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Diligenza professionale: onere della prova in dogana

Un’impresa di importazione ha ricevuto una sanzione per aver erroneamente dichiarato l’origine di una partita di cavi d’acciaio. La Corte di Cassazione, esaminando il caso, ha ribadito il principio della presunzione di colpa nelle violazioni doganali. È onere dell’importatore dimostrare la totale assenza di colpa, esercitando una diligenza professionale che va oltre il semplice controllo documentale. La decisione della corte di merito, che aveva annullato la sanzione basandosi su documenti poi rivelatisi falsi, è stata cassata perché non ha valutato adeguatamente il dovere di diligenza richiesto a un operatore qualificato.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Diligenza Professionale: Quando la Scarsa Attenzione in Dogana Costa Caro

Nel commercio internazionale, la corretta dichiarazione doganale è un obbligo fondamentale per ogni importatore. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione mette in luce le gravi conseguenze di una gestione superficiale delle pratiche di importazione, definendo i contorni della diligenza professionale richiesta agli operatori del settore. La vicenda riguarda un’azienda sanzionata per aver erroneamente dichiarato l’origine di merci importate, un errore che ha portato a un lungo contenzioso sull’onere della prova e sulla responsabilità dell’importatore.

I Fatti di Causa: Una Dichiarazione Doganale Errata

Tutto ha origine da un’operazione di importazione di una partita di “cavi di acciaio zincato”. L’importatore presentava alla dogana una dichiarazione che attestava l’origine e la provenienza della merce dall’Egitto, ottenendo così l’applicazione di un dazio agevolato. Tuttavia, a seguito di una segnalazione dell’OLAF (l’Ufficio europeo per la lotta antifrode), emergeva il sospetto che la merce fosse in realtà di origine cinese, soggetta a dazi antidumping ben più onerosi. Un controllo successivo confermava i sospetti: la merce era stata erroneamente classificata e la sua origine era stata dichiarata in modo non veritiero. Di conseguenza, l’Agenzia delle Dogane procedeva alla revisione dell’accertamento e all’irrogazione di una pesante sanzione.

Il Contenzioso e il Principio della Presunzione di Colpa

Il caso ha attraversato diversi gradi di giudizio. Inizialmente, i giudici di merito avevano annullato la sanzione, ritenendo che l’Agenzia non avesse provato la colpa o il dolo dell’importatore. La questione è approdata una prima volta in Cassazione, che ha ribaltato la decisione. La Suprema Corte ha stabilito un principio fondamentale: in materia di sanzioni amministrative tributarie, la colpa si presume. Ciò significa che non è l’amministrazione a dover dimostrare la colpevolezza del contribuente, ma è quest’ultimo a dover fornire la prova della sua totale assenza di colpa. La causa veniva quindi rinviata alla Commissione Tributaria Regionale per una nuova valutazione basata su questo principio.

La Diligenza Professionale al Centro del Secondo Giudizio di Rinvio

Nonostante le chiare indicazioni della Cassazione, la Commissione Tributaria Regionale, nel giudizio di rinvio, ha nuovamente dato ragione all’importatore. I giudici hanno ritenuto che la presentazione di documenti apparentemente regolari (fattura d’acquisto, polizza di carico e certificato di origine EUR1) fosse sufficiente a dimostrare l’assenza di negligenza. Secondo la CTR, non si poteva pretendere che l’importatore, pur essendo un operatore professionale, si accorgesse della falsità del certificato o svolgesse indagini “sul campo”. Questa decisione ha portato l’Agenzia delle Dogane a ricorrere nuovamente in Cassazione.

Le Motivazioni della Cassazione

Con la nuova ordinanza, la Suprema Corte ha cassato la sentenza d’appello, criticandone duramente l’impostazione. I giudici hanno affermato che la Commissione Tributaria ha “totalmente inosservato” il principio di diritto precedentemente enunciato. La diligenza professionale richiesta a un operatore qualificato non può esaurirsi in un “puro e semplice riscontro documentale”. Al contrario, essa impone l’adozione di tutti gli accertamenti necessari, comprese, se del caso, verifiche sostanziali, per evitare di incorrere nell’illecito, pur nei limiti della ragionevolezza. La Corte ha sottolineato che l’importatore aveva commesso un doppio errore, sia sulla classificazione che sull’origine della merce, e che la sua qualità di specialista del settore non gli permetteva di ignorare i diffusi fenomeni di elusione dei dazi antidumping su prodotti simili provenienti dalla Cina. Affidarsi passivamente a un certificato, senza ulteriori cautele, non è sufficiente per escludere la propria responsabilità.

Le Conclusioni: Un Monito per gli Operatori del Settore

Questa decisione rappresenta un importante monito per tutti gli importatori e gli operatori del commercio internazionale. La presunzione di colpa in materia doganale impone un atteggiamento proattivo e non meramente formale. Non basta raccogliere i documenti: è necessario valutarli criticamente, specialmente in settori a rischio di frode. La diligenza professionale qualificata richiede una conoscenza approfondita del proprio mercato e l’adozione di tutte le misure ragionevoli per garantire la veridicità delle dichiarazioni rese. In caso contrario, il rischio è quello di incorrere in sanzioni severe, anche in assenza di una volontà fraudolenta.

In caso di sanzione doganale per errata dichiarazione, chi deve provare la colpa?
La colpa dell’importatore è presunta. Spetta all’importatore stesso dimostrare di aver agito senza colpa, fornendo la prova contraria dell’assenza assoluta di negligenza.

Per un importatore professionale, è sufficiente fare affidamento sui documenti ufficiali come il certificato di origine per dimostrare l’assenza di colpa?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la diligenza professionale qualificata richiede più di un semplice controllo documentale. L’operatore deve adottare tutti gli accertamenti necessari, incluse verifiche sostanziali nei limiti della ragionevolezza, per evitare di commettere l’illecito.

Quali elementi ha considerato la Corte per valutare la mancanza di diligenza dell’importatore?
La Corte ha considerato la sua qualità di operatore professionale, il doppio errore commesso (sulla classificazione e sull’origine della merce) e la notorietà nel settore del fenomeno dell’elusione dei dazi antidumping per quel tipo di prodotto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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