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Dichiarazioni di terzi valide come indizi nel processo

Una società ha impugnato degli avvisi di accertamento fiscale relativi a costi per operazioni ritenute inesistenti e per un immobile non strumentale. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13979/2019, ha stabilito che il giudice tributario di merito ha errato nell’escludere a priori le dichiarazioni di terzi prodotte dalla società. Tali dichiarazioni, pur non essendo prove testimoniali, costituiscono validi indizi e devono essere valutate. La Corte ha inoltre rilevato un’omessa pronuncia sulla specifica questione dei costi dell’immobile. Di conseguenza, la sentenza è stata cassata con rinvio per un nuovo esame che tenga conto delle dichiarazioni di terzi e della domanda non decisa.

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Pubblicato il 18 luglio 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Dichiarazioni di terzi: ammesse come indizi nel processo tributario

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio cruciale per la difesa del contribuente: le dichiarazioni di terzi raccolte al di fuori del processo sono ammissibili come indizi e devono essere valutate dal giudice. Questa decisione rafforza le garanzie difensive nel contenzioso fiscale, spesso caratterizzato da un forte squilibrio tra le parti. Analizziamo insieme i fatti, i principi giuridici e le implicazioni pratiche di questo importante provvedimento.

I Fatti di Causa

Una società si è vista notificare tre avvisi di accertamento con cui l’Amministrazione Finanziaria contestava, ai fini IVA e IRES, l’indebita deduzione di costi. Le contestazioni riguardavano principalmente due aspetti: costi derivanti da operazioni considerate oggettivamente inesistenti con un fornitore e quote di ammortamento relative a un immobile ritenuto non strumentale all’attività d’impresa.

La Commissione Tributaria Regionale (CTR), in grado d’appello, aveva dato ragione all’ufficio fiscale, confermando la legittimità degli atti impositivi. In particolare, la CTR aveva ritenuto inammissibili le dichiarazioni scritte di terzi prodotte dalla società a sua difesa, basandosi sul divieto di prova testimoniale previsto nel processo tributario.

L’Ammissibilità delle Dichiarazioni di Terzi nel Processo

Il punto centrale del ricorso in Cassazione è stato proprio l’utilizzabilità delle suddette dichiarazioni. La società ricorrente ha lamentato la violazione di legge da parte della CTR per averle escluse a priori.

La Suprema Corte ha accolto pienamente questa doglianza. Citando un suo orientamento consolidato, ha chiarito che il divieto di prova testimoniale (sancito dall’art. 7 del D.Lgs. 546/1992) non implica un divieto assoluto di introdurre nel giudizio dichiarazioni scritte di terzi. Tali documenti, infatti, non costituiscono prova piena come una testimonianza resa in aula, ma assumono il valore di indizi. Il giudice tributario ha il dovere di prenderli in considerazione e di valutarli nel contesto probatorio complessivo, in piena attuazione dei principi del giusto processo e della parità delle parti (art. 111 della Costituzione).

Il Principio dell’Assorbimento e l’Omessa Pronuncia

La Corte ha poi analizzato il primo motivo di ricorso, che lamentava un duplice vizio della sentenza d’appello. Da un lato, la mancata pronuncia sul difetto di motivazione degli atti impositivi; dall’altro, la mancata decisione sulla legittimità del recupero dei costi per l’immobile non strumentale.

Sul primo punto, la Cassazione ha ritenuto il motivo inammissibile, applicando il concetto di “assorbimento”. Decidendo nel merito della pretesa fiscale, il giudice d’appello aveva implicitamente rigettato la questione preliminare della motivazione. Sul secondo punto, invece, la Corte ha ravvisato una vera e propria “omessa pronuncia”. La questione dei costi dell’immobile era autonoma e distinta da quella sulle operazioni inesistenti e avrebbe richiesto una valutazione specifica, che è del tutto mancata.

Le motivazioni

La decisione della Suprema Corte si fonda su un orientamento giuridico ormai solido e garantista. Rifiutare a priori le dichiarazioni di terzi costituisce un errore di diritto perché viola il principio di parità delle parti e il diritto di difesa del contribuente. Sebbene non possano essere equiparate a una testimonianza, queste dichiarazioni rappresentano un elemento che può contribuire a formare il convincimento del giudice e, pertanto, devono essere ammesse e ponderate. La CTR, escludendole dogmaticamente, ha privato la società di un importante strumento difensivo.

Inoltre, la Corte ha precisato i confini del principio di assorbimento: esso non può mai giustificare un’omissione di pronuncia su una domanda autonoma e specifica. La decisione sulla fondatezza della pretesa per operazioni inesistenti non poteva logicamente “assorbire” la diversa e distinta questione della deducibilità dei costi di un immobile, che richiedeva un esame separato e una motivazione ad hoc.

Le conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione riafferma due principi cardine del contenzioso tributario. Primo: le dichiarazioni di terzi sono uno strumento di difesa legittimo per il contribuente e devono essere valutate dal giudice come elementi indiziari. Secondo: il principio di assorbimento non è un alibi per eludere l’obbligo di rispondere a tutte le domande poste dalle parti. La causa è stata quindi rinviata alla Commissione Tributaria Regionale, che dovrà riesaminare il caso tenendo conto degli elementi probatori ingiustamente esclusi e pronunciandosi, finalmente, sulla questione dei costi immobiliari.

Nel processo tributario si possono usare dichiarazioni scritte di altre persone?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che le dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale sono ammissibili. Non valgono come prova testimoniale diretta (che è vietata), ma come indizi che il giudice ha l’obbligo di considerare insieme a tutte le altre prove disponibili.

Cosa succede se il giudice non si pronuncia su una specifica domanda del ricorso?
Se la domanda non viene esaminata e non può considerarsi implicitamente decisa (“assorbita”) da altre statuizioni, si verifica un vizio di “omessa pronuncia”. In questo caso, la sentenza è invalida e può essere annullata, come avvenuto per la questione dei costi dell’immobile non strumentale, che la corte d’appello aveva completamente ignorato.

Se un giudice decide sul merito della causa, può ignorare le eccezioni sulla forma degli atti?
Spesso sì. Secondo la Corte, quando un giudice entra nel merito e valuta la fondatezza di una pretesa fiscale, si presume che abbia implicitamente rigettato le eccezioni preliminari (come quella sul difetto di motivazione dell’atto). Questo fenomeno è definito “assorbimento in senso improprio”. Per contestare tale esito, il ricorrente non deve lamentare un’omissione di pronuncia, ma criticare la correttezza della valutazione di assorbimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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