Difetto di Interesse: Quando Aderire a una Sanatoria Fiscale Rende Inammissibile il Ricorso
Il principio del difetto di interesse ad agire è un cardine del nostro ordinamento processuale. Affinché un giudice possa decidere nel merito una controversia, è necessario che la parte che ha promosso il giudizio abbia un interesse concreto e attuale a ottenere una sentenza favorevole. Una recente pronuncia della Corte di Cassazione, la n. 3557/2024, offre un chiaro esempio di come questo interesse possa venir meno nel corso del processo, portando a una declaratoria di inammissibilità. Il caso in esame riguarda un contenzioso tributario in cui l’adesione del contribuente a una definizione agevolata ha segnato la fine del percorso giudiziario.
I Fatti del Caso
Una società operante nel settore alimentare aveva impugnato un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate per l’anno d’imposta 2006. L’amministrazione finanziaria contestava l’indebita detrazione dell’IVA relativa a un’operazione qualificata dalla società come affitto d’azienda. Secondo l’Ufficio, il contratto dissimulava in realtà una cessione d’azienda, operazione esente ai fini IVA.
Il contenzioso aveva visto un esito parzialmente favorevole per il contribuente in secondo grado, con una rideterminazione delle sanzioni. Non soddisfatta, la società aveva proposto ricorso per cassazione, affidandosi a cinque motivi di diritto. L’Agenzia delle Entrate, dal canto suo, non si era costituita in giudizio con controricorso.
La Decisione della Corte di Cassazione
Durante lo svolgimento del processo dinanzi alla Suprema Corte, è intervenuto un fatto nuovo e decisivo. Il difensore della società ricorrente ha comunicato che, a seguito della notifica di cartelle di pagamento relative alla pretesa tributaria oggetto della causa, la società si era avvalsa della definizione agevolata dei ruoli prevista dalla normativa del 2016.
Con questa comunicazione, il difensore ha chiesto espressamente la dichiarazione di estinzione del giudizio, riconoscendo la “carenza di interesse ad una pronuncia in ragione dell’intervenuta definizione”. La Corte di Cassazione, prendendo atto di questa dichiarazione, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Le Motivazioni: Il Sopravvenuto Difetto di Interesse
La Corte ha fondato la sua decisione sul concetto di sopravvenuto difetto di interesse. Secondo gli Ermellini, la scelta del contribuente di aderire a una sanatoria fiscale, definendo così il proprio debito con l’erario, è un comportamento che rivela inequivocabilmente la mancanza di interesse a proseguire la lite. Anche senza la prova formale del completo pagamento delle somme dovute per il condono, la sola dichiarazione di volersi avvalere della definizione agevolata è sufficiente a rendere il ricorso inammissibile.
Proseguire il giudizio, infatti, non porterebbe più alcun vantaggio pratico al ricorrente, che ha già scelto una via alternativa (e stragiudiziale) per chiudere la controversia. Questo comportamento processuale, secondo la giurisprudenza consolidata richiamata nella sentenza (Cass. n. 31732/2018), priva il ricorso del suo presupposto fondamentale: l’interesse a ottenere una riforma della sentenza impugnata. Di conseguenza, il ricorso non può essere esaminato nel merito.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale per chiunque affronti un contenzioso tributario. L’adesione a strumenti di definizione agevolata o condono fiscale non è una scelta neutra rispetto al processo in corso. Al contrario, essa rappresenta un atto che preclude la possibilità di ottenere una decisione nel merito della controversia. I contribuenti devono quindi valutare attentamente i pro e i contro: da un lato, la certezza di chiudere il debito a condizioni agevolate; dall’altro, la rinuncia a far valere le proprie ragioni in sede giudiziaria.
Un’ulteriore conseguenza pratica di questa decisione riguarda le spese processuali e il cosiddetto “doppio contributo unificato”. La Corte ha specificato che, trattandosi di un’ipotesi di inammissibilità sopravvenuta e non di un rigetto nel merito, non sussistono le condizioni per condannare il ricorrente al pagamento di tale sanzione. Infine, non essendoci stata attività difensiva da parte dell’Agenzia delle Entrate, non è stata emessa alcuna statuizione sulle spese di lite.
Cosa significa ‘sopravvenuto difetto di interesse’ in un processo tributario?
Significa che, durante il corso della causa, il contribuente compie un’azione (come aderire a una sanatoria) che rende inutile e priva di vantaggi pratici la prosecuzione del giudizio, poiché la controversia viene risolta in via stragiudiziale.
Aderire a una sanatoria fiscale mentre è in corso un ricorso che conseguenze ha?
Secondo la sentenza, l’adesione a una sanatoria fiscale dimostra la mancanza di interesse a proseguire la lite. Di conseguenza, il ricorso pendente viene dichiarato inammissibile, senza che il giudice possa esaminare il merito delle questioni sollevate.
Se il ricorso viene dichiarato inammissibile per difetto di interesse, si deve pagare il ‘doppio contributo unificato’?
No. La sentenza chiarisce che in caso di inammissibilità ‘sopravvenuta’, come quella derivante dall’adesione a una sanatoria, non si applica la sanzione del pagamento del doppio contributo unificato, prevista invece per i casi di rigetto o inammissibilità originaria del ricorso.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3557 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 3557 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: LA COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/02/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 21534/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in INDIRIZZO, presso l ‘ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende;
-resistente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. FIRENZE n. 813/2016 depositata il 04/05/2016.
Udita la relazione svolta all’udienza pubblica del 19/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’estinzione del giudizio, non essendo comparso nessuno per le altre parti.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha impugnato l’atto di accertamento emesso per l’anno 2006 dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e recante recupero di IVA indebitamente detratta su una operazione di affitto d’azienda stipulato con la società RAGIONE_SOCIALE che, secondo l’Ufficio, dissimulava una cessione d’azienda, esente ai fini IVA.
La CTP di Pisa ha rigettato il ricorso e la CTR della Toscana ha accolto parzialmente l’appello della contribuente, con rideterminazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni,
Avverso questa sentenza la contribuente ha proposto ricorso per cassazione fondato su cinque motivi.
Non ha resistito con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Nelle more del processo, in data 15.12.2023, il difensore della ricorrente ha comunicato che, attesa la soccombenza con riferimento alla pretesa tributaria oggetto della presente controversia, erano state notificate cartelle di pagamento e la società si era avvalsa della definizione di detti ruoli ai sensi dell’art. 6 comma 3 d.l. n. 193 del 2016; ha chiesto, pertanto, «stante la carenza di interesse ad una pronuncia in ragione dell’intervenuta definizione», la dichiarazione di estinzione del giudizio.
Pur non potendo ritenersi provato l’integrale pagamento del dovuto ai fini condono, tale dichiarazione è idonea a determinare l’inammissibilità del ricorso, rivelando il sopravvenuto difetto di interesse della ricorrente alla prosecuzione della lite (Cass. n. 31732 del 2018).
Non vi è da provvedere sulle spese, non essendovi stata attività defensionale di controparte.
Trattandosi di una ipotesi di inammissibilità sopravvenuta, non ricorrono .le condizioni per imporre al ricorrente il pagamento del c.d. “doppio contributo unificato” ai sensi dell’art. 13 quater d.P.R. n. 115 del 2002 (Cass. n. 31732 del 2018; Cass. n. 14782 del 2018).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso; nulla sulle spese. Così deciso in Roma, il 19/12/2023.