Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20855 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20855 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22579/2020 R.G. proposto da NOME COGNOME e COGNOME elettivamente domiciliati in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. COGNOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avv. COGNOME COGNOMEricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-resistente- nonché nei confronti di
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore
-intimato- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA PUGLIA, SEZIONE STACCATA DI LECCE, n. 3022/2019 depositata il 14 novembre 2019
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 2 luglio 2025 dal Consigliere COGNOME NOME
FATTI DI CAUSA
Sulla scorta delle risultanze delle indagini bancarie condotte dalla Compagnia della Guardia di Finanza di Fasano, la Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate di Brindisi emetteva nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME nella qualità di eredi del defunto avv. NOME COGNOME, un avviso di accertamento relativo all’anno 2010 mediante il quale venivano recuperati a tassazione ai fini dell’IRPEF: (a)redditi di lavoro autonomo non dichiarati dal suddetto professionista, asseritamente costituiti dai compensi a lui corrisposti dalla cliente RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi, breviter, RAGIONE_SOCIALE ); (b)ulteriori importi riferibili a operazioni di accredito effettuate su conti correnti intestati al «de cuius» , ritenute dall’Ufficio prive di giustificazione.
Gli eredi COGNOME impugnavano separatamente tale avviso di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Brindisi, che con due distinte sentenze in pari data accoglieva in parte il loro ricorso, ritenendo non tassabili gli importi corrispondenti alle contestate movimentazioni bancarie.
La decisione veniva successivamente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sezione staccata di Lecce, che con sentenza n. 3022/2019 del 14 novembre 2019 rigettava gli appelli autonomamente spiegati dalle parti private.
Contro tale sentenza i soccombenti hanno proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi e notificato all’Agenzia delle Entrate e al Ministero dell’Economia e delle Finanze.
La prima si è limitata a depositare un mero , ai soli fini della partecipazione all’eventuale udienza di discussione.
Il secondo è, invece, rimasto intimato.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
In via pregiudiziale, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso spiegato dagli eredi COGNOME contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze, atteso che la legittimazione «ad causam» e «ad processum» nei giudizi tributari introdotti successivamente al 1° gennaio 2001, come quello che qui ci occupa, spetta unicamente alle agenzie fiscali previste dall’art. 57, comma 1, del D. Lgs. n. 300 del 1999, divenute operative a partire da quella data (cfr. Cass. Sez. Un. n. 3118/2006, Cass. n. 29183/2017, Cass. n. 5343/2024).
1.1 D’altronde, per quanto emerge «ex actis» , il prefato Ministero non ha preso parte ai pregressi gradi di giudizio.
1.2 Tanto premesso, con il primo motivo di ricorso sono denunciati: (a)la nullità dell’impugnata sentenza e dell’avviso di accertamento oggetto di causa per violazione o falsa applicazione degli artt. 39 e 42 del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 7 della L. n.212 del 2000, nonché per difetto di motivazione; (b)l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione fra le parti.
1.3 Si censura la sentenza d’appello per aver dichiarato la nullità dell’atto impositivo a causa della mancata allegazione dell’ivi richiamato processo verbale contenente le dichiarazioni apparentemente rese dall’amministratrice della RAGIONE_SOCIALE o dal fratello di lei, tale NOME COGNOME dalle quali l’Ufficio aveva ritenuto di poter trarre la prova dei pagamenti in contanti effettuati a più riprese dalla mentovata società in favore dell’avv. COGNOME, per un importo complessivo di 12.100 euro.
1.4 Viene, inoltre, posto in rilievo che l’Agenzia delle Entrate non aveva mai notificato al contribuente l’autorizzazione del Comandante regionale della Guardia di Finanza all’acquisizione dei documenti relativi alle movimentazioni del conto corrente bancario del «de cuius» .
Con il secondo motivo si lamentano: (a)la nullità della sentenza e dell’avviso di accertamento per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2727 c.c. e dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, nonché per ; (b)l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione fra le parti.
2.1 Si sostiene che avrebbe errato la CTR nel ritenere legittimo il recupero a tassazione della suindicata somma di 12.100 euro, sebbene la pretesa tributaria fosse sprovvista di idoneo supporto probatorio, fondandosi esclusivamente sulle dichiarazioni di un terzo, di dubbia attendibilità e prive di riscontro.
Con il terzo mezzo sono prospettati: (a)la violazione e la falsa applicazione dell’art. 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 2727 c.c.; (b)l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione fra le parti.
3.1 Si assume che la gravata decisione contrasta con il divieto di doppia presunzione.
3.2 Viene evidenziato, sul punto, che la somma di 12.100 euro: .
Con il quarto motivo vengono fatti valere: (a)la nullità della sentenza per difetto di motivazione, con conseguente violazione e falsa applicazione degli artt. 132 e 161, comma 1, c.p.c. e dell’art. 111 Cost.; (b)l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione fra le parti.
4.1 Si rimprovera al collegio d’appello di non aver affatto chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto .
Appare opportuno anteporre alla disamina dei singoli motivi un rilievo ad essi comune.
5.1 Le censure formulate in termini di omesso esame di fatti decisivi e controversi sono inammissibili per la preclusione da cd. «doppia conforme» di cui al combinato disposto dei commi 4 e 5 dell’art. 348 -ter c.p.c., applicabile «ratione temporis» , non avendo gli impugnanti dimostrato la diversità delle ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello (cfr. Cass. n. 26934/2023, Cass. n. 5947/2023, Cass. n. 26774/2016).
Fatta questa puntualizzazione, nell’ordine logico -giuridico si appalesa prioritario lo scrutinio del quarto motivo, con il quale è dedotto un vizio di nullità della sentenza.
6.1 Esso è infondato.
6.2 La CTR, per quel che qui ancora rileva, ha così giustificato la decisione assunta: – nessun concreto pregiudizio al diritto di difesa dei contribuenti era derivato dalla mancata allegazione all’avviso di accertamento del verbale delle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della COGNOME , cliente del defunto avv. COGNOME il cui contenuto essenziale era stato riportato nell’atto impositivo; – da tali dichiarazioni, puntuali e dettagliate, emergeva che al mentovato legale era stati corrisposti compensi «in più rate in determinati giorni» ; – non erano stati offerti elementi di prova contraria atti a confutare i rilievi dell’Amministrazione Finanziaria, risultando insufficienti ad escludere l’avvenuta percezione di somme da parte del professionista le due mail con le quali egli aveva richiesto alla cliente il pagamento delle proprie spettanze professionali.
6.3 Da quanto precede si ricava che la motivazione esiste sotto il profilo materiale e grafico, è perfettamente intelligibile e non si presenta affetta da palese illogicità o manifesta contraddittorietà. 6.4 Non appare, pertanto, configurabile, nel caso di specie, alcuna delle gravi anomalie motivazionali suscettibili di determinare la nullità della sentenza per inosservanza del cd. «minimo costituzionale» di cui all’art. 111, comma 6, della Carta fondamentale; né è più possibile denunciare in cassazione la mera insufficienza della motivazione a sèguito della modifica dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. disposta dall’art. 54, comma 1, lettera b), del D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012 (cfr. Cass. Sez. Un. nn. 8053-8054/2014).
Riprendendo la trattazione delle censure secondo l’ordine del ricorso, va a questo punto esaminato il primo motivo, il quale si appalesa in parte infondato e in parte inammissibile.
7.1 La Commissione regionale ha richiamato e fatto proprio quanto già rilevato dai primi giudici, ovvero che l’avviso di accertamento notificato agli eredi dell’avv. COGNOME riproduceva il contenuto essenziale delle dichiarazioni rese dal «terzo/cliente» , il quale aveva riferito di aver corrisposto a più riprese al defunto legale la complessiva somma di 12.100 euro.
7.2 Il collegio di secondo grado ha soggiunto che tali dichiarazioni riportavano le date e gli importi dei singoli versamenti effettuati e che tanto aveva consentito agli eredi del professionista di articolare una «dettagliata opposizione» .
7.3 Ciò posto, giova rammentare che, per stabile giurisprudenza di legittimità, l’Amministrazione Finanziaria non è tenuta ad allegare all’atto impositivo i documenti in esso richiamati, potendo limitarsi a riprodurne il contenuto essenziale, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 42, comma 2, ultimo periodo, del D.P.R. n. 600 del 1973 e ora anche dall’art. 7, comma 1, ultimo periodo, della L. n. 212 del 2000, tuttavia inapplicabile «ratione
temporis» (cfr. Cass. n. 8723/2025, Cass. n. 5113/2025, Cass. n. 4908/2025, Cass. n. 760/2025).
7.4 Al suenunciato principio si è uniformata la sentenza in scrutinio, onde va esclusa, «in parte qua» , la sussistenza del denunciato «error in iudicando» .
7.5 Inammissibile si appalesa, invece, la questione attinente all’eccepita omessa allegazione del provvedimento del Comandante regionale della Guardia di Finanza autorizzativo dello svolgimento di indagini bancarie, poichè di essa non viene fatta menzione nella sentenza impugnata, né i ricorrenti dimostrano di averla precedentemente sottoposta al vaglio dei giudici d’appello.
7.6 Soccorre, in termini concludenti, il fermo orientamento nomofilattico secondo cui, «qualora una questione giuridica -implicante un accertamento di fatto- non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa» (cfr. Cass. n. 3473/2025; id. , ex ceteris , Cass. n. 21480/2024, Cass. n. 34470/2023, Cass. n. 22254/2022).
Il secondo motivo è infondato.
8.1 Per consolidato indirizzo di questa Corte regolatrice, le dichiarazioni dei terzi raccolte da verificatori o finanzieri e inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione costituiscono informazioni acquisite nell’àmbito di indagini amministrative e sono, pertanto, pienamente utilizzabili come elementi indiziari per la formazione del convincimento del giudice (cfr. Cass. n. 20032/2011, Cass. n. 21812/2012, Cass. n.
9151/2025), al quale spetta il potere-dovere di valutare dette dichiarazioni nel contesto probatorio emergente dagli atti (Cass. n. 20028/2011, Cass. n. 21153/2015, Cass. n. 9903/2020, Cass. n. 25804/2021, Cass. n. 3254/2024).
8.2 È inoltre costante l’affermazione secondo cui l’Amministrazione Finanziaria può fondare la propria pretesa anche su un unico indizio, purchè grave e preciso, senza che si richieda un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale fra il fatto noto e quello ignoto, essendo sufficiente una connessione probabile fra fatti secondo regole di esperienza (cfr. Cass. n. 12646/2025, Cass. n. 1467/2025, Cass. n. 18060/2024, Cass. n. 17265/2024).
8.3 Nel caso in esame, la CTR ha reputato attendibili le dichiarazioni del terzo, in quanto precise e circostanziate, sottolineando che le stesse non risultavano smentite da eventuali elementi di segno contrario raccolti in corso di causa.
8.4 I giudici «a quibus» hanno, quindi, compiuto un apprezzamento complessivo del materiale probatorio, in linea con il surriferito insegnamento giurisprudenziale, ritenendo grave e preciso l’indizio addotto dall’Ufficio nel confronto con le altre risultanze processuali. 8.5 In proposito, occorre tener presente che, in tema di prova per presunzioni, la valutazione della ricorrenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729, comma 1, c.c. (l’ultimo dei quali deve ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi: cfr. Cass. n. 4514/2024, Cass. n. 24643/2021, Cass. n. 23737/2020, Cass. n. 31085/2019), nonchè dell’idoneità degli indizi considerati a fondare un’inferenza di tipo probabilistico riguardo ai fatti ignoti da provare, è attività riservata in via esclusiva al giudice di merito (cfr. Cass. n. 275/2025, Cass. n. 25259/2024, Cass. n. 7677/2020).
Il terzo motivo è infondato.
9.1 Come ripetutamente affermato da questa Corte, non esiste nel
sistema processuale un divieto di presunzione di secondo grado (cd. «praesumptio de praesumpto» ), giacchè esso non è riconducibile né agli artt. 2697 e 2729 c.c. né a qualsiasi altra norma, ben potendo il fatto (noto) accertato in via presuntiva costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea -in quanto a sua volta adeguataa fondare l’accertamento del fatto ignoto (cfr. Cass. n. 8298/2025, Cass. n. 14788/2024, Cass. n. 7145/2023).
9.2 Per il resto, nella parte in cui mira a contestare la valenza probatoria delle dichiarazioni del terzo raccolte dai finanzieri e poste a base della decisione, la doglianza è ripetitiva di quella articolata con il motivo precedente.
Per le ragioni illustrate, il ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle Entrate deve essere respinto.
Nulla va disposto in ordine alle spese processuali, non avendo l’Agenzia delle Entrate svolto attività difensiva in questa sede ed essendo il M.E.F. rimasto intimato.
Stante l’esito dell’impugnazione, viene resa nei confronti dei ricorrenti l’attestazione contemplata dall’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e lo rigetta nei riguardi dell’Agenzia delle Entrate.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la proposta impugnazione, a norma del comma 1bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione