Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5890 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5890 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/03/2025
Oggetto: Difetto di giurisdizione del giudice tributario -Impugnativa del diniego di sgravio – Interesse ad agire
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30089/2020 R.G. proposto da:
COGNOME COGNOME rappresentato e difeso, in virtù di procure speciali rilasciate su fogli separati ed allegati al ricorso ed alla comparsa di costituzione di nuovo difensore, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliat o in Roma, INDIRIZZO presso lo studio del secondo;
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 1925/08/2020, depositata in data 27 febbraio 2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
L’odierno ricorrente impugnava innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli il silenzio serbato dall’Ufficio sulle istanze di sgravio proposte con riferimento a diversi estratti di ruolo aventi ad oggetto 6 avvisi di addebito relativi a contributi previdenziali IVS, una cartella esattoriale relativa ad una contravvenzione al codice della strada ed un avviso di accertamento relativo all’IRPEF 2010.
Premetteva, in punto di fatto, di aver invano richiesto copia delle 8 cartelle di pagamento indicate negli estratti di ruolo; infatti, l’Agente della riscossione aveva risposto di non poter rilasciare copia conforme all’originale delle cartelle, in quanto gli unici originali erano stati notificati al destinatario.
Chiedeva, quindi, alla CTP di annullare le dette cartelle, perché mai notificate, e di dichiarare la decadenza e/o prescrizione delle pretese tributarie.
I giudici di prossimità accoglievano il ricorso, rilevando la mancata prova della notifica degli atti presupposti, richiamati negli estratti di ruolo.
I nterposto gravame dall’Ufficio, la Commissione tributaria regionale della Campania dichiarava il proprio difetto di giurisdizione con riferimento agli estratti di ruolo concernenti gli avvisi di addebito relativi a crediti previdenziali e la cartella di pagamento relativa alla contravvenzione al codice della strada, per appartenere la giurisdizione, rispettivamente, al giudice del lavoro ed al giudice di pace.
Con riferimento al diniego di sgravio relativo all’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate per l’IRPEF 2010, la CTR, dopo aver ricordato che per la giurisprudenza di legittimità l’impugnativa del diniego (espresso o tacito) di sgravio può avere ad oggetto solo profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione, non già anche la pretesa tributaria, evidenziava che nella specie il contribuente non avesse fatto valere alcun interesse generale che
giustificasse l’esercizio del potere di annullamento in autotutela. La CTR affermava, poi, l’infondatezza delle due eccezioni proposte dal contribuente (relative alla mancata notifica di una cartella esattoriale ed alla prescrizione della pretesa tributaria).
Contro la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione il contribuente, affidato a cinque motivi. Resiste con controricorso l ‘ADER .
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 18/02/2025. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380bis1 cod. proc.
civ..
Considerato che:
Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione al presunto difetto di giurisdizione, con riferimento all’art. 360, comma primo, n. 1, cod. proc. civ., la «violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 2 del D.lgs. 546/92 -così come modificato dall’art. 12 co.2 L. 448/01 -dell’art. 19 d.lgs. 546/92 e dell’art. 9 co. 2 c.p.c.» per avere la CTR erroneamente declinato la propria giurisdizione in favore del G.O.. Dopo aver premesso che nella specie l’oggetto dell’originario rico rso era il silenzio-diniego formatosi sulle istanze di sgravio, richiama, a sostegno del proprio assunto, numerose sentenze di questa Corte secondo cui le controversie relative agli atti di esercizio dell’autotutela tributaria devono essere devolute alla giurisdizione tributaria. Afferma, infine, che ‘il rapporto obbligatorio tributario non è limitato ai tributi erariali bensì a tutti i tipi di tributo considerati nel loro ambito generale’ (pag. 7 del ricorso).
Il motivo è infondato.
1.1. Preliminarmente, va evidenziato che l’art. 374 cod. proc. civ. va interpretato nel senso che, tranne nei casi di impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, i ricorsi che pongono questioni di giurisdizione possono essere trattati dalle sezioni semplici allorché sulla regola finale di riparto della
giurisdizione “si sono già pronunciate le sezioni unite” (Cass. civ., Sez. U, Sentenza n. 1599 del 19/01/2022).
1.2. Ora, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte rientrano nella competenza del giudice tributario tutte le controversie in materia di tributi di qualunque genere e specie, tra cui quelle relative agli atti di esercizio dell’autotutela tributaria, e che, una volta accertata la natura tributaria della controversia, la competenza a decidere spetta alle corti di giustizia tributaria, anche ove si controverta in tema di interessi legittimi (Cass. 04/03/2009, n. 5166).
In altri termini, in tanto può affermarsi la giurisdizione del giudice tributario nelle controversie relative all’esercizio del potere di autotutela, in quanto essa abbia ad oggetto un tributo, come definito dall’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 546/1992.
1.3. Ora, secondo l’indirizzo granitico di questa Corte, esulano dalla nozione di tributo sia i contributi previdenziali IVS sia le sanzioni irrogate per contravvenzioni al codice della strada.
Sotto il primo aspetto, si è affermato che rientra nella giurisdizione del giudice ordinario – e non di quello tributario – la controversia avente ad oggetto diritti e obblighi attinenti ad un rapporto previdenziale, anche se originata da pretesa azionata dall’ente previdenziale a mezzo cartella esattoriale. Ciò deriva non solo dall’intrinseca natura del rapporto, ma anche dal rilievo che l’art. 24 del d.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46, sul riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, nell’estendere tale procedura anche ai contributi o premi dovuti agli enti pubblici previdenziali, espressamente prevede che in presenza di richiesta del versamento di contributi previdenziali il contribuente può proporre innanzi al giudice del lavoro opposizione contro l’iscrizione a ruolo (v. Cass. Sez. U., 23/06/2010, n. 15168; Cass. Sez. U., 18/03/2010, n. 6539; Cass. Sez. U., 27/03/2007, n. 7399).
Similmente, appartengono alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, in funzione di giudice del lavoro, le controversie
concernenti la legittimità delle trattenute assicurativo-previdenziali operate dal datore di lavoro su somme corrisposte al lavoratore, trattandosi di materia previdenziale alla quale è completamente estranea la giurisdizione tributaria, mancando del tutto un atto qualificato, rientrante nelle tipologie di cui all’art. 19, d.lgs. n. 546 del 1992 o ad esse assimilabili, che costituisca esercizio del potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione proprio del rapporto tributario (cfr. Cass. Sez. U., 03/11/2017, n. 26149).
Ad analoga conclusione deve pervenirsi anche riguardo alle controversie in cui si discuta della legittimità o meno d’un avviso di addebito emesso dall’INPS, che dal 1° gennaio 2011 ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto istituto (v. art. 30 del d.l. n. 78 del 2010, conv., con modif., dalla l. n. 122 del 2010; cfr. Cass. Sez. U., 23/07/2018, n. 19523).
Sotto il secondo aspetto è sufficiente ricordare che la cognizione delle opposizioni alle ordinanze ingiunzioni applicative di sanzioni per la violazione delle norme che disciplinano la circolazione stradale è attribuita dall’art. 205 del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285 all’autorità giudiziaria ordinaria, dovendosi escludere la configurabilità di una competenza del giudice tributario trattandosi di sanzioni che, se pure irrogate da uffici finanziari, sono conseguenti a violazioni di disposizioni non aventi natura fiscale, per cui la controversia non ha ad oggetto l’esercizio del potere impositivo, sussumibile nello schema potestà-soggezione, bensì un rapporto, che implica un accertamento meramente incidentale (Cass. S.U. 17/04/2014, n. 8928); parimenti, la cognizione in materia di opposizione a cartella esattoriale relativa alla riscossione di sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni del codice della strada spetta alla competenza del giudice di pace, avuto riguardo ai criteri di competenza per materia individuati dall’art. 7 del dec. Igs. 1.9.2011, n. 150, al pari della cognizione relativa all’opposizione al verbale di accertamento presupposto ( ex multis , Cass. 20/03/2017, n. 7139).
1.4. Nella specie la CTR, nel dichiarare il proprio difetto di giurisdizione in favore rispettivamente del Tribunale quale giudice del lavoro (in relazione agli avvisi di addebito per contributi previdenziali IVS) e del Giudice di Pace (in relazione alla cartella di pagamento per una contravvenzione al codice della strada), ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati.
Con il secondo motivo il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c.», per avere i giudici di appello erroneamente ritenuto che ‘la parte ricorrente non ha fatto valere alcuna ragione di interesse generale che legittimi l’impugnazione del diniego tacito di sgravio’. Opina, di contro, il ricorrente che l’interesse ad agire sia sorto nel momento in cui è venuto a conoscenza della pretesa tributaria e, anche secondo questa Corte, sussiste l’interesse ad impugnare il rifiuto di sgravio, ‘come atto inteso alla rimozione della pretesa tributaria’ (pag. 9 del ricorso).
Orbene, la Corte preliminarmente osserva che la decisione della CTR in relazione al diniego di sgravio relativo all’IRPEF 2010 è sorretta da due autonome rationes decidendi avendo il giudice di secondo grado: a) dichiarato il contribuente non legittimato all’impugnazione del diniego per non aver fatto valere alcuna ‘ragione di rilevante interesse generale’ ; b) rigettato nel merito il ricorso, per l’infondatezza delle eccezioni proposte dal ricorrente.
La prima ratio decidendi ( sub a) viene attaccata dal secondo motivo di ricorso , l’altra ( sub b) dai successivi motivi (terzo, quarto e quinto).
È noto che, stante l’autonomia delle dette rationes , il rigetto anche solo del secondo motivo di ricorso in esame rende inammissibili gli altri per difetto di interesse (così come, viceversa, il rigetto degli ultimi tre motivi renderebbe inammissibile il secondo). Questa Corte costantemente afferma che «nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a
sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affi nché si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, ‘in toto’ o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggono. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perché il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato» (Cass. Sez. U. 08/08/2005, n. 16602; conf. Cass. 18/04/2019, n. 10815 e Cass. 06/07/2020, n. 13880).
Ciò posto, in ossequio al principio della ragione più liquida può essere esaminato prima il secondo motivo di ricorso, relativo alla legittimazione ad impugnare il diniego implicito di sgravio.
Il motivo è infondato.
3 .1. La questione dell’impugnabilità del diniego (tacito o espresso) di annullamento in autotutela, concernenti atti definitivi, è stata molto dibattuto in dottrina, sostenendosi, da una parte, che il contribuente abbia un interesse di mero fatto (non tutelabile innanzi al giudice amministrativo e tributario) all’esercizio dell’autotutela da parte dell’Amministrazione finanziaria, e, dall’altra, che il privato vanti, invece, un interesse legittimo, qualificato e differenziato, al corretto esercizio dell’aut otutela (tutelabile innanzi al giudice amministrativo).
3.2. Sul versante giurisprudenziale la questione è stata oggetto di una lunga evoluzione giurisprudenziale, della quale è opportuno ripercorrere, brevemente, le tappe fondamentali.
3.2.1. D opo alcune pronunce contrarie all’ammissibilità del sindacato innanzi al giudice tributario (ad es. Cass. 09/10/2000, n. 13412), le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 16778 del 10/08/2005, facendo leva sul «carattere generale» della giurisdizione tributaria, assunto dopo la novella del 2001 (legge n. 448), hanno affermato che, nonostante la mancata inclusione del provvedimento -tacito o espresso -di diniego di autotutela nell’elenco di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, esso è suscettibile di impugnativa giurisdizionale dinanzi al giudice tributario.
3.2.2. Con la successiva sentenza delle Sezioni Unite n. 7388 del 27/03/2007 si è precisato che l’attribuzione al giudice tributario, da parte dell’art. 12, comma 2, della legge n. 448 del 2001, di tutte le controversie in materia di tributi di qualunque genere e specie comporta che anche quelle relative agli atti di esercizio dell’autotutela tributaria, in quanto comunque incidenti sul rapporto obbligatorio tributario, devono ritenersi devolute al giudice la cui giurisdizione è radicata in base alla materia, indipendentemente dalla specie di atto impugnato. Pertanto, sebbene il provvedimento di autotutela sia discrezionale e comporti l’affievolimento della posizione soggettiva del contribuente ad interesse legittimo, ciò non comporta la sottrazione delle controversie sui relativi atti al giudice naturale, ossia al giudice tributario.
Con riguardo ai limiti del sindacato giurisdizionale sugli atti di autotutela, le Sezioni Unite -facendo riferimento ai principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sentenze nn. 6758 e 7287 del 2004), in quanto, in base alla disciplina contenuta nell’art. 2 quater del d.l. 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, nella legge 30 novembre 1994, n. 656, e nel regolamento di esecuzione, approvato con D.M. 11 febbraio 1997, n. 37, i poteri di annullamento o di revoca dell’Amministrazione finanziaria possono essere esercitati soltanto nel perseguimento di interessi pubblici -hanno circoscritto l’oggetto
del giudizio alla valutazione della legittimità del rifiuto dell’annullamento d’ufficio, escludendo che esso possa estendersi alla fondatezza della pretesa tributaria, verificandosi altrimenti una indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa e, quindi, l’invasione in una sfera estranea a quella della giurisdizione tributaria. Con la conseguenza, secondo i principi enunciati dalla citata sentenza delle Sezioni Unite, che l’esercizio del potere di autotutela non costituisce un mezzo di tutela per il contribuente, sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che non sono stati esperiti, anche se comunque finisce con l’incidere sul rapporto tributario e, quindi, sulla posizione giuridica del contribuente.
3.2.3. Sulla stessa direttiva si sono mosse le Sezioni Unite anche con la sentenza n. 9669 del 23/04/2009, con la quale è stata ribadita l’impugnabilità del diniego di autotutela e la devoluzione alla giurisdizione del giudice tributario.
3.2.4. Un mutamento significativo è stato invece segnato dalla sentenza n. 2870 del 06/02/2009 con la quale le Sezioni Unite, pur in linea con le precedenti pronunce in merito alla sussistenza della giurisdizione delle Commissioni tributarie, hanno affermato che «avverso l’atto con il quale l’Amministrazione manifesta il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non è sicuramente esperibile una autonoma tutela giurisdizionale, sia per la discrezionalità propria, in questo caso, dell’attività di autotutela, sia perché, diversamente opinando, si darebbe inammissibilmente ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo».
3.2.5. La giurisprudenza successiva, con numerose pronunce (Cass. 02/02/2014, n. 25524; Cass. 11/12/2014, n. 26087; Cass. 20/02/2015, n. 3442; Cass. 28/03/2018, n. 7616; Cass. 24/08/2018, n. 21146; Cass. 22/02/2019, n. 5332; Cass. 25/09/2020, n. 20200), seguendo una linea mediana che ammette il sindacato sul diniego di autotutela, ha sostenuto che esso può riguardare solo profili di illegittimità del rifiuto di annullamento
opposto dall’Amministrazione, in relazione a ragioni di ‘ rilevante interesse generale ‘ , per cui il vaglio del giudice non può riguardare la fondatezza della pretesa tributaria, ormai definitivamente preclusa, determinandosi altrimenti una indebita sostituzione dell’autorità giudiziaria alle scelte discrezionali dell’amministrazione, peraltro con riferimento ad un atto ormai divenuto inoppugnabile. In altri termini, si è ritenuto che contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa impositiva.
3.2.6. Peraltro, questa Corte, con l’ordinanza n. 4937 del 20 febbraio 2019, al fine di chiarire il contenuto della locuzione «interesse generale alla rimozione dell’atto», ha rilevato che per giustificare la doglianza contro il diniego di autotutela occorre che sia dedotto un interesse generale (cioè travalicante quello individuale della parte in causa), concreto e specifico (come, ad esempio, l’interesse derivante dall’intervenuto annullamento da parte del giudice amministrativo di un atto presupposto a quello in questione, o di un atto basato su una affermazione di principio, suscettivo di generalizzazione, errata), in esatta corrispondenza all’interesse di cui l’amministrazione deve dar conto nella motivazione dell’atto di annullamento (adottato anche in assenza di sollecitazione del privato).
3.2.7. Anche la Corte costituzionale, intervenuta sul tema con la sentenza n. 181 del 19 luglio 2017, ha ribadito che l’annullamento d’ufficio non ha la funzione di tutela del contribuente, ma è espressione di amministrazione attiva e, pertanto, necessita di preliminari valutazioni comparative e discrezionali. Ha, espressamente affermato che pure «in un contesto così caratterizzato, tuttavia, nel quale l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto acquista specifica valenza e tende in una certa misura a convergere con quello del contribuente, non va trascurato il fatto che
altri interessi possono e devono concorrere nella valutazione amministrativa, e fra essi certamente quello alla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico, inevitabilmente compromessa dall’annullamento di un atto inoppugnabile. Tale interesse richiede di essere bilanciato con gli interessi descritti -e con altri eventualmente emergenti nella vicenda concreta sulla quale l’amministrazione tributaria è chiamata a provvedere -secondo il meccanismo proprio della valutazione comparativa. Sicché si conferma in ogni caso, anche in ambito tributario, la natura pienamente discrezionale dell’annullamento d’ufficio». Il giudice delle leggi ha poi spiegato che «affermare il dovere dell’amministrazione di rispondere all’istanza di autotutela significherebbe, in altri termini, creare una nuova situazione giuridicamente protetta del contribuente, per giunta azionabile sine die dall’interessato, il quale potrebbe riattivare in ogni momento il circuito giurisdizionale, superando il principio della definitività del provvedimento amministrativo e della correlata stabilità della regolazione del rapporto che ne costituisce oggetto». Ha pure sottolineato come residui una ipotesi in cui è esperibile l’autotutela tributaria, ed è il caso in cui sia riscontrabile un interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi, il quale, a sua volta, costituisce una sintesi tra l’interesse fiscale dello Stato ed il principio di effettività della capacità contributiva ex art. 53 Cost..
3.2.8. In tale contesto si inseriscono anche le sentenze n. 24032 del 26/09/2019 e n. 24652 del 14/09/2021, con le quali questa Corte, consolidando il filone interpretativo in materia, ha affermato che il sindacato del giudice tributario sul provvedimento di diniego dell’annullamento dell’atto tributario divenuto definitivo è consentito, ma purché si accerti la ricorrenza di ragioni di rilevante interesse generale dell’Amministrazione finanziaria alla rimozione dell’atto, originarie o sopravvenute.
3.3. Sulla scorta dell’orientamento giurisprudenziale intervenuto in materia, del tutto condivisibile, deve, quindi, ribadirsi,
in termini generali, che, seppure è vero che l’elencazione degli atti impugnabili contenuti nell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 è suscettibile di interpretazione estensiva, dovendo riconoscersi al contribuente la possibilità di ricorrere alla tutela del giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’Ente impositore, e dunque anche in caso di provvedimenti di diniego emessi in sede di autotutela, ancorché l’originario provvedimento sia divenuto già definitivo, è tuttavia in tali casi necessario un bilanciamento dei contrapposti interessi, secondo il meccanismo proprio della valutazione comparativa, dovendosi confermare, sotto tale aspetto, la natura pienamente discrezionale dell’annullamento d’ufficio (Corte Cost., sentenza 13 luglio 2017, n. 181).
Ciò comporta che il contribuente, il quale richiede all’Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, non può limitarsi ad eccepire eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione è definitivamente preclusa, ma deve piuttosto prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto.
3.4. La decisione impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi su esposti, avendo ritenuto inammissibile l’impugnazione del diniego tacito di sgravio per non avere il contribuente dedotto ragioni di rilevante interesse generale a sostegno dell’istanza di autotutela.
Il rigetto del secondo motivo comporta, per quanto esposto supra , l’assorbimento dei motivi terzo, quarto e quinto, con i quali, rispettivamente, il contribuente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 345 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono, infine, i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso, assorbiti gli altri, e condanna il ricorrente a pagare, in favore dell ‘Agenzia delle entrateRiscossione, le spese di lite, che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 febbraio 2025.