Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 28509 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 28509 Anno 2025
Presidente: LA COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13610/2016 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE):
-resistente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA PUGLIA n. 2601/2015 depositata il 04/12/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il contribuente NOME COGNOME proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento con cui l’ufficio aveva rettificato il reddito d’impresa per l’anno 2004, non avendo la parte privata presentato la dichiarazione dei redditi relativamente a detta annualità. Il contribuente sosteneva di essersi trovato nell’impossibilità
oggettiva di presentare la dichiarazione dei redditi in quanto in stato di latitanza dal 23 giugno 2004 e poi agli arresti dal 4 gennaio 2006 sino al 3 Dicembre 2007. Il COGNOME sosteneva, peraltro, di aver comunque presentato la dichiarazione dei redditi il 21 Aprile 2009, prima dell’avvio delle operazioni di accertamento, eccependo la nullità dell’atto impositivo in quanto non preceduto dall’invito a comparire.
La CTP di Foggia accoglieva il ricorso del contribuente.
La CTR della Puglia, dal canto suo, respingeva il successivo appello erariale.
L’Agenzia si affida ora a tre motivi di ricorso.
Resiste il contribuente con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso l’agenzia adduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, co. 5, D.Lgs. n. 472 del 1997, in combinato disposto con l’art. 1 d.P.R. n. 600 del 1973 e con l’art. 28 d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere la CTR erroneamente ricondotto alla scriminante della forza maggiore lo stato di latitanza prima e di detenzione poi del contribuente.
Il primo motivo è palesemente fondato.
La nozione di forza maggiore, quale causa di non punibilità di cui all’art. 6, comma 5, del D.Lgs. n. 472 del 1997, richiede la sussistenza di un elemento oggettivo, costituito da circostanze anormali ed estranee al contribuente, e di un elemento soggettivo, correlato al dovere dello stesso contribuente di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, mediante l’adozione di misure appropriate, pur senza incorrere in sacrifici eccessivi.
Questa Corte è chiara al riguardo: ‘ In materia tributaria e fiscale, la nozione di forza maggiore richiede la sussistenza di un elemento oggettivo, relativo alle circostanze anormali ed estranee all’operatore, e di un elemento soggettivo, costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze dell’evento
anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi, dovendo la sussistenza di tali elementi essere oggetto di idonea indagine da parte del giudice, sicché non ricorre in via automatica l’esimente in esame nel caso di mancato pagamento dovuto alla temporanea mancanza di liquidità ‘ (Cass. n. 39548 del 2021; v. in senso analogo Cass. n. 22153 del 2017). La forza maggiore è stata ancor di recente ricostruita da questa Corte alla stregua di situazione di ‘ impedimento oggettivo caratterizzato dalla non imputabilità (nel senso della indipendenza dalla volontà del contribuente), anche a titolo di colpa, inevitabilità ed imprevedibilità dell’evento ‘ (Cass. 3699 del 2025).
Il contribuente, nella specie, per un verso ha scelto la via latitanza, per altro verso non si è minimamente premunito rispetto all’impatto sulla propria capacità di manovra e rapidità d’azione della detenzione in carcere, che comunque è situazione tutt’altro che estranea ed avulsa rispetto al contribuente medesimo.
Con il secondo motivo di ricorso si assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, co. 2, d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 2, co. 7, d.P.R. n. 322 del 1998, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere il giudice regionale accolto il gravame della parte contribuente sul rilievo della sussistenza in tema di verifica fiscale di un generale obbligo di instaurazione del preventivo contraddittorio, ancorché fosse sufficiente la mera omissione della dichiarazione a legittimare l’amministrazione a ricostruire il volume d’affari dell’impresa con metodo induttivo servendosi di qualunque elemento probatorio e senza alcun obbligo di preventiva comunicazione di un invito a comparire.
Anche il secondo motivo è fondato.
Va innanzitutto evidenziato che, sebbene la CTR valorizzi la circostanza della ‘ avvenuta presentazione della dichiarazione dei redditi in oggetto … in ogni caso prima dell’inizio dei controlli posti in essere dall’ufficio’, è principio consolidato quello per cui la
dichiarazione fiscale presentata dal contribuente oltre il termine di 90 giorni dalla scadenza legale, ai sensi dell’art. 2, comma 7, del d.P.R. n. 322/1998, è giuridicamente equiparata alla dichiarazione omessa. Tale equiparazione comporta – e comportava nel caso di specie -l’applicazione dell’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600/1973, che consente all’Amministrazione finanziaria di procedere all’accertamento induttivo puro, avvalendosi di qualsiasi elemento probatorio, anche in deroga ai criteri ordinari di gravità, precisione e concordanza. La giurisprudenza di legittimità, d’altronde, ha chiarito che, in presenza di dichiarazione omessa e, per equiparazione, tardiva oltre i 90 giorni – l’Ufficio può determinare il reddito con metodo induttivo, utilizzando presunzioni semplici e non qualificate, con conseguente spostamento dell’onere della prova sul contribuente. In particolare, la Corte ha affermato che ‘ la dichiarazione fuori termine da parte del contribuente, essendo equiparata alla sua omessa presentazione, abilita l’Ufficio a servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo con metodo induttivo, utilizzando, in deroga alla regola generale, anche presunzioni semplici ‘ (Cass., sez. V , 24 febbraio 2017, n. 4785). È stato poi ribadito che ‘ nelle ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione da parte del contribuente, la legge abilita l’Ufficio delle imposte a servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo, utilizzando presunzioni semplici prive dei requisiti di cui all’art. 38, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, per cui incombe sul contribuente l’onere della prova contraria ‘ (Cass., sez. V, 22 marzo 2017, n. 7258). Anche in ambito IVA, la Corte ha riconosciuto che ‘ l’art. 55 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, consente all’Ufficio impositore, nel caso di mancata presentazione della dichiarazione annuale IVA, di determinare induttivamente l’ammontare imponibile sulla base dei dati e delle notizie
comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’Ufficio ‘ (Cass., sez. V, 22 gennaio 2014, n. 1240). Tali principi convergono nel riconoscere che, in caso di dichiarazione fiscale omessa – o tardiva oltre i 90 giorni -l’Amministrazione può procedere ad accertamento induttivo ‘puro’, fondato su elementi presuntivi non qualificati, e che il contribuente è tenuto a fornire prova contraria idonea a dimostrare l’insussistenza della pretesa tributaria.
Tanto premesso, la sentenza d’appello cozza con il quadro dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità anche nella parte in cui stigmatizza tout court ‘ la mancata dimostrazione dell’avvenuta notifica dell’invito al contraddittorio ‘.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, invero, ancor di recente affermato che ‘ In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali c.d. “a tavolino”, nella disciplina applicabile prima dell’entrata in vigore dell’art. 6 -bis della l. n. 212 del 2000 (introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. e, del d.lgs. n. 219 del 2023, a sua volta richiamato e interpretato ex artt. 7 e 7 -bis del d.l. n. 39 del 2024, convertito con modd. dalla l. n. 67 del 2024), l’obbligo di contraddittorio endoprocedimentale vige, quanto ai tributi cd. non armonizzati, solo se espressamente previsto, mentre ha valenza generalizzata per soli tributi cd. armonizzati, comportando la relativa violazione l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto gli elementi in fatto che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, fittizia o strumentale, tale essendo quella non idonea a determinare un risultato diverso del procedimento impositivo, secondo una valutazione probabilistica ex ante spettante al giudice di merito ‘ (Cass., Sez. Un., n. 21271 del 2025).
Giova evidenziare che il diritto nazionale, differentemente dal diritto dell’Unione europea, allo stato della legislazione non pone in capo all’Amministrazione fiscale, che si accinga ad adottare un
provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito. Al contrario, in tema di tributi armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e sempre che l’opposizione di dette ragioni, valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio, si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto (v. già Cass. n. 30211 del 2022). In buona sostanza, in tema di IVA in tanto è legittimo dolersi dell’omessa attivazione del contradditorio preventivo in quanto si prospetti come conseguibile un risultato diverso. Detta prospettazione è radicalmente mancata, il che rende la doglianza odierna di matrice solo formale, quindi non suscettibile di cogliere nel segno.
La cornice dei principi nomofilattici evidenzia che « l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e
non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito » (Cass., Sez. Un. n. 24823 del 2015; Cass. n. 11560 del 2018; Cass. n. 27421 del 2019)
Sotto quest’ultimo profilo, il contraddittorio endoprocedimentale è espressamente previsto dall’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, con valutazione di necessarietà ex ante e conseguente nullità dell’accertamento in caso di omissione, nella specifica ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività (Cass., 15 gennaio 2019, n. 701; Cass., 11 settembre 2019, n. 22644); e ciò vale anche per l’ipotesi di accessi cd. istantanei, ossia volti alla sola acquisizione della documentazione posta a fondamento dell’accertamento (Cass, 12 aprile 2019, n. 10388).
Nel caso di specie, come presupposto dalla stessa sentenza della Commissione tributaria regionale, la verifica nei confronti della società contribuente non è avvenuta con accesso in loco .
Con il terzo motivo di ricorso l’agenzia lamenta lo omesso esame di un fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., per avere la CTR trascurato di soffermarsi sul punto decisivo della controversia rappresentato dalla prova dell’avvenuta notifica dell’invito al contraddittorio, tralasciando di riscontrare la circostanza per la quale l’ufficio aveva allegato l’intervenuta notifica dell’invito a comparire, perfezionatasi per compiuta giacenza.
Il terzo motivo resta assorbito alla luce dell’accoglimento delle altre censure.
Il ricorso va, in ultima analisi, accolto con riferimento al primo e al secondo motivo, assorbito il terzo motivo. La sentenza d’appello conseguentemente dev’essere cassata e la causa rinviata per un
nuovo esame alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Puglia, la quale provvederà anche alla regolazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso. Dichiara assorbito il terzo motivo di ricorso. Cassa la sentenza d’appello e rinvia per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Puglia.
Così deciso in Roma, il 25/06/2025.
Il Presidente NOME COGNOME