Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 892 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 892 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/01/2025
Oggetto: Diniego di istanza di autotutela – Impugnazione Vizi denunciabili.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15329/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro-tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato , presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME e rappresentato e dife so dall’avv. NOME COGNOME che ha indicato recapito PEC, in virtù di procura speciale a margine del controricorso.
– controricorrente –
avverso la sentenza della C.t.r. di Genova n. 1545/2016, depositata il 14.12.2016 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3.10.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Con ricorso proposto alla Commissione tributaria provinciale di Genova, COGNOME NOME, in proprio e quale curatore del Fallimento
RAGIONE_SOCIALE impugnava la cartella di pagamento emessa nei suoi confronti e nei confronti del Fallimento quali coobbligati in solido ex art. 54bis del d.P.R. n. 633 del 1972, a seguito di un controllo automatizzato della dichiarazione Iva relativa al 2008.
In primo grado, l’impugnazione veniva accolta, per il difetto di motivazione della cartella di pagamento.
Proposto appello dall ‘Agenzia delle entrate, il giudizio veniva riunito ad altro giudizio di appello, proposto dal RAGIONE_SOCIALE in persona del curatore COGNOME avverso la sentenza di primo grado, con cui la Commissione tributaria provinciale di Genova aveva rigettato l’impugnazione dell’atto di diniego di autotutela, relativo ad altro avviso di accertamento emesso nei confronti del Fallimento per il recupero della medesima pretesa tributaria, relativa all ‘Iva dovuta per l’a nno 2007.
Nelle more, decedeva il curatore COGNOME NOME e l’Agenzia delle entrate comunicava l’intervenuto sgravio della cartella di pagamento, impugnata nel primo giudizio, insistendo nelle difese argomentate nel secondo giudizio, attesa la legittimità del diniego de ll’istanza di autotutela.
I giudici di appello, riuniti i due giudizi per connessione parzialmente soggettiva ed oggettiva, dichiaravano estinto per cessazione della materia del contendere il primo giudizio, mentre, con riferimento al secondo, accoglievano l’appello dei contribuenti, rilevando l’illeg ittimità del provvedimento di diniego originariamente opposto, con integrale riforma della decisione di primo grado. In particolare, la C.t.r. riteneva ammissibile l’impugnazione del diniego di autotutela, in quanto limitata alla denunzia di vizi attinenti al solo provvedimento impugnato e non all’iscrizione a ruolo a seguito del controllo automatizzato ex art. 54bis del d.P.R. n. 633 del 1972, peraltro impugnata nel primo giudizio. Inoltre, osservava che lo
sgravio della cartella aveva fatto venire meno la pretesa impositiva dell’amministrazione ed i relativi effetti erano destinati a riverberarsi anche nel secondo giudizio, con la conseguenza che il diniego di autotutela non aveva più ragion d’essere. Rileva va, infatti, che prima dello sgravio sussisteva una doppia imposizione tributaria, poiché, nei due giudizi, la pretesa era la medesima, ossia la debenza Iva per l’anno 2007, importo recuperato in via automatizzata.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate , sulla base di due motivi, ai quali resisteva con controricorso ed una memoria il Fallimento RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di doglianza, l’Agenzia delle entrate deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 42 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, avendo la C.t.r. errato nel ritenere che lo sgravio della cartella di pagamento, intervenuto per soli motivi di carattere formale e non sostanziale, facesse venir meno la pretesa impositiva e che i suoi effetti incidessero anche sul giudizio relativo al diniego di autotutela, in quanto l’Ufficio aveva espressamente dichiarat o di non volervi rinunciare e di limitare la richiesta di declaratoria di cessazione della materia del contendere al solo primo giudizio.
Con il secondo motivo di doglianza, l’Agenzia delle entrate deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, avendo la C.t.r. errato nel ritenere che l’impugnazione del diniego di autotutela avesse ad oggetto solo doglianze attinenti al suddetto provvedimento, poiché invece esse erano estese anche al merito della pretesa fiscale contenuta nell’avviso di accertamento, che tuttavia erano inammissibili, poiché esso non era stato impugnato tempestivamente ed era, pertanto, divenuto definitivo.
Orbene, e ntrambe le parti, nell’offrire la propria visione della complessa vicenda, concordano sul problema della duplicazione degli atti impositivi. Ed invero, emerge che, per il recupero dell’Iva relativa al 2007, riscontrata a seguito di controllo automatizzato, era stata emessa nei confronti del Fallimento e del suo curatore, quale coobbligato in solido, una cartella di pagamento nel 2009, impugnata nel primo giudizio, e successivamente un avviso di accertamento nel 2012, non impugnato e quindi divenuto definitivo. Con riferimento a tale avviso successivo, il solo Fallimento ha presentato un’ist anza di annullamento in autotutela, contestando l’esistenza di una duplicazione degli atti impositivi. Tuttavia, l’istanza è stata rigettata dall’Amministrazione e avverso tale diniego, il Fallimento ha proposto l’ impugnazione, che rappresenta l’oggetto del secondo giudizio riunito. Nelle more, l ‘amministrazione, ha annullato la cartella di pagamento, impugnata nel primo giudizio riunito, ma ha sostenuto che dovrebbe rimanere in essere la pretesa impositiva relativa all’avviso di accertamento del 2012, dive nuto definitivo poiché non impugnato.
Ciò posto, va preliminarmente rilevato che il ricorso per cassazione non risulta notificato all’agente della riscossione ed agli eredi di NOME COGNOME, deceduto nel corso del giudizio di appello. Dalla sentenza impugnata risulta che l’agente della riscossione era costituito in appello. Nel controricorso, il Fallimento deduce che, dopo l’interruzione del giudizio di appello, si sono costituiti gli eredi di NOME COGNOME, ma ciò non risulta dall’intestazione della sentenza.
Ciò, tuttavia, non inficia la valida proposizione del presente giudizio di legittimità, considerato che l’agente della riscossione e gli eredi di NOME COGNOME erano parti solo del giudizio avente ad oggetto la cartella di pagamento. Questa, infatti, era stata emessa sia nei confronti del Fallimento, sia nei confronti del curatore NOME COGNOME che l’aveva impugnata anche in proprio, quale coobbligato solidale. Con riferimento a tale impugnazione, però, è stata dichiarata la cessazione della materia del contendere, a seguito
dell’annullamento, in via di autotutela, della cartella predetta e tale pronuncia non è oggetto di ricorso per cassazione. Nella presente sede, infatti, risulta contestata solo la statuizione relativa all’impugnazione avente ad oggetto il diniego di annullamento: impugnazione che vedeva quali parti solo l’Agenzia delle entrate ed il RAGIONE_SOCIALE
Parimenti irrilevante è l’intervenuta chiusura del Fallimento suddetto, di cui viene dato atto nella memoria ex art. 380bis .1 c.p.c. dal difensore del controricorrente, non trovando applicazione nel giudizio di cassazione l’istituto dell’interruzione del processo.
A tal riguardo, infatti, la Suprema Corte ha affermato che la chiusura del fallimento, determinando la cessazione degli organi fallimentari e il rientro del fallito nella disponibilità del suo patrimonio, fa venir meno la legittimazione processuale del curatore, determinando il subentrare dello stesso fallito tornato in bonis al curatore nei procedimenti pendenti all’atto della chiusura; tale principio, peraltro, non vale per il giudizio di cassazione, che è caratterizzato dall’impulso d’ufficio ed al quale non sono perciò applicabili le norme di cui agli artt. 299 e 300 c.p.c., sicché non è consentito il deposito ai sensi dell’art. 372 c.p.c. di documenti attestanti la chiusura del fallimento, (Cass. n. 25603/2018, Rv. 65077001; nello stesso senso, la successiva Cass. n. 4514/2019, Rv. 65272901, secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, sussiste la legittimazione processuale del curatore fallimentare se, al momento della notifica del ricorso, il decreto di chiusura del fallimento non sia ancora definitivo; così come nell’ipotesi in cui la legittimazione del curatore venga meno nella pendenza del giudizio, in quanto in esso non trovano applicazione gli artt. 299 e 300 c.p.c., né trova applicazione il principio generale secondo cui la chiusura del fallimento fa cessare la legittimazione processuale del curatore, con il conseguente sub ingresso del fallito, tornato in bonis , nei procedimenti pendenti al momento della chiusura.
6. Il primo motivo di doglianza è fondato.
Giova premettere che, come affermato dalla Suprema Corte, lo sgravio della cartella di pagamento disposto in provvisoria ottemperanza della sentenza di primo grado favorevole al contribuente – comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione – non produce, di per sé solo, alcun effetto sull’avviso di liquidazione, nel caso in cui tale atto prodromico non sia stato annullato in autotutela (Cass. n. 24064/2012, Rv. 62469901, in applicazione di tale principio la Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato cessata la materia del contendere in conseguenza del provvedimento di sgravio totale dell’iscrizione a ruolo disposto dall’Agenzia delle entrate in pendenza del giudizio d’appello) . E’ stato, altresì, affermato che, i n tema di contenzioso tributario, lo sgravio della cartella di pagamento disposto in provvisoria ottemperanza della sentenza di primo grado favorevole al contribuente e la mancata impugnazione della sentenza che abbia conseguentemente dichiarato la cessazione della materia del contendere, in quanto di regola funzionali solo ad evitare un aggravamento delle spese processuali nel giudizio sul ruolo, non comportano, di per sé, alcun effetto di acquiescenza o, rispettivamente, di giudicato esterno nel giudizio che ha per oggetto l’impugnazione dell’atto presupposto (Cass. n. 21590/2015, Rv. 63690501).
Lo sgravio della sola cartella, quindi, produce effetti limitatamente ad essa, ove non siano stati annullati anche gli atti prodromici. Ha, pertanto, errato la C.t.r. ad estendere gli effetti di tale sgravio anche al giudizio relativo al diniego di autotutela, considerato che l’annullamento d’ufficio non ha riguardato gli atti prodromici ed il merito della pretesa impositiva. Ed infatti, la sentenza impugnata non chiarisce perché ritenga che l’annullamento della cartella automatizzata avrebbe comportato l’a bbandono della pretesa impositiva. Del resto, è vero che, essendo estinto il giudizio
avente ad oggetto la cartella e rimanendo in piedi solo quello avente ad oggetto il diniego, il contribuente può far valere solo vizi relativi a quest’ultimo provvedimento e non alla pretesa tributaria. Tuttavia, tale conseguenza si produce normalmente ogniqualvolta viene impugnato un atto della riscossione, in assenza di impugnazione dell’atto prodromico .
Peraltro, con riferimento alla possibilità per l’amministrazione di emettere un nuovo atto a seguito di annullamento in autotutela, si è osservato che l’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, nella parte in cui consente modificazioni dell’avviso di accertamento soltanto in caso di sopravvenienza di nuovi elementi di conoscenza da parte dell’ufficio, non opera con riguardo ad un avviso annullato in sede di autotutela, alla cui rinnovazione l’Amministrazione è legittimata in virtù del potere, che le compete, di correggere gli errori dei propri provvedimenti nei termini di legge, salvo che l’atto rinnovato non costituisca elusione o violazione dell’eventuale giudicato formatosi sull’atto nullo (Cass. n. 11849/2023, Rv. 66785701).
Il secondo motivo è strettamente connesso al primo, poiché la C.t.r., ritenendo che lo sgravio della cartella incidesse anche sul diniego di autotutela, non ha proprio esaminato i motivi di impugnazione di tale provvedimento.
L’ accoglimento del primo motivo, con rinvio al giudice di merito, rende, quindi, necessario l’esame di tutti motivi di appello, al fine di verificare se il contribuente invochi ragioni di rilevante interesse generale, valutando quindi l’ammissibilità della sua domanda . Ciò in quanto il diniego di autotutela è impugnabile non per ragioni individuali, al fine di sopperire alla mancata impugnazione dell’atto ormai definitivo, bensì per ragioni di interesse generale. Al riguardo, la Suprema Corte ha affermato che, in tema di contenzioso tributario, il sindacato del giudice sul provvedimento di diniego dell’annullamento in sede di autotutela dell’atto tributario divenuto definitivo è limitato all’accertamento della ricorrenza di ragioni di
rilevante interesse generale dell’Amministrazione finanziaria alla rimozione dell’atto, originarie o sopravvenute, dovendo invece escludersi che possa essere accolta l’impugnazione del provvedimento di diniego proposta dal contribuente che contesti vizi dell’atto impositivo per tutelare un interesse proprio ed esclusivo (Cass. n. 7318/2022, Rv. 66409801).
Pertanto, in accoglimento di entrambi i motivi di ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice a quo per l’ulteriore esame dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate , con particolare riferimento al profilo dell’ammissibilità delle doglianze del contribuente, e per il regolamento delle spese di lite anche del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i motivi di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di Genova, in diversa composizione, per l’ ulteriore esame dell’appello proposto dall’ Agenzia delle entrate, secondo quanto esposto in parte motiva, e per il regolamento delle spese di lite anche del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione