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Dichiarazioni di intenti: la diligenza del fornitore

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando che un fornitore non è responsabile per la falsità delle dichiarazioni di intenti del cliente se dimostra di aver agito con adeguata diligenza. Nel caso di specie, l’aver effettuato controlli e interrotto le forniture non imponibili alla scoperta di irregolarità (mancato deposito del bilancio da parte del cliente) è stato ritenuto sufficiente a escludere il coinvolgimento nella frode, validando la decisione della Commissione Tributaria Regionale.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Dichiarazioni di Intenti: Quando la Diligenza Salva dalla Frode IVA

L’obbligo di diligenza per i fornitori che operano con esportatori abituali è un tema cruciale nel diritto tributario. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 9523/2024) chiarisce i confini della responsabilità del fornitore in caso di false dichiarazioni di intenti. La pronuncia sottolinea come controlli preventivi adeguati e un comportamento prudente possano escludere il coinvolgimento del cedente in una frode IVA, anche quando il cliente si riveli inaffidabile. Analizziamo i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore della distribuzione riceveva un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate per l’anno d’imposta 2013. L’Ufficio contestava la mancata applicazione dell’IVA su vendite effettuate a un’altra società, la quale aveva presentato una dichiarazione d’intento per essere considerata esportatrice abituale. Secondo l’Amministrazione Finanziaria, tale dichiarazione era falsa e il fornitore non aveva eseguito i controlli doverosi per verificare la veridicità dello status del cliente.

La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) dava ragione all’Ufficio. La società fornitrice, tuttavia, impugnava la decisione davanti alla Commissione Tributaria Regionale (CTR), la quale ribaltava la sentenza di primo grado. I giudici d’appello ritenevano che le procedure di controllo messe in atto dalla società fossero state idonee e sufficienti a escludere una sua partecipazione, anche solo a titolo di colpa, alla frode perpetrata dalla società acquirente.

L’Appello e il ruolo delle dichiarazioni di intenti

L’Agenzia delle Entrate non si arrendeva e ricorreva per Cassazione, basando il suo appello su due motivi principali. In primo luogo, lamentava la violazione dell’art. 8 del d.P.R. 633/72, sostenendo che la CTR avesse erroneamente giudicato adeguati i controlli del fornitore. L’Agenzia evidenziava diversi campanelli d’allarme, come il fatto che la società cliente fosse una s.r.l. con socio unico, con un modesto patrimonio e priva di dipendenti e beni strumentali. A suo avviso, questi elementi avrebbero dovuto indurre a una maggiore cautela.

In secondo luogo, l’Amministrazione denunciava l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, essenzialmente riproponendo gli stessi elementi fattuali del primo motivo. L’obiettivo era dimostrare che la valutazione della CTR era stata superficiale e non aveva tenuto conto di tutti gli indizi di una possibile frode.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili entrambi i motivi di ricorso, confermando la sentenza della CTR. I giudici di legittimità hanno chiarito che il ricorso dell’Agenzia mirava, in realtà, a un riesame del merito della vicenda, un’attività preclusa in sede di Cassazione. La Corte ha spiegato che la CTR aveva già preso in esame tutti gli elementi segnalati dall’Ufficio (struttura societaria, patrimonio, etc.) e li aveva valutati nel contesto complessivo.

Il punto cruciale della decisione risiede nel concetto di “adeguata prudenza”. La CTR aveva dato ampio peso al fatto che la società fornitrice avesse posto in essere una serie di controlli preventivi. Ma l’elemento decisivo è stato un altro: non appena la fornitrice si era accorta, nell’aprile del 2013, che la società cliente non aveva depositato il bilancio per l’esercizio 2012, aveva immediatamente cessato di emettere fatture non imponibili IVA nei suoi confronti. Questo comportamento, secondo la Corte, dimostrava una diligenza concreta e proattiva, sufficiente a escludere ogni forma di connivenza nella frode.

Le Conclusioni

La sentenza n. 9523/2024 offre un’importante lezione pratica per le imprese. La responsabilità del fornitore in caso di false dichiarazioni di intenti non è automatica, ma dipende da una valutazione dei fatti e del suo comportamento. Non basta fermarsi agli indici formali: è fondamentale dimostrare di aver adottato procedure di controllo efficaci e, soprattutto, di aver reagito prontamente di fronte a segnali di anomalia. L’interruzione delle forniture agevolate al primo dubbio concreto, come avvenuto nel caso di specie, si è rivelata la mossa vincente per dimostrare la propria buona fede e per essere scagionati da accuse di coinvolgimento in frodi fiscali.

Qual è l’obbligo principale di un fornitore che riceve una dichiarazione di intenti?
Il fornitore ha un obbligo di diligenza che consiste nell’effettuare controlli adeguati per verificare, nei limiti del possibile, la veridicità dello status di esportatore abituale del cliente e l’assenza di elementi che possano far sospettare una frode.

Un fornitore è sempre responsabile se la dichiarazione di intenti del cliente si rivela falsa?
No. La responsabilità del fornitore non è automatica. Se riesce a dimostrare di aver agito con adeguata prudenza e di aver adottato tutte le cautele esigibili, può essere esonerato da responsabilità, anche se la dichiarazione si rivela falsa.

Quale azione specifica ha dimostrato l’adeguata prudenza del fornitore in questo caso?
L’azione decisiva è stata l’immediata cessazione dell’emissione di fatture senza IVA non appena la società fornitrice ha scoperto che il cliente non aveva depositato il bilancio d’esercizio, un chiaro segnale di irregolarità. Questo comportamento proattivo è stato considerato prova di adeguata prudenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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