Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24145 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24145 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 09/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20610/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , domiciliato ex lege in INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende -resistente- avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. della Lombardia n. 136/2021 depositata il 11/01/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.Emerge dalla sentenza impugnata e dagli atti di parte che con la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA venne richiesto alla RAGIONE_SOCIALE il pagamento di euro 251.878,43 per IVA ed IRES relative all’anno d’imposta 2013, oltre sanzioni ed interessi.
La cartella venne emessa a seguito di controllo automatizzato, effettuato ai sensi dell’art. 36 -bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, della dichiarazione presentata dalla società a mezzo del modello unico 2014 in data 29 dicembre 2014.
Successivamente, il 10 gennaio 2017, non essendo stati esposti nell’indicato modello i costi relativi ai ricavi in conseguenza del mancato deposito del bilancio pluriennale, la predetta società presentò una dichiarazione integrativa contenente variazioni in relazione all’Ires ed all’Iva dovuta.
3.La cartella venne impugnata ed il giudice di prime cure respinse il ricorso non potendo il contribuente emendare la dichiarazione oltre l’anno successivo dalla sua presentazione, nel rispetto del d.P.R. n. 322 del 1998 allora vigente.
4.La decisione venne impugnata e la C.T.R. respinse l’appello.
4.1. Nel dettaglio, dopo aver ricostruito la natura e la relativa disciplina RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni tributarie, il giudice di merito evidenziò che nella specie la dichiarazione integrativa era intervenuta successivamente alla comunicazione da parte dell’ RAGIONE_SOCIALE della irregolarità riscontrata.
Sicché ciò precludeva la possibilità di emendare i precedenti errori in ossequio a quanto statuito da questa Corte sul punto (ex multis Cass. n. 5398 del 2012).
6.La sentenza è impugnata dal contribuente con due motivi.
L’ A genzia resiste con controricorso. In prossimità dell’udienza è stata depositata memoria dalla ricorrente.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo si denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione degli artt. 111, 112, 131 e 132 c.p.c. per motivazione perplessa, contraddittoria, ‘ risultando sorretta da ratio decidendi secondo cui la dichiarazione fiscale non ha e pur contestualmente ha, anche in sede processuale, efficacia costitutiva del rapporto giuridico tributario ‘.
2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per violazione o falsa applicazione dell’art. 2, comma 8-bis del d.P.R. n. 322 del 1998 e dell’art. 53 della Cost. per aver ritenuto che il debito d’imposta recato dalla cartella ‘ sia stato originato dalla dichiarazione fiscale a mezzo NUMERO_DOCUMENTO unico 2014 e non dalla reale conformazione del rapporto giuridico tributario dedotto in giudizio’.
3.Il ricorso è infondato.
Il ricorrente non coglie, invero, la ratio della decisione la quale è conforme all’orientamento di questa Corte. Deve premettersi che in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di
“manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori RAGIONE_SOCIALE quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia.
Non sono così più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n. 7090 del 2022).
Nessuna RAGIONE_SOCIALE predette nullità della motivazione è ravvisabile nella specie.
Il giudice di merito, infatti, muove correttamente dai principi generali in tema di dichiarazioni tributaria per poi circoscriverne i limiti al necessario presupposto dell’assenza di una previa contestazione da parte dell’ RAGIONE_SOCIALE, così essendo chiaro il percorso argomentativo seguito ai fini della decisione.
4. Anche la seconda censura è infondata.
Invero, in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi in danno del contribuente, la dichiarazione integrativa intesa alla loro correzione deve essere presentata, ex art. 2, comma 8-bis, d.P.R. n. 322 del 1998, non oltre il termine di presentazione della dichiarazione riguardante il periodo di imposta successivo, portando in compensazione il credito eventualmente risultante, mentre, in caso
di avvenuto pagamento di maggiori somme rispetto a quelle dovute, il contribuente, indipendentemente dal rispetto del suddetto termine, può in ogni caso opporsi, in sede contenziosa, alla maggior pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria, senza però poter opporre in compensazione tali somme alle maggiori pretese di quest’ultima, e può chiederne il rimborso entro il termine di quarantotto mesi dal versamento, ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973 (Cass. 20/11/2019, n. 30151). Nella specie, la dichiarazione avrebbe potuto essere emendata non oltre il termine di presentazione della dichiarazione riguardante il periodo di imposta successivo. Ma l’emenda, a sua volta, presupponeva che nessuna contestazione fosse già stata notificata dall’RAGIONE_SOCIALE. In tal caso , infatti, questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di imposte sui redditi, costituisce causa ostativa alla presentazione della dichiarazione integrativa di cui all’art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998 la notifica della contestazione di una violazione commessa nella redazione di precedente dichiarazione, in quanto, se fosse possibile porre rimedio alle irregolarità anche dopo la contestazione RAGIONE_SOCIALE stesse (come rilevato da Corte Cost. n. 392 del 2002), la correzione si risolverebbe in un inammissibile strumento di elusione RAGIONE_SOCIALE sanzioni previste dal legislatore (da ultimo Cass. n. 11488 del 2024).
Ne consegue il rigetto del ricorso. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali che liquida in euro 5.800,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 28 giugno 2024