Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9699 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9699 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11486/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE
-intimata-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. SICILIA n. 6560/2020 depositata il 23/11/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/03/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE presentava per l’anno di imposta 2012 la dichiarazione Modello Irap 2013, cui faceva seguito controllo ex art. 36bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e conseguente emissione di cartella di pagamento n. 296 2017 00200979 09 (2012). Dal controllo erano emersi infatti esiti di omesso versamento di primo, secondo acconto e saldo Irap; ciò che conduceva a recupero a tassazione di maggiore imposta Irap oltre a sanzioni e relativi interessi. A seguito della comunicazione di irregolarità la società provvedeva alla rateizzazione dell’importo, effettuando contestualmente il versamento della prima rata.
L’omesso pagamento delle rate successive determinava la decadenza dalla rateizzazione, con conseguente iscrizione a ruolo degli importi dovuti, con sanzioni e interessi. Dinnanzi alla Commissione tributaria provinciale di Palermo il contribuente impugnava la cartella di pagamento chiedendone l’annullamento per assunto difetto di colpevolezza. La C.T.P. accoglieva il ricorso con sentenza n. 4498/2018. Avverso la stessa decisione incardinava il gravame l’Agenzia delle Entrate innanzi alla C.T.R. della Sicilia, la quale ha rigettato l’appello in punto di sanzioni ed interessi.
Invoca la cassazione della sentenza di secondo grado la parte pubblica, che si affida a tal fine a tre mezzi di impugnazione, mentre è rimasta intimata la parte contribuente.
CONSIDERATO
Vengono proposti tre mezzi di ricorso.
1.2. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 Cost., degli artt. 36 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e 132, comma 2, n. 4) cod. proc. civ., nonché dell’art. 112 cod. proc. civ., nonché art. 118 disp. att.
cod. proc. civ. in rapporto all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.’. Nella sostanza critica la sentenza impugnata in quanto viziata sotto il profilo del gravissimo ed assoluto difetto di motivazione, estrinsecandosi in argomentazioni inidonee a rivelare la ratio decidendi del giudice di merito.
Il motivo è fondato.
1.2. Si rammenta in proposito e in via preliminare che è ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. VI- 5, n. 9105/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza resta sprovvista in concreto del c.d. “minimo costituzionale” di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U, n. 8053/2014, seguita da Cass. VI – 5, n. 5209/2018). In termini si veda anche quanto stabilito in altro caso (Cass. Sez. L, Sentenza n. 161 del 08/01/2009) nel quale questa Corte ha ritenuto che la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cfr. Cass V, n. 24313/2018). Nel caso di specie, il Patrono erariale lamenta proprio l’impossibilità di rilevare, sulla base della sentenza impugnata, le argomentazioni alla base della decisione, tanto vaghe da non consentire di individuarle e riconoscerle come porzione sufficientemente giustificativa del pertinente decisum , in particolare con riferimento alla debenza degli interessi, riconosciuta dai giudici del gravame per mezzo di conclusioni inconciliabili e contrastanti con le assunte premesse. Si legge infatti in sentenza
che ‘In buona sostanza, non è possibile ravvisare nell’evento dell’insolvenza della P.A. le caratteristiche dell’estraneità, della imprevedibilità e dell’insormontabilità, pertanto, la forza maggiore non è configurabile’ e poi, quale conclusione ‘Se l’iscrizione a ruolo avviene per causa di forza maggiore, come sopra argomentata, non va applicato nessun interesse’, e ancora che ‘Non si comprende quale presupposto normativo debba essere cercato per ritenere che gli interessi debbano essere corrisposti da parte di un contribuente che ritarda nei pagamenti al fisco per fatto a lui non imputabile’. È allora di palmare evidenza che le proposizioni qui riportate, in successione grafica, siano carenti di qualsivoglia consequenzialità logica, prima ancora che giuridica. Le enunciazioni linguistiche che dovrebbero rivelare l’ iter logico seguito dal giudice si oppongono quivi all’assolvimento della funzione loro propria, non consentendo l’accesso ad una coerente impalcatura argomentativa atta a supportare il decisum .
Da tutto quanto premesso deriva la fondatezza della censura mossa con il primo strumento di impugnazione avverso la sentenza della C.T.R., la quale risulta gravemente carente e contradditoria, non potendosi trarre dagli enunciati linguistici che la compongono un iter logico-giuridico idoneo ad argomentare la decisione assunta, la quale risulta pertanto contraddittoria e ingiustificata, sostanziandosi in un tipico esempio di ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” nonché, in definitiva in una ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’ (Cass. Sez. Un. N. 8053/2014).
Con il secondo motivo si contesta ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5 e 6, comma 5, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e dell’art. 10, comma 2, L. 7 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.’, nella parte in cui i giudici di seconde cure hanno ritenuto che il comportamento posto in essere dal contribuente fosse privo di
volontarietà e pertanto incolpevole, facendone derivare l’applicazione dell’ipotesi di non punibilità di cui all’art. 6, comma 5 d.Lgs. n. 472/1997.
2.1. In punto di diritto, questa giurisprudenza di legittimità ha già chiarito che ‘ nessuna autonoma rilevanza può derivare dal fatto che il ricorrente provi di vantare crediti verso terzi che non sia riuscito ad esigere. E ciò vale anche se il terzo debitore sia lo Stato o altro ente pubblico, laddove l’interessato abbia nei confronti dello stesso rapporti di tipo contrattuale, ad esempio per la prestazione di servizi. La legge, infatti, disciplina in maniera tassativa i casi in cui può procedersi a compensazione del debito tributario. E, al di fuori di questi, il mancato pagamento dei debiti che l’interessato può addurre nei confronti dello Stato o dell’ente pubblico, rientra nel suo normale rischio d’impresa, di tipo privatistico, e non può certo elidere l’obbligazione, di natura pubblicistica, che egli ha verso l’Erario ‘ (Cass. Sez. Un. N. 37425/2013). Per quel che concerne il riferimento alla causa di forza maggiore, idonea ad escludere la ‘ suitas ‘ della condotta, occorre ribadire il consolidato orientamento di questa Corte in materia, conforme a quello eurounitario, a mente del quale ‘La nozione di forza maggiore, in materia tributaria e fiscale, comporta la sussistenza di un elemento oggettivo, relativo alle circostanze anormali ed estranee all’operatore, e di un elemento soggettivo, costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi (si vedano: Corte giust., C/314/06, punto 24, nonché Corte giust., 18 gennaio 2005, causa C-325/03 P, COGNOME/UAMI, punto 25). Rilevano dunque non necessariamente circostanze tali da porre l’operatore nell’impossibilità assoluta di rispettare la norma tributaria bensì quelle anomale ed imprevedibili, le cui conseguenze, però, non avrebbero potuto essere evitate malgrado l’adozione di tutte le precauzioni del caso
(Corte giust., 15 dicembre 1994, causa C195/91 P, Bayer/Commissione, punto 31, nonché Corte giust., 17 ottobre 2002, causa C208/01, Parras Medina, punto 19)’ (Cfr. Cass. n. 28320/2019).
Orbene, nel caso di specie, la C.T.R., nel procedimento di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta di forza maggiore, ha fatto malgoverno degli esposti principi, prendendo a riferimento quale elemento oggettivo la situazione di illiquidità della società, prospettata quale conseguenza del tardivo adempimento di obbligazioni pecuniarie da parte del «monocliente Stato» e tralasciando ogni considerazione in ordine all’elemento soggettivo (con particolare riferimento all’obbligo da parte del contribuente di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi); giungendo cionondimeno a riconoscere – quanto agli effetti che se ne fanno discendere (‘Se l’iscrizione a ruolo avviene per causa di forza maggiore, non va applicato nessun interesse’), – la ricorrenza della forza maggiore, pure esclusa nelle premesse della decisione (‘La forza maggiore non è configurabile’).
Anche il secondo motivo deve pertanto essere dichiarato fondato, seppure resti assorbito dall’accoglimento del primo motivo.
Il terzo strumento di impugnazione si sostanzia nella ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1282 cod. civ. e dell’art. 20 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.’, ossia nella lamentata illegittimità della statuizione sulla non debenza degli interessi.
3.1. Come più volte anticipato, l’esito delle argomentazioni dei giudici della C.T.R., ingiustificato sulla base delle stesse, risulta essere la non debenza degli interessi da parte del contribuente. In materia, occorre rammentare quanto disposto dall’art. 20 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, a norma del quale ‘Sulle imposte o sulle
maggiori imposte dovute in base alla liquidazione ed al controllo formale della dichiarazione od all’accertamento d’ufficio si applicano, a partire dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento, e fino alla data di consegna al concessionario dei ruoli nei quali tali imposte sono iscritte, gli interessi al tasso del cinque per cento annuo’. Orbene, come chiarito da questa Suprema Corte (Cass. n. 12990/2007), gli interessi in oggetto devono qualificarsi quali ‘ interessi corrispettivi generati unicamente dal fatto oggettivo che il tributo (o il maggior tributo) entra nelle casse dello Stato con ritardo rispetto a quando fisiologicamente avrebbe dovuto entrarvi così come gli interessi percepiti in sede di rimborso dal contribuente compensano lo spazio temporale di attesa intercorrente tra il versamento di una eccedenza di imposta e la restituzione della indebita differenza da parte del fisco ‘. Ne consegue che, differentemente da quanto disposto in ordine all’irrogazione delle sanzioni fattispecie per la quale è ben prevista la astratta configurabilità di causa di non punibilità -, con riferimento alla debenza degli interessi non è viceversa dato rinvenire, all’interno del nostro ordinamento, la previsione della causa di forza maggiore atta ad arrestare la automatica produzione di interessi ex art. 1282 cod. civ., norma generale non eccettuata da qualsivoglia deroga.
Donde la fondatezza del terzo motivo di ricorso, seppure resti assorbito dall’accoglimento del primo.
In conclusione, il ricorso risulta fondato e merita accoglimento, la sentenza dev’essere cassata con rinvio al giudice di merito, perché si uniformi ai principi enucleati in motivazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa
composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 19/03/2025.