Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 766 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 766 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9668/2018 R.G. proposto da:
NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 3575/1/2017, depositata in data 12 settembre 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 dicembre 2024 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
A seguito di una attività di verifica fiscale condotta dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Pavia, l’Ufficio notificava alla sig.ra NOME COGNOME l’invito n. 100086/2014 al fine di ottenere
Diniego Auto. IRPEF 2009
elementi giustificativi rispetto al possesso di beni indici di capacità contributiva e allo scostamento rilevato tra l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e il reddito sinteticamente determinabile per l’anno di imposta 2009. La pretesa erariale accertante un reddito complessivo di € 123.150,00 veniva confermata con l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO. L’accertamento diveniva definitivo per mancata impugnazione nei termini di legge. Successivamente, la contribuente, asserendo di essere venuta a conoscenza dell’attività di accertamento nei suoi confronti solo tramite la notifica, con l’affissione presso l’albo del Comune di Pavia dell’atto di presa in carico di Equitalia in data 5 giugno 2015, proponeva istanza di autotutela dell’avviso di accertamento, alla quale l’Ufficio opponeva diniego.
Avverso il detto diniego di autotutela e l’atto di presa visione la società contribuente proponeva ricorso dinanzi la C.t.p. di Pavia; si costituiva anche l’Ufficio, chiedendo la conferma del proprio operato.
La C.t.p. di Pavia, con sentenze n. 168/02/2016 e n. 169/02/2016, rigettava i ricorsi della contribuente.
Contro tali sentenze proponeva distinti atti di appello la contribuente dinanzi la C.t.r. della Lombardia; si costituiva anche l’Agenzia delle Entrate, chiedendo la conferma delle sentenze impugnate.
Con sentenze n. 3575/01/2017 e n. 3576/01/2017, depositate in data 12 settembre 2017, la C.t.r. adita rigettava gli appelli della contribuente.
Avverso le dette sentenze della C.t.r. della Lombardia, la contribuente ha proposto ricorsi per cassazione affidati a tre motivi; il presente ricorso ha ad oggetto il diniego di autotutela. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 19 dicembre 2024.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, cosi rubricato: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 29 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 274 cod. proc. civ. ed omessa motivazione in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’ error in iudicando e l’omesso esame di in fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha proceduto alla riunione dei procedimenti, quello avverso l’atto di presa in carico e quello avverso il diniego di autotutela, nonostante trattati con un’unica discussione, in questo modo provocando solo una duplicazione delle spese per la contribuente.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, cosi rubricato: «Violazione di legge ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, denunciata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 19, 21 D.lgs n. 546/1992 ed art. 153, secondo comma, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha affermato in modo contraddittorio, da un lato, che la contribuente non aveva avuto cognizione dell’avviso e, dall’altro, che non poteva darsi luogo a remissione in termini in quanto la richiesta era tardiva (senza spiegare il perché).
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, cosi rubricato: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto dell’art. 153, secondo comma, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., che si traduce in omessa, contraddittoria ed illogica motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’ error in iudicando e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha dichiarato inammissibile l’istanza di
rimessione in termini, non valutando che l’istanza era stata proposta anche con il ricorso introduttivo, oltre che in appello.
Preliminarmente, va disattesa la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla ricorrente con riferimento all’art. 14 della legge 890/1982 siccome manifestatamente infondata ed irrilevante ai fini della decisione della controversia, in considerazione del comportamento di inerzia tenuto dalla contribuente.
Passando alla disamina dei motivi, il primo motivo è inammissibile.
Invero, nel corpo del motivo non viene indicato l’interesse alla trattazione riunita dei due ricorsi né il concreto pregiudizio derivato dalla trattazione separata.
Costituisce principio pacifico quello secondo cui l’interesse all’impugnazione -inteso quale manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire e la cui assenza è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo – deve essere individuato in un interesse giuridicamente tutelabile, identificabile nella concreta utilità derivante dalla rimozione della pronuncia censurata, non essendo sufficiente l’esistenza di un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica (cass. 18/02/2020, n. 3991).
Il secondo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente per evidenti ragioni di connessione e per l’affinità delle critiche sollevate, sono inammissibili ed infondati.
4.1. Essi sono inammissibili nella parte in cui invocano il n. 5 dell’art. 360, primo comma, rilevando l’applicazione, nella fattispecie, della previsione di cui all’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., così come riformulato dal d.l. 22/6/2012, n. 83 conv. nella legge 11/8/2012, n. 143 che, per l’ipotesi di cd. doppia conforme, avendo il giudice di appello confermato la sentenza di primo grado di rigetto del ricorso del contribuente, sulla base delle medesime
ragioni inerenti alle questioni di fatto a sostegno della sentenza di primo grado, preclude la deducibilità in sede di legittimità del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma cod. proc. civ. Tale nuova norma è sicuramente applicabile alla fattispecie in oggetto atteso che l’atto di appello è stato depositato in data 4 novembre 2016 e, quindi, ben oltre il trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione. Invero, la C.t.r., in merito alle doglianze della contribuente circa la disconoscenza assoluta degli inviti a comparire e degli avvisi di accertamento, ha reso una valutazione conforme a quella resa dal giudice di primo grado. Di poi, il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 22/12/2016, n. 26774).
4.2. Inoltre, non può essere accolta la doglianza di motivazione apparente atteso che la C.t.r., con una motivazione della quale è agevole scorgere l’iter logico -giuridico sottostante, ha ritenuto che, sebbene la contribuente lamentasse di non avere mai ricevuto né l’avviso di accertamento né i prodromici inviti a comparire, constatata la correttezza della notifica, ha rigettato la richiesta di rimessioni in termini ex art. 153 cod. proc. civ. per l’impugnazione dell’avviso di accertamento in considerazione della tardività della richiesta medesima, postulando tale richiesta la tempestività dell’iniziativa della parte che assume di essere incorsa in una decadenza per causa ad essa non imputabile. Siffatta tempestività postula, infatti, un’immediata reazione della parte una volta palesatasi la necessità di svolgere un’attività processuale ormai preclusa e comunque non appena la medesima abbia acquisito la
consapevolezza di aver violato il termine stabilito dalla legge o dal giudice per il compimento dell’atto.
4.3. Secondo costante giurisprudenza di questa Corte, dalle norme di cui agli artt. 132, comma secondo, n. 4 cod. proc. civ. e 118 disp. att. stesso codice, è desumibile il principio secondo il quale la mancata esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa, ovvero la mancanza o l’estrema concisione della motivazione in diritto, determinano la nullità della sentenza allorquando rendano impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass. 03/01/2022, n. 6758). Questo principio, in forza del generale rinvio materiale alle norme del codice di rito compatibili (comprese le sue disposizioni di attuazione) contenuto nell’art. 1, comma secondo, del d.lgs. 546/1992, è applicabile anche al rito tributario (Cass. n. 13990 del 2003; Cass. n. 9745 del 2017).
4.4. Infine, la decisione si profila altresì conforme ai principi giurisprudenziali in materia siccome la rimessione in termini, sia nella norma dettata dall’art. 184-bis c.p.c. che in quella di più ampia portata contenuta nell’art. 153, comma 2, c.p.c., presuppone che la parte sia incorsa nella decadenza per causa ad essa non imputabile e si attivi con tempestività, cioè, in un termine ragionevolmente contenuto e rispettoso del principio della durata ragionevole del processo (Cass. 11/11/2020, n. 25289).
5. In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in € 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 19 dicembre 2024.