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Dichiarazioni di terzi: la Cassazione fa chiarezza

Una società di costruzioni ha contestato un avviso di accertamento per ricavi non contabilizzati derivanti da una permuta immobiliare, basato sulle dichiarazioni di terzi. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che tali dichiarazioni, se supportate da altri elementi di prova come le movimentazioni bancarie, costituiscono validi indizi e possono legittimamente fondare la pretesa fiscale.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Le Dichiarazioni di Terzi nell’Accertamento Fiscale: Valore e Limiti

L’accertamento fiscale basato su elementi esterni alla contabilità del contribuente rappresenta uno dei temi più dibattuti nel diritto tributario. In particolare, il valore probatorio delle dichiarazioni di terzi è spesso al centro delle controversie. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti, confermando come tali dichiarazioni, se adeguatamente supportate, possano legittimamente fondare una pretesa fiscale.

I Fatti del Caso: Una Permuta Immobiliare Sotto la Lente del Fisco

Una società edile riceveva un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate per l’omesso versamento di ritenute su utili distribuiti ai soci. Secondo l’Ufficio, tali utili derivavano da ricavi non contabilizzati, generati da una presunta sottofatturazione in un’operazione di permuta immobiliare.

Nello specifico, la società aveva ceduto un terreno in permuta per un valore dichiarato di 2 milioni di euro. Tuttavia, secondo la ricostruzione dell’Agenzia, basata sulle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società controparte, il valore reale della transazione era di 3,1 milioni di euro. La differenza di 1,1 milioni sarebbe stata corrisposta “in nero” tramite assegni intestati all’amministratore e ai soci della società contribuente.

La Commissione Tributaria Regionale aveva dato ragione all’Agenzia Fiscale, ritenendo che le dichiarazioni della controparte, supportate dalle movimentazioni bancarie, costituissero una prova sufficiente.

La Difesa del Contribuente e le Doglianze in Cassazione

La società contribuente ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, sollevando diverse obiezioni. In sintesi, la difesa sosteneva che:
* Le dichiarazioni di terzi non potevano avere natura confessoria nei confronti di altri soggetti.
* Le movimentazioni bancarie analizzate non riguardavano il conto corrente della società, ma conti personali di terzi (sebbene soci e amministratori), e gli importi non coincidevano perfettamente con la presunta evasione.
* L’Ufficio non aveva pienamente assolto al proprio onere probatorio, basando l’accertamento su elementi privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

In buona sostanza, il ricorrente cercava di smontare l’impianto probatorio dell’Agenzia, evidenziando una presunta carenza di collegamento diretto tra i fondi movimentati e l’attività della società.

L’Importanza delle Dichiarazioni di Terzi nel Processo Tributario

Il cuore della questione giuridica ruota attorno al valore che le dichiarazioni di terzi, raccolte durante la fase di verifica e trasfuse nel processo verbale di constatazione, possono assumere nel processo tributario. A differenza del processo civile, in quello tributario vige il divieto della prova testimoniale.

Tuttavia, la giurisprudenza costante, ribadita in questa ordinanza, chiarisce che le dichiarazioni di terzi non costituiscono una testimonianza in senso tecnico, ma assumono un valore indiziario. Esse sono elementi che, pur non essendo una prova piena, concorrono a formare il convincimento del giudice, specialmente se supportate da altri riscontri oggettivi.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso della società, confermando la validità dell’accertamento. I giudici hanno sottolineato diversi punti chiave:
1. Valore Indiziario Corroborato: Le dichiarazioni rese dalla controparte commerciale (l’amministratore dell’altra società coinvolta nella permuta) sono state considerate attendibili perché riscontrate da prove documentali, ovvero le indagini finanziarie che hanno tracciato il flusso di assegni verso i soci e l’amministratore della ricorrente.
2. Onere della Prova Contraria: A fronte di un quadro probatorio indiziario ben costruito dall’Amministrazione Finanziaria, spettava al contribuente fornire una prova contraria convincente. Nel caso di specie, i beneficiari degli assegni si erano limitati a definirli “prestiti personali”, senza fornire alcuna giustificazione plausibile o documentata, una difesa ritenuta troppo debole per superare gli indizi raccolti.
3. Inammissibilità del Riesame dei Fatti: La Corte ha ricordato che il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito. Le censure del ricorrente miravano, in realtà, a ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti e delle prove, un’attività preclusa alla Cassazione. La valutazione della credibilità delle dichiarazioni e della rilevanza dei riscontri è di competenza esclusiva del giudice di merito, il cui operato, se logicamente motivato, non è sindacabile in sede di legittimità.

La Corte ha quindi concluso che la Commissione Tributaria Regionale aveva correttamente valorizzato non solo le dichiarazioni, ma anche le risultanze bancarie, ritenendo che la parziale discrepanza tra gli importi non inficiasse la solidità complessiva del quadro probatorio offerto dall’Ufficio.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza consolida un principio fondamentale in materia di accertamento fiscale: le dichiarazioni di terzi, pur non essendo prove dirette, sono strumenti potentissimi nelle mani del Fisco. Se supportate da riscontri oggettivi, come documenti bancari o altre evidenze, possono formare un quadro indiziario grave, preciso e concordante, sufficiente a spostare l’onere della prova sul contribuente. Per quest’ultimo, non è sufficiente una mera negazione dei fatti, ma è necessaria la fornitura di una spiegazione alternativa, logica e documentata, per superare la presunzione di veridicità dell’accertamento. La sentenza ribadisce, infine, il ruolo cruciale delle indagini finanziarie come elemento di riscontro oggettivo delle dichiarazioni accusatorie.

Che valore probatorio hanno le dichiarazioni di terzi in un processo tributario?
Nel processo tributario, le dichiarazioni rese da un terzo, trasfuse nel processo verbale di constatazione, non costituiscono una prova testimoniale (vietata) ma hanno valore indiziario. Possono quindi concorrere a formare il convincimento del giudice se valutate unitamente ad altri elementi di prova.

È sufficiente la sola dichiarazione di un terzo per fondare un accertamento fiscale?
No, la Corte chiarisce che le dichiarazioni di terzi, da sole, non possono costituire l’unico fondamento della decisione. Devono essere supportate da altri elementi di riscontro oggettivo che ne confermino l’attendibilità, come in questo caso le risultanze degli accertamenti bancari.

Come può difendersi il contribuente da un accertamento basato su dichiarazioni di terzi?
Il contribuente può contestare la veridicità delle dichiarazioni e ha l’onere di fornire una prova contraria valida. Non basta una semplice negazione, ma è necessario fornire una giustificazione alternativa e plausibile dei fatti contestati, supportata da elementi di prova concreti. Può anche introdurre nel processo altre dichiarazioni scritte di terzi a proprio favore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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