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Dichiarazioni di terzi: prova indiziaria valida

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21249/2025, ha stabilito che le dichiarazioni di terzi raccolte dalla Guardia di Finanza costituiscono una valida prova indiziaria in un accertamento fiscale, anche in assenza di riscontri documentali. Il caso riguardava un avviso di accertamento a carico degli eredi di un professionista, basato in parte su dichiarazioni relative a presunti compensi in nero. La Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva svalutato tali dichiarazioni, affermando che il giudice deve valutarne l’attendibilità nel complesso del quadro probatorio, senza poterle escludere a priori solo perché non supportate da documenti, specialmente se la contestazione riguarda pagamenti in contanti.

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Pubblicato il 21 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Dichiarazioni di terzi: prova indiziaria valida anche senza documenti

Nel processo tributario, la lotta all’evasione si combatte spesso sul campo delle prove. Ma cosa succede quando l’unica prova di un pagamento in nero è la parola di una persona? Le dichiarazioni di terzi, raccolte durante le indagini fiscali, possono essere sufficienti per fondare un accertamento? Con la recente ordinanza n. 21249/2025, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: tali dichiarazioni hanno pieno valore di prova indiziaria e il giudice non può scartarle a priori solo perché mancano riscontri documentali.

I Fatti di Causa

Il caso nasce da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti degli eredi di un professionista defunto. L’atto impositivo si basava sui risultati di indagini bancarie condotte dalla Guardia di Finanza, che avevano evidenziato due tipi di presunte irregolarità relative all’anno 2011:
1. Redditi da lavoro autonomo non dichiarati: si trattava di compensi che, secondo l’Ufficio, erano stati corrisposti ‘in nero’ da una società cliente.
2. Operazioni di accredito su conti correnti: ulteriori importi versati sui conti del professionista, ritenuti dall’Amministrazione Finanziaria privi di giustificazione e quindi assimilati a maggior reddito.

Gli eredi impugnavano l’accertamento, ottenendo un parziale accoglimento sia in primo che in secondo grado. In particolare, la Corte di Giustizia Tributaria regionale aveva annullato le riprese fiscali relative ai presunti compensi in nero, ritenendo non sufficientemente provata la tesi dell’Agenzia.

La decisione dei giudici di merito e le dichiarazioni di terzi

Il punto cruciale della controversia, che ha portato l’Agenzia delle Entrate a ricorrere in Cassazione, riguardava proprio la valutazione delle prove a sostegno dei compensi non dichiarati. L’Ufficio aveva basato la sua pretesa sulle dichiarazioni rese alla Guardia di Finanza dal fratello del legale rappresentante della società cliente, il quale aveva affermato che nel 2011 erano stati corrisposti al professionista 14.000 euro in contanti.

La Corte regionale aveva svalutato completamente queste dichiarazioni, considerandole inutilizzabili ai fini della decisione. Il motivo? La mancanza di riscontri documentali, come fotocopie di assegni o matrici, e la provenienza della dichiarazione da un soggetto legato al rappresentante legale della società pagatrice. In sostanza, per i giudici di merito, senza una ‘pezza d’appoggio’ cartacea, la testimonianza non aveva valore.

L’Analisi della Cassazione

La Suprema Corte ha ribaltato completamente questa impostazione, accogliendo il motivo di ricorso dell’Agenzia delle Entrate e chiarendo il corretto approccio alla valutazione delle dichiarazioni di terzi nel processo tributario.

La Prova Contraria sui Versamenti Bancari

Prima di affrontare il tema centrale, la Corte ha respinto il primo motivo di ricorso dell’Agenzia, relativo ai versamenti bancari. Su questo punto, i giudici di legittimità hanno confermato che la Corte di merito aveva agito correttamente, esaminando in modo analitico e specifico le prove fornite dagli eredi per giustificare la provenienza non imponibile di alcuni versamenti, distinguendo tra quelli per cui la prova era stata raggiunta e quelli per cui non lo era. Ciò dimostra che il contribuente può superare la presunzione legale di reddito legata ai versamenti bancari anche tramite presunzioni semplici, purché la sua difesa sia puntuale e non generica.

Il Valore Probatorio delle Dichiarazioni di Terzi

Sul secondo e decisivo motivo, la Cassazione è stata netta. Richiamando un orientamento ormai consolidato, ha affermato che le dichiarazioni extraprocessuali di terzi sono pienamente ammissibili nel processo tributario e costituiscono elementi indiziari utilizzabili sia dall’Amministrazione Finanziaria sia dal contribuente. Il giudice di merito non può quindi ignorarle o scartarle a priori.

le motivazioni
Il ragionamento della Corte si fonda su principi logici e giuridici stringenti. In primo luogo, la decisione dei giudici di appello è stata giudicata ‘perplessa e criptica’ nel momento in cui ha svalutato la dichiarazione solo per il legame di parentela del dichiarante, senza un’analisi concreta della sua credibilità. Un legame familiare non è, di per sé, sufficiente a rendere una dichiarazione inattendibile.
In secondo luogo, e questo è il punto più rilevante, la Corte ha definito illogica la pretesa dei giudici di merito di avere riscontri documentali (come assegni o matrici) a fronte di una contestazione che riguardava pagamenti ‘in nero’, ovvero in contanti. È evidente che pagamenti di questo tipo, per loro natura, non lasciano tracce documentali tracciabili. Pretendere una prova del genere significa negare a priori la possibilità di provare l’evasione compiuta con tali modalità.
Il giudice di merito, pertanto, ha il dovere di valutare l’attendibilità oggettiva e soggettiva delle dichiarazioni nel contesto complessivo degli atti di causa. Deve verificare se esistono elementi che ne minano la credibilità, ma non può esigere una prova documentale la cui assenza è connaturata al tipo di illecito contestato. In sostanza, è mancata una valutazione d’insieme del compendio istruttorio.

le conclusioni
La Corte ha accolto il secondo motivo di ricorso, cassato la sentenza impugnata e rinviato la causa alla Corte di Giustizia Tributaria regionale in diversa composizione. Quest’ultima dovrà riesaminare la questione attenendosi ai principi espressi dalla Cassazione: le dichiarazioni del terzo dovranno essere attentamente vagliate nella loro attendibilità, senza essere escluse per la sola mancanza di prove documentali. Questa ordinanza rafforza gli strumenti a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per accertare i redditi non dichiarati, confermando che anche un singolo indizio, se grave e preciso, come può essere una dichiarazione di un terzo, è sufficiente a fondare una presunzione di maggior reddito. Per i contribuenti, ciò significa che la difesa non può limitarsi a negare, ma deve attivamente fornire elementi che possano minare la credibilità delle accuse mosse dall’Ufficio.

Le dichiarazioni rese da terzi alla Guardia di Finanza possono essere usate come prova in un processo tributario?
Sì, secondo la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, le dichiarazioni extraprocessuali di terzi sono ammissibili nel processo tributario e hanno valore di elementi indiziari utilizzabili sia dall’Amministrazione Finanziaria sia dal contribuente.

Per essere valide, le dichiarazioni di terzi devono sempre essere accompagnate da prove documentali come assegni o bonifici?
No. La Corte ha chiarito che non è necessario un riscontro documentale, specialmente quando la contestazione riguarda presunti pagamenti in contanti (‘in nero’), la cui natura non tracciabile esclude la possibilità di fornire tali prove. Pretendere un riscontro documentale in questi casi sarebbe illogico.

Come deve comportarsi il giudice tributario di fronte a una dichiarazione di un terzo?
Il giudice di merito ha l’obbligo di valutare l’attendibilità e la credibilità del contenuto di tali dichiarazioni, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo. Non può limitarsi a negarne il valore probatorio in modo aprioristico, ma deve inserirle nel contesto probatorio complessivo e motivare adeguatamente il proprio convincimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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