adita con la sentenza 22/02/18 depositata il 22/2/2018 ha respinto il ricorso.
Avverso la decisione di primo grado ha proposto appello in via principale la RAGIONE_SOCIALE che ha ribadito le argomentazioni poste a fondamento del ricorso in primo grado, ed ha proposto appello incidentale l’Agenzia dell’Entrate, contestando il rigetto dell’eccezione, sollevata in via preliminare, circa l’inammissibilità della impugnazione perché diretta avverso il diniego di autotutela. Con la sentenza n. 1868/1/19 depositata il 17/12/2019 la Commissione tributaria regionale della Toscana ha respinto l’appello principale della società contribuente e, in accoglimento dell’appello incidentale, ha dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo del giudizio.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE con impugnazione affidata a tre motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Il procuratore generale ha rassegnato conclusioni chiedendo il rigetto del ricorso.
La società contribuente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 29/11/2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la società RAGIONE_SOCIALE deduce violazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., degli artt. 111, 112, 131 e 132 cod. proc. civ., per motivazione omessa, contraddittoria o perplessa in ordine alla statuizione circa la non impugnabilità del diniego di autotutela.
1.1. Il motivo è infondato. La sentenza nel motivare l’accoglimento dell’appello incidentale della Agenzia delle Entrate circa l’inammissibilità del diniego di autotutela richiama consolidati principi della giurisprudenza di legittimità e su tali principi fonda la sua motivazione. Di seguito la decisione aggiunge argomentazioni in senso contrario che sono poste in modo espressamente dubitativo ma rappresentano considerazioni eccentriche e ultronee e tali da non privare di efficacia il percorso argomentativo seguito; si tratta di osservazioni inidonee a fondare il denunciato vizio di nullità. La motivazione perplessa ricorre, infatti, quando la contraddittorietà degli elementi recati sia tale da rendere obiettivamente incomprensibile il percorso logico seguito, non ricorre quando vi sia un percorso logico comprensibile e fondato su chiari precedenti di legittimità e ad essi si aggiungano elementi ulteriori in senso contrario che, tuttavia, la sentenza stessa indichi, in modo chiaro ed espresso, come inidonei a superare la conclusione imposta dalla adesione ai principi di diritto richiamati.
Con il secondo motivo di ricorso la società contribuente deduce violazione o falsa applicazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. dell’art. 10, comma 1, della legge 27/07/2000, n. 212 recante Statuto dei diritti del contribuente, dell’art. 19 d.lgs. 31/12/1992, n. 546, dell’art. 2 d.m. 11/02/1997, n. 37 e cioè del regolamento circa l’esercizio del potere di autotutela da parte degli
organi dell’Amministrazione finanziaria, e degli articoli 23, 24, 53, 97 Cost., per avere la sentenza impugnata ritenuto l’inammissibilità del ricorso contro il diniego di autotutela benché si fosse in presenza di uno specifico e concreto interesse pubblico alla rimozione dell’atto, accertato definitivamente nei gradi di merito.
2.1. Con il terzo motivo di ricorso la società contribuente deduce violazione o falsa applicazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. degli artt. 10, comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente, 19 d.lgs. 546/1992, 2 d.m. 37/1997, 23, 24, 53, 97 Cost., per avere la sentenza impugnata ritenuto l’inammissibilità del ricorso contro il diniego di autotutela pur essendo l’istanza di autotutela fondata su fatti successivi alla definitività della comunicazione di irregolarità oggetto della stessa ed rivestendo il diniego espresso di autotutela natura di conferma c.d. propria della comunicazione di irregolarità.
2.2. I due motivi possono essere valutati congiuntamente perché è invocata la violazione delle medesime norme e sono dedotte le medesime circostanze attinenti alla denunciata erroneità della sentenza per aver dichiarato inammissibile l’impugnazione del diniego di autotutela.
2.3. Secondo la parte ricorrente sussisteva uno specifico e concreto interesse pubblico, tale da giustificare la rimozione dell’atto in autotutela: si trattava di tutelare la buona fede del contribuente che di fronte al dubbio interpretativo aveva preferito pagare piuttosto che invocare entrambe le agevolazioni, di ripristinare la legalità non essendo dovute le somme pretese dalla Amministrazione e, infine, di riaffermare il principio della capacità contributiva definito in via costituzionale.
2.4. Il secondo e il terzo motivo di ricorso sono infondati. La parte ricorrente deduce interessi propri e valutazioni riguardanti il merito della vicenda oggetto di controversia, ma non deduce quale interesse di rilevanza generale verrebbe in questione tale, per la
sua portata superindividuale, da imporre l’adozione dell’atto in autotutela e da determinare la illegittimità del rifiuto.
2.5. In proposito vale rilevare che, come da ultimo affermato da questa Corte a sezioni unite (Cass. ss. uu. 21/11/2024, n. 30051) il potere di autotutela costituisce un mezzo a tutela non del contribuente ma dell’interesse pubblico alla percezione dei tributi, da cui l’ammissibilità del sindacato giurisdizionale sul rifiuto di autotutela avuto riguardo «alle ragioni di rilevante interesse generale alla rimozione dell’atto» e non alla fondatezza della pretesa spiegata nel merito dal contribuente (Cass. 24 agosto 2018, n. 21146; Cass. 14 dicembre 2016, n. 25705; recentemente Cass. 31 luglio 2024, n. 21590).
2.6. Si consideri, poi, che -come affermato in motivazione da Cass. 01/12/2023, n. 33610) – «la valutazione circa la sussistenza del presupposto dell’esercizio dell’autotutela dipende dal contemperamento tra l’esigenza di tutelare l’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi e l’interesse, altrettanto pubblicistico, alla stabilità dei rapporti giuridici e pertanto all’incontestabilità degli atti impositivi quando essi siano divenuti definitivi. In merito si è espressa anche la Corte Costituzionale, la quale -oltre a confermare la giurisprudenza di questo Giudice di legittimità secondo cui, tenuto conto del carattere discrezionale dell’autoannullamento tributario, questo «non costituisce un mezzo di tutela del contribuente»- ha espressamente affermato che pure «in un contesto così caratterizzato, tuttavia, nel quale l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto acquista specifica valenza e tende in una certa misura a convergere con quello del contribuente, non va trascurato il fatto che altri interessi possono e devono concorrere nella valutazione amministrativa, e fra essi certamente quello alla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico, inevitabilmente compromessa dall’annullamento di un atto inoppugnabile. Tale interesse richiede di essere bilanciato con gli
interessi descritti – e con altri eventualmente emergenti nella vicenda concreta sulla quale l’amministrazione tributaria è chiamata a provvedere – secondo il meccanismo proprio della valutazione comparativa. Sicché si conferma in ogni caso, anche in ambito tributario, la natura pienamente discrezionale dell’annullamento d’ufficio», Corte cost., sent. 13.07.2017, n. 181. Ne consegue, ha statuito questa Corte di legittimità, che «nel processo tributario, il sindacato sull’atto di diniego dell’Amministrazione di procedere ad annullamento del provvedimento impositivo in sede di autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, che, come affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 181 del 2017, si fonda su valutazioni ampiamente discrezionali e non costituisce uno strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente» (Cass. 24/08/2018, n. 21146)».
La sentenza impugnata ha fatto retta applicazione di tali principi e va esente da censure.
Il ricorso deve, così, essere integralmente respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 7.200,00 (settemiladuecento) oltre spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto. Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 29 novembre