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Diniego definizione agevolata: a chi spetta decidere?

Un contribuente ha impugnato un’intimazione di pagamento e il diniego di una definizione agevolata. La Corte di Cassazione ha respinto entrambi i ricorsi, chiarendo che la richiesta di definizione agevolata deve avere ad oggetto l’atto impositivo originario, non l’atto di riscossione provvisoria successivo. La competenza a decidere sul diniego spetta all’ufficio che ha emesso l’accertamento iniziale.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Diniego Definizione Agevolata: la Cassazione Chiarisce Oggetto e Competenza

In materia fiscale, la possibilità di accedere a una definizione agevolata rappresenta un’opportunità cruciale per i contribuenti. Tuttavia, è fondamentale comprendere i corretti presupposti procedurali per non vedersi respingere l’istanza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su due aspetti chiave: quale atto può essere oggetto della richiesta e quale ufficio è competente a decidere, specialmente quando è in corso un contenzioso. L’analisi del provvedimento chiarisce i confini applicativi di questo istituto, fornendo indicazioni preziose per evitare un diniego della definizione agevolata.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2010. A seguito della decisione di primo grado, sfavorevole al contribuente, l’Agenzia delle Entrate procedeva con l’iscrizione a ruolo provvisoria e notificava una conseguente intimazione di pagamento per le sole sanzioni. Il contribuente impugnava tale intimazione.

Nel corso del giudizio di appello, il contribuente presentava istanza di definizione agevolata ai sensi del d.l. n. 119/2018. L’Agenzia delle Entrate comunicava il diniego a tale richiesta. Di conseguenza, il contribuente proponeva due distinti ricorsi in Cassazione: uno avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale che confermava la legittimità dell’intimazione di pagamento, e un altro specifico avverso il diniego definizione agevolata.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto entrambi i ricorsi del contribuente, confermando sia la legittimità del diniego opposto dall’Amministrazione finanziaria sia quella dell’intimazione di pagamento.

In primo luogo, i giudici hanno dichiarato infondato il ricorso contro il diniego, stabilendo un principio di diritto chiaro. Successivamente, hanno rigettato anche il ricorso principale, ritenendo assorbito il primo motivo (relativo alla cessazione della materia del contendere), infondato il secondo (sulla presunta motivazione apparente della sentenza di secondo grado) e inammissibile il terzo (sulla riproposizione di questioni del primo grado).

Infine, il contribuente è stato condannato al pagamento delle spese processuali in favore dell’Agenzia delle Entrate.

Le Motivazioni della Sentenza: Focus sul Diniego Definizione Agevolata

Le motivazioni della Corte sono di particolare interesse perché tracciano una linea netta sulla procedura di definizione agevolata in pendenza di giudizio.

La Corte ha affermato il seguente principio di diritto: in presenza di un atto di riscossione provvisoria emesso a seguito di una sentenza di primo grado, l’oggetto dell’eventuale istanza di definizione agevolata non può essere l’atto di riscossione stesso, ma deve essere l’atto impositivo originario, ovvero l’avviso di accertamento che ha dato il via al contenzioso. L’intimazione di pagamento è un mero atto consequenziale, non l’atto che definisce la pretesa fiscale.

Di conseguenza, la competenza a decidere sull’istanza e sull’eventuale diniego non può che appartenere all’ufficio che ha emesso l’avviso di accertamento originario. La Corte ha precisato che il riferimento normativo alle ‘forme processuali’ per la notifica del diniego non trasforma la natura dell’atto, che rimane un provvedimento amministrativo espressione della potestà dell’amministrazione finanziaria.

Inoltre, i giudici hanno escluso la possibilità di applicare per analogia le regole sulla competenza territoriale previste per l’accertamento con adesione. Quest’ultimo è un istituto conciliativo, mentre la definizione agevolata ha carattere eccezionale; manca quindi il presupposto della eadem ratio (stessa logica) per estenderne la disciplina.

Per quanto riguarda il ricorso principale, la Corte ha ritenuto che la sentenza d’appello fosse adeguatamente motivata, poiché l’intimazione di pagamento, basandosi su una sentenza ben nota al ricorrente, non necessitava di ulteriore motivazione se non il richiamo a quella stessa pronuncia.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La decisione in esame offre un importante vademecum per i contribuenti e i loro consulenti. Per presentare correttamente un’istanza di definizione agevolata durante un contenzioso, è essenziale:

1. Individuare l’atto corretto: L’istanza deve essere rivolta all’atto impositivo originario (es. avviso di accertamento), non agli atti di riscossione successivi (es. intimazione di pagamento da iscrizione a ruolo provvisoria).
2. Rivolgersi all’ufficio competente: La richiesta va presentata all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate che ha emesso l’atto impositivo, il quale è l’unico competente a decidere.

Ignorare questi presupposti procedurali porta inevitabilmente a un diniego definizione agevolata, con conseguente prosecuzione del contenzioso e aggravio di spese. La pronuncia ribadisce la natura amministrativa del procedimento di definizione e la necessità di rispettarne rigorosamente le regole, senza possibilità di estensioni analogiche da altri istituti deflattivi del contenzioso.

Quale atto deve essere oggetto di un’istanza di definizione agevolata se è stata emessa un’intimazione di pagamento provvisoria?
L’istanza di definizione agevolata deve avere ad oggetto l’atto impositivo originario (es. l’avviso di accertamento), non l’atto di riscossione provvisoria conseguente a una decisione di primo grado.

A quale ufficio spetta la competenza a decidere su un’istanza di definizione agevolata e sul relativo diniego?
La competenza a decidere sull’istanza e a emettere il diniego di definizione agevolata spetta all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate che ha emesso l’originario avviso di accertamento.

Un’intimazione di pagamento basata su una sentenza di primo grado richiede una motivazione dettagliata?
No. Secondo la Corte, quando l’atto di riscossione si fonda su una sentenza di cui il contribuente è a conoscenza, non necessita di una motivazione ulteriore e completa, essendo sufficiente il richiamo alla sentenza stessa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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