Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12898 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12898 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 14/05/2025
Tarsu Tia Tares Accertamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4134/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE (03629690615), in persona del suo legale rappresentante p.t. , già RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE; EMAIL;
-ricorrente –
contro
Comune di Canonica D’Adda ( P_IVA), in persona del suo Sindaco p.t. , con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE; EMAIL che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE; EMAIL;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 1181/25/2020, depositata il 22 giugno 2020, della Commissione tributaria regionale della Lombardia;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 27 marzo 2025, dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-Con sentenza n. 1181/25/2020, depositata il 22 giugno 2020, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE, così confermando la decisione di prime cure che, a sua volta, aveva disatteso l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso dallo Comune di Canonica D’Adda in relazione alla TARI dovuta dalla contribuente per l’anno 2014.
1.1 -A fondamento del decisum , il giudice del gravame ha considerato che:
svolgendo la contribuente «l’attività di produzione di imballaggi e contenitori in materie plastiche», i relativi rifiuti andavano qualificati come speciali non pericolosi tanto che il Comune aveva «assunto apposita delibera volta all’assimilazione della tipologia di rifiuti in oggetto a quelli urbani- come si evince dalla corrispondenza dei codici CER – assumendosi altresì il compito di svolgere il servizio di smaltimento»;
-non v’era prova che detto servizio non venisse svolto dal Comune né diversamente rilevava «la limitazione quantitativa contenuta nella delibera comunale 21/2013» in quanto la soglia di 100 kg (ivi prevista) andava riferita «agli apporti di rifiuti dei singoli conferimenti» senza «limiti al numero di conferimenti annui e dunque alla possibilità di provvedere alla raccolta dei rifiuti assimilati secondo le modalità stabilite dal comune»;
la contribuente non aveva assolto ai propri obblighi dichiarativi con riferimento alle superfici di produzione dei rifiuti speciali, ed a quelle stesse porzioni di superficie (in tesi) inagibili; né aveva dato prova di tanto per «l’anno in contestazione» ;
-doveva, pertanto, ritenersi che la superficie tassabile si identificava con «quella risultante dalla dichiarazione presentata dalla parte nell’anno 2010», posto poi che «non possono invece valere per il 2014 le dichiarazioni della parte e le valutazioni poste in essere dal Comune in anni successivi»;
andava, altresì, disattesa la richiesta di disapplicazione delle sanzioni, non sussistendo incertezza normativa obiettiva in quanto si verteva su «questioni di mero fatto»; né poteva trovare applicazione il cumulo giuridico tra violazioni afferenti a diversi periodi di imposta siccome la contestazione relativa all’anno 2013 riguardava « un tributo diverso e non è dunque cumulabile con quello riguardante la TARI, che nell’anno 2014 ha avuto il primo anno di applicazione».
–RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi illustrati con memoria; il Comune di Canonica D’Adda resiste con controricorso, ed anch’esso ha depositato memoria .
RAGIONI DELLA DECISIONE
-V a, in via pregiudiziale, disattesa l’eccezione di giudicato esterno sollevata in memoria dalla controricorrente (con riferimento alla sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 2799/2022, del 4 luglio 2022).
Le Sezioni Unite della Corte hanno rilevato che «Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e
risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo.»; nonchè che detta efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, «non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente.» (così Cass. Sez. U., 16 giugno 2006, n. 13916 cui adde , ex plurimis , Cass., 16 maggio 2019, n. 13152; Cass., 3 gennaio 2019, n. 37; Cass., 1 luglio 2015, n. 13498; Cass., 30 ottobre 2013, n. 24433; Cass., 29 luglio 2011, n. 16675; Cass., 22 aprile 2009, n. 9512; v. altresì, in tema di ICI, Cass., 19 gennaio 2018, n. 1300; Cass., 16 settembre 2011, n. 18923; Cass., 29 luglio 2011, n. 16675).
E (proprio) con riferimento alla disciplina dell’imposizione correlata alla produzione di rifiuti, la Corte ha ripetutamente statuito che l’accertamento relativo allo smaltimento in proprio dei rifiuti speciali -così come del resto la stessa produzione di detti rifiuti – integra elemento di fattispecie che non ha connotazione di durevolezza in quanto suscettibile di modifiche, e variazioni, dall’uno all’altro periodo di imposta (v., in tema di Tari, Cass., 7 luglio 2022, n. 21490; v. altresì, in tema di Tares, Cass., 15 novembre 2024, n. 29538; in tema di TARSU, Cass., 30 marzo 2023, n. n. 8990; Cass., 7 luglio 2022, n.
21555; Cass., 29 luglio 2021, n. 21680; Cass., 1 ottobre 2020, n. 20969; Cass., 12 dicembre 2019, n. 32741).
Per di più, va rimarcato, nella fattispecie pur viene in considerazione l’assolvimento dell’obbligo dichiarativo che la pronuncia passata in giudicato ha ritenuto non assolto per il periodo di imposta (2013) allora in contestazione; e l’assolvimento di detto obbligo -in quanto correlato all’iniziativa del contribuente ed alla stessa predeterminazione di un termine per il relativo svolgimento -non può che ascriversi -con le ricedute in iure che ne sono sottese – ad elemento di fattispecie variabile da periodo a periodo di imposta.
2. -Tanto premesso, col primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione di legge in relazione alla l. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 685 e ss., alla l. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 7 e 10, ed alla l. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 2 e 3, deducendo, in sintesi, che illegittimamente il giudice del gravame aveva ritenuto trattarsi di rifiuti assimilati secondo la deliberazione assunta al riguardo dall’Ente locale in quanto, secondo disposizioni poste dal d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 (tab 4), i rifiuti prodotti da essa esponente eccedevano i valori soglia (secondo il parametro Kd di cui alla tabella allegata, punto 4.4) determinati in funzione del rapporto tra quantità complessiva prodotta e superficie di produzione; ne conseguiva, pertanto, che (già) solo in relazione al dato quantitativo l’assimilazione non poteva ritenersi legittima.
2.1 -C ol secondo motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione di legge con riferimento alla l. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, commi 639 e ss., al d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, artt. 18 e 22, al d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, artt. 58 e 62, al d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, artt. 184 e ss., ed al regolamento comunale TARI, art.
8, assumendo che, nella fattispecie, venivano in considerazione rifiuti speciali non assimilabili quali rifiuti in ferro ed acciaio, rifiuti organici e di imballaggi terziari; quanto a quest’ ultimi risultando del tutto plausibile che -in ragione dell’attivi tà produttiva da essa esponente svolta -si formino rifiuti «’terziari’ costituiti da scarti di imballaggi ‘per il trasporto’» .
3. -I due motivi -che vanno congiuntamente esaminati siccome connessi, e che pur prospettano profili di inammissibilità -sono destituiti di fondamento, e vanno senz’altro disattesi .
Innanzitutto, va rimarcato, parte ricorrente non dà alcun conto -in esposizione dei fatti di causa – della proposizione, col ricorso introduttivo del giudizio, delle questioni di legittimità della delibera comunale di assimilazione; e, per vero, – così come deduce, e documenta, parte controricorrente -il profilo relativo al criterio quantitativo di assimilazione (di cui al primo motivo di ricorso) risulta introdotto (solo) con un motivo di appello, in violazione del divieto dei nova .
La Corte ha statuito che il divieto posto dal d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, – alla cui stregua, nel giudizio di appello, non possono proporsi «nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio» – riguarda le eccezioni in senso stretto, e non anche le eccezioni improprie o le mere difese, che sono sempre deducibili; e che per eccezioni in senso stretto debbono intendersi quelle attraverso le quali il contribuente fa valere, con i motivi di ricorso, un fatto giuridico avente efficacia modificativa, impeditiva od estintiva della pretesa fiscale, non potendo al contrario essere considerate tali – e non comportando pertanto il divieto di sollevare eccezioni nuove in appello, posto dall’art. 57, cit., – la deduzione, in grado di appello, di cosiddette eccezioni improprie, o mere difese, in quanto dirette a sollecitare il rilievo d’ufficio da parte del giudice della inesistenza dei fatti costitutivi
del diritto dedotto in giudizio, ovvero, specularmente, in quanto volte alla mera contestazione delle censure mosse dal contribuente all’atto impugnato – con il ricorso introduttivo – ed alle quali rimane quindi circoscritta la indagine rimessa al giudice (così Cass., 31 maggio 2016, n. 11223; Cass., 5 dicembre 2014, n. 25756; v. altresì, ex plurimis, Cass., 10 maggio 2019, n. 12467; Cass., 21 marzo 2019, n. 8073; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27562; Cass., 29 dicembre 2017, n. 31224; Cass., 22 settembre 2017, n. 22105).
C on l’ampliamento del thema decidendum in appello, veniva così in rilievo un’eccezione di nullità in quanto volta a mettere in discussione uno specifico profilo (il dato quantitativo) dell’atto generale (delibera di assimilazione) posto a fondamento dell’imposizione .
3.1 -In disparte che il d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 non reca alcuna specifica disposizione in tema di criteri di assimilazione, va, ad ogni modo, considerato che, sotto il velo della denuncia di violazione di legge, la parte finisce col devolvere al giudizio di legittimità un riesame delle conclusioni cui è pervenuto il giudice del merito al di fuori del sindacato riservato alla Corte (solo) in termini di denuncia di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti; né, del resto, risulta illustrata la stessa decisività delle circostanze di fatto dedotte risolvendosi il motivo in una (mera) riproposizione di argomenti difensivi senz’alcuna considerazione dell’accertamento in fatto condotto dal giudice del gravame .
Come, difatti, in più occasioni rimarcato dalla Corte, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla
tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione; il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi, – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (v. Cass., 27 luglio 2023, n. 22938; Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., 11 gennaio 2016, n. 195; Cass., 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. Sez. U., 5 maggio 2006, n. 10313; Cass., 11 agosto 2004, n. 15499).
E, come anticipato, nella fattispecie il giudice ha specificamente accertato che -in relazione all’attività svolta dalla contribuente («produzione di imballaggi e contenitori in materie plastiche») – i rifiuti prodotti andavano qualificati come speciali non pericolosi ed erano stati oggetto di assimilazione da parte del Comune aveva « … come si evince dalla corrispondenza dei codici CER».
3.2 – Per di più, va rimarcato, alcuna specifica censura viene proposta quanto al rilievo svolto dal giudice del gravame circa l’inosservanza degli obblighi dichiarativi gravanti sul contribuente con riferimento alle superfici di produzione dei rifiuti speciali, posto che «non possono … valere per il 2014 le dichiarazioni della parte e le valutazioni poste in essere dal Comune in anni successivi».
Difatti, la l. n. 147 del 2013, cit., nell’istituire la TARI – che, quale componente della IUC, è «destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, a carico dell’utilizzatore» (art. 1, comma 639), – ha riproposto una articolata disciplina degli obblighi di denuncia ed informazione posti a carico dei soggetti passivi del tributo (art. 1, commi 646, 684, 685 e 686) – disciplina già presente nel d.lgs.
n. 507 del 1993, art. 70 (in tema di TARSU) – con ciò ribadendo la cd. ultrattività della dichiarazione – alla cui stregua la dichiarazione «ha effetto anche per gli anni successivi sempreché non si verifichino modificazioni dei dati dichiarati da cui consegua un diverso ammontare del tributo; in tal caso, la dichiarazione va presentata entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui sono intervenute le predette modificazioni.» (art. 1, comma 685, cit.) – e, da ultimo, disponendo che «Per tutto quanto non previsto dalle disposizioni dei precedenti commi concernenti la IUC, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 1, commi da 161 a 170, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.».
E il rilievo svolto dal giudice del gravame è conforme ai principi di diritto espressi dalla Corte, in quanto si è rilevato che mentre il difetto della dichiarazione non può che essere sanato (solo) per il futuro -a riguardo, dunque, degli anni di imposta non ancora scaduti -(solo) l’avvenuta presentazione della dichiarazione ne legittima l’integrazione, in caso di contestazione, in via stragiudiziale ovvero anche in giudizio (Cass., 1 febbraio 2024, n. 2993; Cass., 13 aprile 2023, n. 9913; Cass., 23 maggio 2022, n. 16641).
4. – Il terzo motivo, sempre ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ripropone la denuncia di violazione di legge in relazione alla l. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 685 e ss., alla l. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 7 e 10, ed alla l. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 2 e 3, deducendo la ricorrente che il giudice del gravame non aveva considerato che -per come accertato dalla stessa amministrazione locale, in esito ad un sopralluogo -vi erano «ampie porzioni … destinate ad opificio in condizioni di inagibilità … di fatiscenza ed in cattivo stato di manutenzione e conservazione, vuote e non utilizzate», così che le stesse non potevano ritenersi idonee alla produzione di rifiuti in considerazione (anche) dei lavori di manutenzione e di ristrutturazione edilizia eseguiti da essa esponente;
né diversamente poteva rilevare l’inosservanza dell’obbligo dichiarativo che, per vero, era stato assolto (già) nell’ottobre 2014, nel primo semestre dell’anno 2015 e, ad ogni modo, concerneva dati che erano a conoscenza dello stesso Ente (in ragione di un sopralluogo eseguito il 15 dicembre 2014, e di una nota del 27 ottobre 2016).
4.1 -Nemmeno questo motivo può essere accolto.
Innanzitutto, va rimarcato, anche in relazione a detto motivo emerge questione che -come deduce, e documenta, il controricorrente -la parte ha proposto (solo) con l’atto di appello , così incorrendo nella violazione del divieto di nova come rilevato a riguardo del primo motivo di ricorso.
Va, peraltro, soggiunto che la inutilizzabilità di superfici detenute -quale ragione della loro detassazione -non può identificarsi col «cattivo stato di manutenzione e conservazione» che ex se non preclude lo svolgimento dell’attività cui le stesse superfici risultano destinate; così che -in disparte il rilievo in diritto della stessa conoscenza di una siffatta condizione -detta conoscenza non equivale a conoscenza della inutilizzabilità.
Va, poi, rilevato che lo stesso motivo di ricorso nemmeno prospetta che della dedotta inutilizzabilità si fosse dato conto con la dichiarazione di variazione (qual prescritta dalla l. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 685); e, come anticipato, il difetto della dichiarazione non può che essere sanato (solo) per il futuro.
5. -Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1quater ).
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese processuali che liquida in € 3.082,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il proposto ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 marzo 2025.