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Dichiarazioni di terzi: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20855/2025, ha rigettato il ricorso degli eredi di un professionista contro un avviso di accertamento per redditi non dichiarati. Il caso verteva sull’utilizzo di dichiarazioni di terzi come prova. La Corte ha confermato che tali dichiarazioni, anche se non confermate, costituiscono validi elementi indiziari. Possono fondare un accertamento fiscale anche da sole, purché gravi, precise e concordanti. È stato inoltre ribadito che non vige nel nostro ordinamento un divieto assoluto di ‘doppia presunzione’.

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Pubblicato il 25 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Dichiarazioni di terzi: la Cassazione ne conferma il valore probatorio negli accertamenti fiscali

L’ordinanza n. 20855/2025 della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sul valore delle dichiarazioni di terzi nel contesto degli accertamenti fiscali. La Suprema Corte ha stabilito che tali dichiarazioni, raccolte durante le indagini amministrative, costituiscono elementi indiziari pienamente utilizzabili per fondare la pretesa del Fisco, anche se rappresentano l’unica prova a disposizione. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale cruciale per l’accertamento tributario basato su prove indirette.

Il caso: un accertamento basato sulle parole del cliente

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti degli eredi di un professionista. L’atto impositivo mirava a recuperare a tassazione, ai fini IRPEF, redditi di lavoro autonomo che si presumevano non dichiarati. La pretesa si fondava principalmente su due elementi: compensi che una società cliente avrebbe corrisposto ‘in nero’ al professionista e ulteriori importi derivanti da movimentazioni bancarie non giustificate.

Il contenzioso vedeva gli eredi impugnare l’atto. Le Commissioni Tributarie di primo e secondo grado accoglievano parzialmente le loro ragioni, annullando la ripresa a tassazione per le movimentazioni bancarie ma confermando quella relativa ai compensi professionali. Secondo i giudici di merito, le dichiarazioni rese dall’amministratrice della società cliente, che confermavano i pagamenti in contanti, erano sufficienti a provare l’esistenza del reddito non dichiarato. Gli eredi, ritenendo la decisione ingiusta, proponevano ricorso per Cassazione, lamentando, tra le altre cose, l’inattendibilità delle dichiarazioni di terzi e la violazione del divieto di ‘doppia presunzione’.

Il valore probatorio delle dichiarazioni di terzi

Il cuore della controversia ruotava attorno alla legittimità di un accertamento basato quasi esclusivamente sulle dichiarazioni di un soggetto terzo. I ricorrenti sostenevano che tali dichiarazioni, non supportate da altri riscontri, fossero insufficienti a fondare una pretesa tributaria. La Cassazione, tuttavia, ha rigettato questa tesi, allineandosi al suo consolidato orientamento.

Gli Ermellini hanno ribadito che le dichiarazioni di terzi, raccolte dai verificatori fiscali e inserite nel processo verbale di constatazione, costituiscono ‘informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative’. Come tali, sono pienamente utilizzabili come elementi indiziari per formare il convincimento del giudice. Il giudice ha il potere-dovere di valutarle nel contesto probatorio complessivo.

Inoltre, la Corte ha specificato che l’Amministrazione Finanziaria può basare la propria pretesa anche su un unico indizio, a condizione che questo sia ‘grave e preciso’. Non è richiesto un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale tra il fatto noto (la dichiarazione) e quello ignoto (l’evasione), essendo sufficiente una connessione probabile basata su regole di esperienza.

La questione della ‘doppia presunzione’

Un altro motivo di ricorso si concentrava sulla presunta violazione del divieto di praesumptio de praesumpto (doppia presunzione). I ricorrenti argomentavano che i giudici di merito avevano prima presunto la veridicità delle dichiarazioni del terzo e da questa presunzione ne avevano derivata un’altra, ovvero l’effettiva percezione del compenso da parte del professionista.

Anche su questo punto, la Cassazione ha respinto la doglianza. La Corte ha chiarito che nel sistema processuale italiano non esiste un divieto assoluto di presunzione di secondo grado. Un fatto noto, anche se accertato in via presuntiva, può legittimamente costituire la premessa per un’ulteriore presunzione, purché questa sia a sua volta adeguata e logicamente fondata a dimostrare il fatto ignoto.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso basandosi su un’analisi rigorosa dei principi che governano la prova nel processo tributario. In primo luogo, ha sottolineato che la motivazione della sentenza di appello era sufficiente e non manifestamente illogica, avendo chiarito le ragioni per cui le dichiarazioni del terzo erano state ritenute attendibili (in quanto ‘puntuali e dettagliate’) e perché le prove addotte dai contribuenti (due email) erano state considerate insufficienti a smentirle.

In secondo luogo, ha confermato il principio secondo cui l’Amministrazione Finanziaria non è tenuta ad allegare integralmente all’avviso di accertamento i documenti richiamati, essendo sufficiente riprodurne il ‘contenuto essenziale’ per garantire il diritto di difesa del contribuente. La questione relativa alla mancata notifica dell’autorizzazione alle indagini bancarie è stata invece dichiarata inammissibile, in quanto sollevata per la prima volta in sede di legittimità.

Infine, la decisione si fonda sul consolidato indirizzo giurisprudenziale che attribuisce pieno valore indiziario alle dichiarazioni di terzi, demandando al giudice di merito la valutazione sulla loro gravità e precisione. La Corte ha ritenuto che i giudici di merito avessero compiuto correttamente questo apprezzamento, ritenendo l’indizio fornito dall’Ufficio grave e preciso e non smentito da altre risultanze processuali.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame consolida principi fondamentali in materia di accertamento tributario. In sintesi:
1. Le dichiarazioni di terzi raccolte in fase di verifica fiscale sono una fonte di prova legittima, qualificabili come elementi indiziari.
2. Un accertamento può reggersi anche su un solo indizio, come una dichiarazione di un terzo, purché il giudice lo ritenga grave e preciso.
3. Non esiste un divieto assoluto di ‘doppia presunzione’ nel processo tributario.
4. Il diritto di difesa del contribuente è garantito se l’atto impositivo riporta il contenuto essenziale dei documenti su cui si fonda, anche senza allegarli integralmente.

Questa pronuncia ribadisce la centralità del potere valutativo del giudice di merito nell’apprezzare la consistenza del quadro probatorio fornito dall’Amministrazione Finanziaria, confermando l’ampia flessibilità degli strumenti a disposizione del Fisco per contrastare l’evasione.

Una dichiarazione di un terzo può essere sufficiente per fondare un accertamento fiscale?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, l’Amministrazione Finanziaria può fondare la propria pretesa anche su un unico indizio, come una dichiarazione di un terzo, a condizione che questo sia ritenuto dal giudice grave e preciso. Non è necessario che ci siano altri elementi di prova a supporto.

L’Agenzia delle Entrate è obbligata ad allegare all’avviso di accertamento tutti i documenti che menziona, come i verbali con le dichiarazioni di terzi?
No. L’Amministrazione Finanziaria non è tenuta ad allegare i documenti richiamati nell’atto impositivo. È sufficiente che ne riproduca il contenuto essenziale, in modo da permettere al contribuente di comprendere le accuse e di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa.

Nel processo tributario è ammessa la cosiddetta ‘doppia presunzione’?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che nel sistema processuale non esiste un divieto di presunzione di secondo grado (cd. ‘praesumptio de praesumpto’). Pertanto, un fatto accertato in via presuntiva può validamente costituire la premessa per dedurre, con un’ulteriore presunzione, un altro fatto ignoto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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