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Dichiarazioni di terzi: la loro validità probatoria

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21183/2024, ha stabilito che le dichiarazioni di terzi, come quelle dei clienti di un professionista, costituiscono validi elementi indiziari in un accertamento fiscale, anche se non trovano riscontro diretto nella contabilità parallela (“in nero”) scoperta. La Corte ha chiarito che il giudice di merito deve valutare tali dichiarazioni nel complesso degli elementi raccolti dall’Amministrazione Finanziaria, senza poterle scartare a priori. La scoperta di una contabilità occulta, infatti, rafforza il quadro indiziario e non ne esaurisce la portata probatoria.

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Pubblicato il 8 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Dichiarazioni di terzi: la Cassazione ne conferma la piena validità probatoria

Le dichiarazioni di terzi raccolte durante un accertamento fiscale assumono un ruolo cruciale, specialmente quando emerge una contabilità occulta. Con la recente sentenza n. 21183 del 29 luglio 2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: tali dichiarazioni hanno piena dignità di prova indiziaria e devono essere valutate dal giudice, anche se non trovano riscontro puntuale nella contabilità ‘in nero’ del contribuente. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un avviso di accertamento per IRPEF, IRAP e IVA emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di un avvocato. L’accertamento si basava su due pilastri principali: il rinvenimento, presso lo studio del professionista, di alcune agende legali che costituivano una vera e propria contabilità parallela, dove venivano annotate entrate non fatturate. In secondo luogo, l’Agenzia aveva raccolto le dichiarazioni di alcuni clienti del professionista, i quali avevano confermato di aver versato somme di denaro in contanti, non documentate da fattura.

La Commissione Tributaria Regionale (CTR), pur riconoscendo la legittimità dell’accertamento basato sulla contabilità parallela, aveva parzialmente accolto l’appello del contribuente. In particolare, la CTR aveva ritenuto che le dichiarazioni dei clienti, non trovando un riscontro specifico nelle annotazioni delle agende scoperte, fossero prive di un ‘quid pluris’ e non potessero quindi assurgere al livello di prova.

La questione delle dichiarazioni di terzi in giudizio

L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la decisione della CTR dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione delle norme sull’accertamento e sulla prova presuntiva. Il punto centrale del ricorso era l’erronea svalutazione, da parte dei giudici di secondo grado, della valenza probatoria delle dichiarazioni di terzi. Secondo l’Agenzia, la CTR aveva sbagliato a considerarle irrilevanti solo perché non combaciavano con la contabilità occulta, senza valutarle nel contesto complessivo degli elementi raccolti.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado per un nuovo esame. I giudici di legittimità hanno innanzitutto ricordato che, sebbene nel processo tributario sia vietata la prova testimoniale formale, le dichiarazioni rese da terzi in fase di accertamento sono pienamente ammissibili e utilizzabili in giudizio.

Queste dichiarazioni, pur avendo valore di semplici elementi indiziari, possono concorrere a formare il convincimento del giudice se valutate unitamente ad altri elementi. La giurisprudenza in materia è consolidata nel ritenere che tali dichiarazioni, raccolte dall’Amministrazione finanziaria, costituiscono prove valide nel processo.

Il punto cruciale della decisione risiede nel rapporto tra la contabilità parallela e le dichiarazioni dei clienti. La Cassazione chiarisce che l’esistenza di una contabilità ‘in nero’ è di per sé un elemento indiziario gravissimo che legittima un accertamento analitico-induttivo. Tuttavia, ciò non significa che essa debba essere l’unica fonte di prova. L’Amministrazione può legittimamente fondare il proprio accertamento anche su ulteriori elementi, come appunto le dichiarazioni dei clienti.

L’errore della CTR, secondo la Suprema Corte, è stato quello di richiedere una corrispondenza diretta e necessaria tra le dichiarazioni e la contabilità parallela, finendo per svalutare le prime in assenza di tale riscontro. Al contrario, la CTR avrebbe dovuto valutare tutti gli elementi indiziari nel loro complesso – la contabilità occulta e le dichiarazioni dei terzi – per verificare se, insieme, costituissero una prova sufficiente a determinare l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa sentenza rafforza significativamente gli strumenti a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria nella lotta all’evasione. Si stabilisce che la scoperta di una contabilità parallela non esaurisce il materiale probatorio utilizzabile, ma, al contrario, crea un contesto di grave inattendibilità della contabilità ufficiale che valorizza ulteriormente altri indizi, come le dichiarazioni dei clienti. Per i contribuenti, ciò significa che la presenza di una contabilità occulta rende la loro posizione difensiva molto più difficile, poiché anche dichiarazioni di terzi, non necessariamente riscontrate in tale contabilità, possono essere utilizzate per ricostruire il reddito evaso. La decisione impone ai giudici di merito un’analisi complessiva e non atomistica degli indizi, valorizzando la coerenza logica del quadro probatorio presentato dal Fisco.

Qual è il valore probatorio delle dichiarazioni rese da terzi in un accertamento fiscale?
Secondo la Corte di Cassazione, le dichiarazioni di terzi raccolte dall’Amministrazione Finanziaria in fase di accertamento sono ammissibili nel processo tributario. Non costituiscono una prova piena come la testimonianza, ma hanno valore di elementi indiziari che, unitamente ad altri, possono formare il convincimento del giudice.

Per essere valide, le dichiarazioni dei clienti devono trovare riscontro nella contabilità parallela del contribuente?
No. La Corte ha chiarito che non è necessaria una corrispondenza diretta tra le dichiarazioni dei terzi e le annotazioni presenti nella contabilità ‘in nero’. Il giudice deve valutare tutti gli elementi nel loro complesso; la contabilità parallela e le dichiarazioni sono indizi distinti che possono rafforzarsi a vicenda, anche se non coincidono perfettamente.

La scoperta di una contabilità ‘in nero’ è sufficiente a fondare un accertamento?
Sì, la giurisprudenza consolidata afferma che l’accertamento analitico-induttivo può fondarsi anche solo sulla scoperta di una contabilità parallela. Tuttavia, ciò non impedisce all’Amministrazione Finanziaria di utilizzare ulteriori elementi indiziari, come le dichiarazioni dei clienti, per rafforzare la pretesa impositiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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