Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9031 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9031 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12899/2022 R.G. proposto da : NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in NAPOLI INDIRIZZO COGNOME, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché contro
AGENZIA DELLE ENTRATE -RISCOSSIONE
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 8237/2021 depositata il 18/11/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/03/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 20 settembre 2018, il contribuente NOME COGNOME era destinatario di avviso di irregolarità, cui seguiva cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato ai sensi dell’art. 36 bis del D.P.R. n. 600/1973 sul Modello Unico 2016 per l’esposizione dei redditi relativi all’anno di imposta 2015.
In data 8 luglio 2019, in uno con l’impugnazione della cartella, il contribuente presentava dichiarazione integrativa a correzione -in diminuzione- dei redditi esposti, ma tale dichiarazione era ritenuta tardiva, perché avrebbe dovuto essere presentata entro la scadenza dell’esposizione dei redditi dell’anno successivo, nello specifico, entro il 2 ottobre 2017.
I gradi di merito erano sfavorevoli alla parte contribuente che, pertanto, ricorre avverso la sentenza d’appello rubricata in epigrafe, affidandosi a tre strumenti di impugnazione, cui replica l’Agenzia delle entrate, spiegando tempestivo controricorso.
CONSIDERATO
Vengono proposti tre motivi di ricorso.
1.1. Con il primo motivo si profila censura i sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile per violazione degli articoli 3, 53 e 97 della Costituzione della Repubblica italiana.
Nello specifico si lamenta che la sentenza in scrutinio abbia omesso di considerare che la dichiarazione a favore presentata dal contribuente per rimediare agli errori commessi nella compilazione della dichiarazione del 2016 sia valida ed efficace, ancorché presentata entro il termine di cui al novellato articolo 2 del DPR numero 322 del 1998. Si lamenta altresì che non possa essere negato al contribuente il diritto di correggere quanto erroneamente indicato nella dichiarazione dei redditi, attesa la sua natura di dichiarazione di scienza, emendabile e ritrattabile quindi anche in sede contenziosa.
1.2. Con il secondo motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile per violazione dell’articolo 2, comma 8 bis , del DPR numero 322 del 1998.
Nello specifico si lamenta non sia stato applicato il prefato articolo 2 nel testo novellato ai sensi del decreto-legge 193 del 2016, consentendo la rettifica delle dichiarazioni entro lo stesso termine di decadenza del potere impositivo.
1.3. Con il terzo motivo si profila censura ai sensi nell’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile per violazione del principio del favor rei di cui all’articolo 3 del decreto legislativo numero 472 del 1997.
Il primo motivo è inammissibile. Si lamenta violazione o falsa applicazione degli articoli 3, 53 e 97 della Costituzione per non aver considerato che la dichiarazione a rettifica dovesse essere considerata valida, anche se presentata nel termine di cui all’art. 2, comma 8 bis , del D.P.R. n. 322/1998.
Preme rilevare che la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma
di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (Cass. S.U. n. 25573/2020).
Neppure il secondo motivo può essere accolto. Si lamenta la mancata applicazione alla dichiarazione in rettifica del contribuente del più favorevole termine di cui all’art. 2, comma 8 bis , del D.P.R. n. 322/1998. Va ricordato che la dichiarazione a rettifica è stata presentata congiuntamente con il ricorso di impugnazione della cartella esattoriale in data 8 luglio 2019, per una dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2015 – esposta il 29 settembre 2016.
3.1. Sul punto questa Corte è già intervenuta, con orientamento consolidato, cui merita qui darsi continuità, non intravedendo ragioni per discostarsene. Ed infatti, in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi in danno del contribuente, la dichiarazione integrativa per la loro correzione va presentata, ai sensi dell’art. 2, comma 8 bis, d.P.R. n. 322 del 1998, non oltre il termine di presentazione di quella riguardante il periodo di imposta successivo, portando in compensazione il credito eventualmente risultante, mentre, in caso di avvenuto pagamento di somme maggiori rispetto a quelle dovute, il contribuente, indipendentemente dal rispetto del suddetto termine, può in ogni caso opporsi, in sede contenziosa, alla maggior pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria, senza però poter opporre in compensazione tali somme, e può chiederne il rimborso entro il termine di quarantotto mesi dal versamento, ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973 (così Cass. T., n. 15211/2023, ma vedi già Cass. V, n. 30151/2019).
Non può dunque la parte contribuente far valere una dichiarazione in rettifica presentata quasi due anni dopo la scadenza del termine, soprattutto avendo a disposizione lo strumento della richiesta di rimborso, laddove possa dimostrare di aver corrisposto somme maggiori rispetto a quelle dovute.
È ben vero che, con arresto delle Sezioni Unite n. 13378/2016, si è affermato che, a prescindere dalla tardività della dichiarazione integrativa, in giudizio il contribuente può sempre opporsi alla maggior pretesa tributaria dell’amministrazione , ma non è men vero che nel caso di specie – in appello- la parte contribuente ha insistito piuttosto solo per la non tardività della dichiarazione integrativa. Tanto, infatti, è stato espressamente accertato dalla sentenza qui impugnata, secondo cui l’unico motivo di doglianza del contribuente appellante atteneva alla tempestività della dichiarazione presentata per emendare gli errori contenuti nella precedente dichiarazione. Non essendo contrastata da parte ricorrente tale conclusione del giudice a quo , ne consegue pertanto che l’oggetto del giudizio in secondo grado verteva sulla tempestività o meno della dichiarazione integrativa, sulla quale infatti si è pronunciata la CTR, e non anche sulla fondatezza sostanziale, nel merito, della pretesa impositiva.
Infondato è altresì il terzo motivo, dove si assume violato il principio de favor rei , di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 472/1997, per cui va applicata la legge più favorevole fra quella in vigore al momento della violazione e quella posteriore.
4.1. Ed infatti, è stato riconosciuto che in tema di dichiarazione integrativa, la modifica dell’art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998, realizzata dall’art. 5 del d.l. n. 193 del 2016 (conv. dalla l. n. 225 del 2016), in virtù della quale la stessa può essere presentata entro il termine di decadenza dell’amministrazione dal proprio potere di accertamento, non ha efficacia retroattiva, non trattandosi di norma di interpretazione autentica, con la conseguenza che, per le fattispecie verificatesi anteriormente, tale termine si applica solo se la dichiarazione integrativa è volta ad evitare un danno per la Pubblica Amministrazione, mentre se è intesa ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, deve essere presentata entro il termine della dichiarazione per il
periodo di imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, ferma la facoltà per il contribuente di richiedere il rimborso entro il diverso termine previsto dalla legge (cfr. Cass. V, n. 17506/2019; cfr. altresì, Cass. T., n.23409/2024).
4.2. Peraltro, e per completezza espositiva, si consideri che (anche) secondo la disciplina vigente prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 193 del 2016, conv. dalla l. n. 225 del 2016, ove venga impugnata una cartella di pagamento conseguente a omesso pagamento di tributi risultanti dalla dichiarazione, il contribuente, che deduca di avere presentato dichiarazione integrativa, ma non anche l’insussistenza del debito di imposta per essere la dichiarazione originaria affetta da errori, deve presentare la dichiarazione integrativa entro il termine previsto per il deposito della dichiarazione del periodo di imposta successivo, secondo quanto disposto dall’art. 2, comma 2, del d.P.R. n. 322 del 1998, senza poter beneficiare della proroga del termine di cui al comma 7 del medesimo articolo, a mente del quale sono considerate valide le dichiarazioni presentate entro novanta giorni dalla scadenza del suddetto termine (cfr. Cass. V, n. 36704/2022). Ne consegue che, in ogni caso, la dichiarazione integrativa non può essere coeva all’impugnazione della cartella che viene emessa proprio quan do il termine per i controlli e le rettifiche è scaduto, residuando solo il rimedio del rimborso.
4.3. Più radicalmente, va premesso che il contribuente neppure deduce di aver proposto la medesima questione sull’assunta violazione del d.lgs. 472/97 nei gradi di merito ed infatti censura una ratio decidendi sul punto che nella sentenza impugnata non risulta. Peraltro, non si coglie univocamente il senso della censura, non trattando del trattamento sanzionatorio in sé, quanto sostenendo che la non retroattività del mutamento del termine introdotto dalla modifica dell’art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998, realizzata dall’art. 5 del d.l. n. 193 del 2016, violi il favor rei .
Infatti, afferma che il contribuente non può essere ‘sanzionato’ «con l’assoggettamento a tassazione…», per cui si lamenta l’imposizione, non specificamente le sanzioni.
Se così è, la censura è anche fuori fuoco, perché la disciplina del termine per la dichiarazione integrativa non è penalistico/sanzionatoria e comunque il contribuente, ove avesse voluto porre rimedio all’assoggettamento a tassazione nonostante l’asserito errore, avrebbe ben potuto coltivare anche in appello la censura al merito dell’accertamento o proporre domanda di rimborso, per cui l’ipotetica imposizione non dovuta neppure deriva necessariamente dall’irretroattività del mutamento dei termini per la dichiarazione integrativa.
In definitiva il ricorso è infondato e dev’essere rigettato. Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €. cinquemila seicento/00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il 20/03/2025.