Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33839 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33839 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8915/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME
-intimato- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della LIGURIA-GENOVA n. 221/2021 depositata il 17/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
V’è da premettere che la causa approda per la seconda volta in cassazione.
I fatti di causa e lo svolgimento del processo possono, brevemente, riassumersi come segue.
2.1. DMP di COGNOME NOME presentava, in data 24.12.01, presso la dogana di Genova, ai fini dell’importazione definitiva, una partita di 141 “altri cavi di acciaio zincato”, dichiarandoli di origine e provenienza Egitto e classificandoli alla voce doganale 73121 09990; la dichiarazione doganale veniva registrata in pari data come IM4 11688/S; veniva conseguentemente liquidato il dazio agevolato.
A seguito di una segnalazione dell’OLAF, la dogana veniva invitata alla revisione della bolletta, per il sospetto di evasione del dazio antidumping di cui al Reg. CE 1796/1999, stante la possibile origine cinese della merce. Dal controllo ‘a posteriori’ del certificato, emergeva che, in effetti, la merce era stata erroneamente classificata. Pertanto, la dogana procedeva alla revisione dell’accertamento ed all’irrogazione della sanzione ex art. 303, comma 3, TULD.
COGNOME NOME , con unico atto, impugnava sia l’avviso di accertamento sia l’atto di contestazione.
3.1. La CTP di Genova respingeva il ricorso relativamente all’avviso di accertamento, mentre lo accoglieva relativamente all’atto di contestazione, annullando conseguentemente le sanzioni, per non essere l’errore sull’origine della merce determinato da colpa o dolo.
Il contribuente proponeva appello principale, l’Ufficio incidentale; la CTR della Liguria li rigettava entrambi, ritenendo, in particolare, per quanto di residuo rilievo, non provato lo stato soggettivo necessario all’irrogazione della sanzione. Al riguardo, osservava, in motivazione, la CTR:
Va respinto l’appello incidentale in ragione del fatto che l’irrogazione della sanzione amministrativa, diversamente dalla pretesa doganale per cui si discute, è pur sempre condizionata all’accertamento del requisito soggettivo, ossia deve essere provato anche in via presuntiva il comportamento colposo o doloso dell’importatore: nel caso di specie tale accertamento non è stato specificamente compiuto dall’Ufficio procedente.
Il contribuente proponeva ricorso per cassazione in via principale, l’Ufficio in via incidentale, il contribuente, ulteriormente, in via incidentale condizionata.
5.1. La Sez. 5 Civ. di questa Suprema Corte -con sentenza n. 5912 del 23/01/2019 – respingeva i ricorsi del contribuente, accogliendo l’incidentale dell’Ufficio e cassando in relazione con rinvio la sentenza d’appello. Al riguardo, osservava, in motivazione, la SRAGIONE_SOCIALE
Il ricorso incidentale -con cui l’amministrazione denuncia la violazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 5 d.lgs. 472/97 in relazione all’art. 303 T.U. leggi doganali -appare fondato. Il gravame ha per oggetto la parte della sentenza nella quale la CTR ha dichiarato la illegittimità della irrogazione della sanzione amministrativa per non essere stato provato il requisito soggettivo ovvero la colpevolezza del soggetto sanzionato a seguito della violazione di cui all’art. 303 T. U. leggi doganali.
Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello, ai fini dell’affermazione della responsabilità del contribuente è sufficiente l’elemento psicologico della colpa, che peraltro è presunta: ciò in virtù del combinato disposto del d.Igs. 472/97 art. 5 e legge 689/81 art. 3.
L’interpretazione data è peraltro in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità (nn. 13495/2012; 11202/2013).
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Per effetto dell’accoglimento del ricorso incidentale la sentenza va cassata e rinviata alla CTR della Liguria, che, in diversa composizione, deciderà nel merito tenendo conto dello ius superveniens, rispetto all’art. 303 del DPR 43/73 (TULD), costituito dal D.L. 2. 3. 2012 n. 16 art. 11 convertito, con modificazioni, nella legge 26.4.2012 n. 44, pronunciandosi anche in ordine alle spese.
6. Riferisce, a questo punto, la sentenza in epigrafe che
il contribuente ha riassunto il giudizio, sostanzialmente evidenziando gli elementi che, in tesi, dimostrerebbero l’insussistenza di alcun profilo di responsabilità, anche a titolo di colpa, atto a giustificare la sanzione irrogata nei suoi confronti.
In subordine, chiede che la sanzione sia determinata sulla base dello ius superveniens indicato dalla Corte di cassazione, quindi nel minimo edittale che ammonta attualmente alla somma di € 30.000,00.
Costituitosi in resistenza, l’Ufficio allega elementi a suffragio della dimostrazione della colpevolezza del contribuente, con particolare riferimento· (i) al doppio errore compiuto dallo stesso, con riguardo alla classificazione della merce oltre che alla sua origine, (ii) alla mancata dimostrazione in ordine all’adozione di tutte le iniziative a disposizione dell’importatore per accerta.re la reale origine della merce, (ili) alla qualità di operatore professionale che avrebbe consentito al contribuente di conoscere la grande produzione di cavi di acciaio cinese e la frequenza del fenomeno dell’elusione dei dazi antidumping in tale settore.
La CTR della Liguria, pronunciando in sede di rinvio, con la sentenza in epigrafe, ‘accoglie il ricorso per riassunzione e, per l’effetto, conferma con diversa motivazione la sentenza di primo grado’.
7.1. Così, essenzialmente, motivava:
on è necessaria la concreta dimostrazione dell’elemento soggettivo minimo da parte dell’Amministrazione finanziaria , ma grava sul contribuente l’onere di fornire la prova negativa dell’assenza di colpa.
Ritiene il Collegio che gli elementi allegati. dal ricorrente siano idonei ad assolvere l’onere probatorio predetto.
Appaiono dirimenti, in tal senso, le indicazioni contenute nella fattura d’acquisto emessa dal fornitore estero e, soprattutto, nella polizza di carico emessa dalla compagnia di navigazione che attestava il trasporto diretto della merce dal porto di Alessandria d’Egitto a quello di Genova.
Peraltro, l’origine egiziana della merce medesima risultava dal certificato EUR1 emesso dall’Autorità doganale di quel Paese che, seppur falso nei contenuti, non era stato contraffatto, tanto che la stessa Autorità doganale italiana non aveva sollevato alcuna contestazione fino all’esito delle indagini dell’OLAF.
Tali evidenze documentali paiono sufficienti a dimostrare l’assenza di colpa in relazione alla condotta tenuta nel caso di specie, tanto più che l’erronea classificazione della merce, evidenziata dall’Ufficio, non costituisce di per sé circostanza atta a dimostrare la negligenza del dichiarante in ordine all’origine della merce medesima.
È vero che la condizione di operatore professionale del contribuente non gli consentiva di ignorare la grande produzione cinese di cavi di acciaio e la frequenza delle manovre attuate per eludere l’applicazione dei dazi antidumping su talune tipologie di prodotti in acciaio.
Tale situazione, tuttavia, non può considerarsi ex se rivelatrice di un comportamento inosservante dei canoni di diligenza richiesti allo specialista del settore che, anche considerando la rilevanza non del tutto trascurabile dell’industria dell’acciaio egiziana, non poteva immediatamente avvedersi della falsità del certificato d’origine né ritenersi onerato allo svolgimento di approfondite indagini ‘sul campo’ per avere conferma della genuinità dei suoi contenuti.
Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle dogane con un motivo. Il contribuente resta intimato.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso si denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 472/1997 in relazione all’art 199 CDC (Reg 2454/93) e all’art. 303 del DPR 23.1.1973, n. 43 (TULD), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cpc’.
1.1. ‘Il Giudice della riassunzione non ha preso atto che sul merito della vicenda la Suprema Corte nella sentenza n. 5912/19 si è espressa, ritenendo il primo motivo di ricorso per cassazione presentato dal ricorrente – che contestava l’omesso esame del punto “errata classifica doganale” -inammissibile, con la conseguenza che su questo aspetto deve ritenersi ormai formato il giudicato. Alla luce di questo dato incontrovertibile, il Giudice avrebbe dovuto tener presente l’avvenuto riconoscimento della legittimità dell’accertamento e, quindi, dell’errata classifica della merce . Invero, nel caso di specie non vi è dubbio sul fatto che la ditta RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE abbia inserito, in qualità di dichiarante doganale, dati non veritieri nella dichiarazione doganale. Tale attività ha oggettivamente comportato l’evasione daziaria, e dunque la violazione della normativa doganale. con conseguente applicazione della sanzione, ai sensi dell’art. 303 del T.U.L.D.’. L”errore’ del contribuente ‘costituisc una violazione di legge e configur in capo al dichiarante un’ipotesi di colpa specifica, che comporta la legittimità della sanzione irrogata a prescindere dalla dimostrazione dell’elemento soggettivo della colpevolezza del trasgressore, che in tal caso si ritiene presunta’. ‘Sebbene il giudice del rinvio si sia formato il convincimento della
non colpevolezza del contribuente, sostenendo che le evidenze documentali (fattura commerciale, polizza di carico e certificato Eur1) avvalorerebbero il rispetto dei canoni di diligenza richiesta ad un professionista del settore, le indicazioni che emergono dalla documentazione commerciale e doganale dimostrano proprio la scarsa diligenza dell’operatore, anziché la sua assenza di colpa’.
Il motivo è fondato e merita accoglimento.
2.1. Questa Suprema Corte ha già avuto modo di affermare quanto segue:
-‘Il principio posto dall’art. 3 della legge 24 novembre 1981 n. 689, secondo cui per le violazioni colpite da sanzione amministrativa è richiesta la coscienza e volontà della condotta attiva od omissiva, sia essa dolosa o colposa, deve essere inteso nel senso della sufficienza dei suddetti estremi, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, atteso che la norma pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, riservando poi a quest’ultimo l’onere di provare di aver agito incolpevolmente’ (Sez. 1, n. 664 del 21/01/2000, Rv. 533047 -01, che, nell’affermare il principio di diritto che precede, ‘ha ritenuto che il comportamento di un dirigente d’azienda il quale, inviato a contattare clienti esteri, al ritorno in Italia avesse reso dichiarazione negativa alla dogana, esibendo poi solo all’esito di un contestuale controllo assegni per l’importo di circa 500 milioni, integrava gli estremi del comportamento colpevole con riferimento alla violazione dell’art. 3 legge 227/90, senza che fosse, peraltro, utilmente invocabile, da parte del contravventore, -attesane la qualità professionale ed il comportamento tenuto -l’ignoranza inevitabile della normativa valutaria vigente all’epoca dei fatti’);
-‘ In tema di sanzioni amministrative per violazioni tributarie, ai fini dell’esclusione di responsabilità per difetto dell’elemento soggettivo, grava sul contribuente, ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, la prova dell’assenza assoluta di colpa, con conseguente esclusione della rilevabilità d’ufficio, occorrendo a tal fine la dimostrazione di versare in stato di ignoranza incolpevole, non superabile con l’uso dell’ordinaria diligenza. Conseguentemente, non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta anche la consapevolezza del contribuente, a cui deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quantomeno negligente. È comunque sufficiente la coscienza e la volontà della condotta, senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa, la quale si presume fino alla prova della sua assenza, che deve essere offerta dal contribuente e va distinta dalla prova della buona fede, che rileva, come esimente, solo se l’agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l’ignoranza dei presupposti dell’illecito e dunque non superabile con l’uso della normale diligenza’ (Sez. 5, n. 12409 del 11/05/2021).
2.2. In prospettiva di sintesi, dunque, è a concludersi che, in tema di sanzioni doganali, a fronte della sufficienza della colpa quale coefficiente di ascrizione soggettiva dell’illecito all’autore, colpa che può consistere anche in mera negligenza e che si presume, la prova contraria che il predetto è chiamato ad offrire per esimersi da responsabilità consiste nella dimostrazione del difetto assoluto di colpa, in funzione dell’adozione, secondo i canoni della diligenza professionale qualificata, di tutti gli accertamenti necessari -previe, se del caso, opportune verifiche anche sostanziali,
pur nei limiti della ragionevolezza -per evitare di commettere (o comunque di cadere nel)l’illecito.
2.3. La CTR ha totalmente inosservato il superiore principio.
Ha mandato assolto il contribuente da responsabilità, ritenendone la diligenza, alla luce di un puro e semplice riscontro documentale, tuttavia marcatamente insufficiente agli effetti della necessaria diligenza professionale qualificata, senza viepiù tener conto di tutti gli elementi del caso concreto, tra cui, in particolare, l’avere il medesimo dichiarato in dogana una merce, per obiettive caratteristiche, non affatto corrispondente alla classificazione evocata.
2.4. Ne consegue che la sentenza impugnata va cassata con rinvio, per nuovo esame e per le spese.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso e cassa in relazione la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 3 dicembre 2024.