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Dichiarazioni di terzi: la loro validità come prova

Un’azienda contesta un accertamento fiscale per fatture inesistenti, basato su dichiarazioni di terzi. La Commissione Tributaria Regionale le riteneva inutilizzabili, ma la Cassazione ha ribaltato la decisione. Con l’ordinanza in esame, ha stabilito che le dichiarazioni di terzi, pur non essendo testimonianze, costituiscono validi elementi indiziari che il giudice deve valutare. Se gravi, precisi e concordanti, possono fondare l’accertamento e invertire l’onere della prova sul contribuente.

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Pubblicato il 3 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Dichiarazioni di terzi: quando fanno piena prova nel processo tributario?

Le dichiarazioni di terzi raccolte durante una verifica fiscale possono essere utilizzate come prova in un successivo processo tributario? Questa è una domanda cruciale, considerando il divieto di prova testimoniale che caratterizza questo ambito. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sulla questione, stabilendo principi chiari sul valore probatorio di tali elementi e sul loro corretto utilizzo da parte del giudice.

I Fatti del Caso

Una società in liquidazione riceveva un avviso di accertamento da parte dell’Amministrazione Finanziaria per l’anno d’imposta 2006. La contestazione riguardava costi per oltre 1,7 milioni di euro, ritenuti indeducibili perché derivanti da fatture per operazioni oggettivamente inesistenti emesse da un’altra società. L’accertamento si basava su un processo verbale di constatazione (PVC) della Guardia di Finanza, che a sua volta poggiava su dichiarazioni rese da terzi durante la fase di indagine.

La società impugnava l’atto impositivo e, dopo un primo esito sfavorevole, otteneva una vittoria parziale davanti alla Commissione Tributaria Regionale (CTR). I giudici d’appello, infatti, avevano ritenuto che le dichiarazioni raccolte in sede amministrativa fossero inutilizzabili nel processo, in quanto elementi meramente indiziari non sufficienti a costituire piena prova. Di conseguenza, riformavano la decisione di primo grado. L’Amministrazione Finanziaria, non condividendo questa interpretazione, proponeva ricorso per cassazione.

Il valore probatorio delle dichiarazioni di terzi

Il cuore della controversia verteva sull’interpretazione dell’art. 7 del D.Lgs. 546/1992, che vieta il giuramento e la prova testimoniale nel processo tributario. La CTR aveva applicato tale divieto in modo estensivo, escludendo a priori la validità delle dichiarazioni di terzi acquisite in fase di verifica. Secondo i giudici d’appello, tali elementi, essendo solo indiziari e raccolti unilateralmente, non potevano fondare un accertamento.

L’Amministrazione Finanziaria sosteneva invece una tesi opposta: tali dichiarazioni, pur non essendo testimonianze formali, costituiscono elementi di prova pienamente utilizzabili. Scartarle senza un’analisi del loro contenuto e della loro attendibilità rappresentava una violazione di legge e un errore di motivazione. Secondo l’Ufficio, questi elementi erano sufficienti a invertire l’onere della prova, spettando quindi al contribuente dimostrare l’effettività delle operazioni contestate.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, cassando con rinvio la sentenza della CTR. I giudici di legittimità hanno offerto una chiara disamina del valore delle dichiarazioni di terzi nel contenzioso tributario.

Il punto fondamentale della decisione risiede nella distinzione tra la prova testimoniale, vietata in giudizio, e le dichiarazioni extraprocessuali raccolte in fase di indagine. La Corte ha ribadito un principio consolidato: il divieto di cui all’art. 7 riguarda l’assunzione della prova testimoniale da parte del giudice tributario nel corso del processo, ma non impedisce la produzione e la valutazione di dichiarazioni rese da terzi in sede amministrativa.

Questi elementi, inseriti nel PVC, non sono prove piene, ma hanno natura di “elementi indiziari”. Tuttavia, il giudice non può scartarli a priori. Ha invece il dovere di valutarli nel merito, verificandone il contenuto intrinseco, l’attendibilità e la coerenza con altri elementi probatori. Se tali indizi risultano essere “gravi, precisi e concordanti”, ai sensi dell’art. 2729 del Codice Civile, possono assurgere al rango di prova presuntiva, pienamente idonea a fondare la pretesa fiscale.

In pratica, la Cassazione ha censurato l’operato della CTR per aver creato un sillogismo errato: siccome le dichiarazioni sono solo indiziarie, sono inutilizzabili. Al contrario, il giudice avrebbe dovuto analizzarle per stabilire se, nel caso concreto, fossero sufficientemente robuste da costituire una presunzione legale e, di conseguenza, spostare sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria.

Le conclusioni della Corte

L’ordinanza ha annullato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Sicilia per un nuovo esame. Il nuovo giudice dovrà attenersi al principio di diritto secondo cui le dichiarazioni di terzi acquisite in fase di accertamento sono pienamente utilizzabili come prova indiziaria. Dovrà quindi procedere a una valutazione concreta di tali elementi, insieme a tutte le altre risultanze processuali, per decidere sulla legittimità dell’avviso di accertamento. Questa decisione riafferma l’importanza degli elementi raccolti durante le verifiche fiscali e chiarisce che il divieto di testimonianza non può tradursi in un’immunità probatoria per il contribuente.

Le dichiarazioni rese da terzi alla Guardia di Finanza possono essere usate in un processo tributario?
Sì. La Cassazione ha chiarito che, sebbene non siano una prova testimoniale diretta, possono essere utilizzate come elementi indiziari. Non possono essere scartate a priori solo perché raccolte fuori dal processo.

Che valore probatorio hanno queste dichiarazioni di terzi?
Hanno valore di prova indiziaria. Se il loro contenuto è attendibile e supportato da altri elementi, possono costituire una presunzione grave, precisa e concordante, idonea a fondare l’accertamento fiscale e a invertire l’onere della prova a carico del contribuente.

Cosa significa che il divieto di prova testimoniale nel processo tributario non si applica a queste dichiarazioni?
Significa che il divieto impedisce al giudice tributario di ascoltare testimoni durante il processo, ma non gli vieta di utilizzare e valutare le dichiarazioni che terzi hanno già reso in sede di verifica amministrativa (ad esempio, alla Guardia di Finanza) e che sono state inserite negli atti del procedimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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