Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12978 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12978 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10017/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
nonché contro
AGENZIA DELLE ENTRATE-RISCOSSIONE
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA-NAPOLI n. 8282/2021 depositata il 22/11/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
In punto di fatto, dalla sentenza in epigrafe emerge quanto segue:
Con sentenza n. 5118/14/2019, depositata il 30 dicembre 2019, la Commissione Tributaria Provinciale di Salerno ha accolto il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso la cartella di pagamento , ritenendo decorso il termine di decadenza triennale del potere di riscossione.
L’Ufficio ha proposto appello deducendo che la cartella di pagamento è stata emessa a seguito del controllo automatizzato effettuato, ai sensi degli artt. 36 bis del DPR 600/73 e 54 del DPR 633/72, della dichiarazione integrativa dei redditi relativa all’anno di imposta 2014, modello Unico/2015, presentata in data 02/07/2016. Per cui, essendo stata notificata in data 30/05/2019, non sarebbe decorso di decadenza.
Costituitasi, la società ha ribadito la bontà della decisione impugnata, dovendosi riferire il termine di decadenza all’anno di imposta e non alla dichiarazione; ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità dell’appello, in quanto notificato via pec nonostante il non utilizzo della modalità telematica in primo grado ed in quanto privo di una valida procura; ed ha nuovamente riproposto tutte le questioni già sollevate in primo grado: .
La CTR della Campania, con la sentenza in epigrafe, accoglieva l’appello, sulla base, essenzialmente, della seguente motivazione:
Ciò precisato, quanto all’eccepita inammissibilità dell’appello in ragione delle “sopravvenute” modalità telematiche degli atti processuali (eccepita dalla società contribuente che, essa stessa, si è costituita in via telematica) è sufficiente ribadire come la facoltà (che dal 1° luglio 2019 è divenuta obbligo) di utilizzare lo strumento telematico non è in alcun modo preclusa né dal pregresso utilizzo delle modalità cartacee, né dalla circostanza che tale facoltà non sia stata scelta dalla controparte processuale.
Tanto considerato, appare opportuno rilevare come la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA impugnata dalla società in primo grado, sia stata emessa a seguito del controllo automatizzato effettuato, ai sensi degli artt. 36 bis del DPR 600/73 e 54-bis].
Nel merito, occorre ribadire come la cartella di pagamento notificata al contribuente risulta emessa ai sensi dell’art. 36 bis DPR 600/73, a seguito dei controlli automatizzati sulle dichiarazioni rese.
Il 5° comma dell’art. 6 della L. 212/2000, statuisce che . La lettera della norma è chiara nel richiedere, per il sorgere dell’obbligo dell’invito del contribuente, la sussistenza non solo di profili di incertezza ma anche di incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione. Deve pertanto affermarsi che, a norma della L n. 212 del 2000, art. 6, l’avviso, previa iscrizione a ruolo di un tributo dopo la liquidazione di una dichiarazione, deve essere inviato a pena di nullità nei soli casi in cui sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione e non anche se non risulti l’esistenza di incerte e rilevanti questioni interpretative. Non è specificamente contestato, infatti, che l’ufficio con l’atto impositivo controverso, ha soltanto richiesto che venisse corrisposta l’imposta esposta nel Modello Unico e non versata.
Sul punto si è pronunciata la Suprema Corte con sentenza n. 17936 del 2010. La pronuncia ha chiarito che il preavviso è previsto dalle norme citate solo per il caso in cui il controllo automatico della dichiarazione riveli “un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione”, ossia un errore del contribuente. Nel caso di specie, invece, l’Ufficio non era di fronte ad un risultato diverso da quello indicato in dichiarazione e, pertanto, s’è limitato a iscrivere a ruolo le somme che lo stesso contribuente aveva dichiarato ma non versato.
In effetti, sia il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3, in materia di tributi diretti, sia il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, comma
3, in materia di IVA, dispongono che debba essere data comunicazione al contribuente del risultato dei controlli automatici, solo quando tale risultato (di calcolo dell’imposta, come si evince dai due commi precedenti) e “diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione”: ipotesi di dichiarazione errata, distinta da quella, cui si riferisce il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 6, d’imposta regolarmente risultante dalla dichiarazione annuale, ma non versata; ragion per cui il richiamo a questo articolo, contenuto nel precedente art. 54 bis, è fatto “ai sensi e per gli effetti”, che vengono parificati (obbligo di comunicazione) quando la dichiarazione risulta erronea in sede di controllo automatico.
Fuori dal caso di risultato erroneo rivelato dal controllo automatico, nessun obbligo di comunicazione è previsto dalla legge per la liquidazione, eseguita con tale metodo, d’imposte, contributi, premi e rimborsi: ciò per l’evidente ragione che i dati contabili risultanti dalla liquidazione automatica “si considerano, a tutti gli effetti, come dichiarati dal contribuente” .
L’adempimento in questione è, infatti, una “comunicazione d’irregolarità”, come giustamente lo qualifica la stessa contribuente; mentre nessuna norma impone di comunicare la “regolarità” della dichiarazione.
Nel caso di specie, nulla l’ufficio aveva da comunicare, poiché non risulta che abbia contestato o rettificato in alcun modo la dichiarazione, a seguito di controlli automatici o di altro tipo.
Per conseguenza, mancando iri radice l’obbligo della comunicazione, è del tutto superfluo discettare degli effetti invalidanti che la relativa omissione determina (quando tale comunicazione sia invece doverosa) sull’atto amministrativo finale (iscrizione a ruolo ed emissione della cartella di pagamento).
Quanto all’eccepita usurarie degli interessi applicati, è sufficiente rilevare come la determinazione degli interessi moratori applicati dall’Ufficio sono determinati attraverso un atto normativa e non sono riferibili ad alcun finanziamento.
In conclusione, l’appello proposto dall’Ufficio deve essere integralmente accolto.
Propone la contribuente ricorso per cassazione con cinque motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso. ADER resta intimata.
Considerato che:
I primi due motivi, per parziale sovrapponibilità delle censure, possono essere esaminati congiuntamente.
Primo motivo: ‘ Violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto e, in particolare, degli artt. 25 comma 1 dpr 602/73- 36-bis del dpr 600/73 e 54-bis del dpr 633/73 – art. 1, comma 640, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 – in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.’.
2.1. ‘A sommesso avviso di chi scrive, il giudice di secondo grado ha erroneamente interpretato ciò che il legislatore ha inteso disporre con l’introduzione degli artt. 25 comma 1 dpr 602/73 – 36bis del dpr 600/73 e 54bis del dpr 633/72 . Nel caso di specie, trattandosi di dichiarazione relativa al periodo d’imposta 2014, i termini di cui sopra risultano inequivocabilmente decorsi, atteso che la dichiarazione dei redditi veniva depositata nel 2015, come attestato dalla stessa parte resistente’. ‘Il Giudice del gravame ritiene sic et simplicer la cartella notificata nei termini senza tuttavia fornire alcuna base logica e/o giuridica sottesa a tale apodittica dichiarazione e/o fare alcun riferimento alla dichiarazione integrativa, che sarebbe stata depositata dalla parte appellata in data 02.07.2016 e, soprattutto, alle assorbenti eccezioni sollevate dalla RAGIONE_SOCIALE Non può essere sottaciuto che, dall’esame della dichiarazione integrativa del 02.07.2016, depositata dalla controparte soltanto nel giudizio di appello in palese violazione dell’art. 345 c.p.c. – qualora si volesse dare per buono tale termine di decorrenza – non è dato comprendere né il contenuto né qualsivoglia attinenza e/o nesso etiologico con la dichiarazione dei redditi 2014, atteso che controparte ne ha depositato soltanto il frontespizio’. In caso di integrativa, ‘la riapertura dei termini di accertamento è limitata agli elementi oggetto di integrazione, non è riferita né generalizzata a tutti gli elementi della dichiarazione, per i quali il decorso del termine prescrizionale e/o di decadenza non subisce alcuna interruzione.
Pertanto, atteso che la cartella di pagamento non fa riferimento agli elementi oggetto della eccepita nota integrativa né controparte ne ha attestato la sussistenza, che peraltro non si evince dalla documentazione depositata, l’Ecc.mo Collegio non potrà che ritenere la presunta interruzione tamquam non esset’.
Secondo motivo: ‘ Violazione ed errata applicazione della seguente norme processuali: art. 345 c.p.c.-artt. 57 e 58 d.lgs. 546/92, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.’.
3.1. ‘Soltanto nel giudizio di secondo grado, l’Ufficio impugnava la sentenza eccependo quanto mai sostenuto prima, e cioè che il dies a quo andasse calcolato sulla base di un deposito di una dichiarazione integrativa a cui giammai era stato fatto riferimento alcuno nell’alveo del giudizio di prime cure! ‘.
I motivi sono, il primo, inammissibile e, il secondo, manifestamente infondato.
4.1. A fronte del chiarissimo, e di per sé incontestato, accertamento della CTR, che radica l’affermazione di tempestività della cartella alla presentazione della dichiarazione integrativa, in condivisione della documentazione legittimamente versata dalla parte pubblica in appello ex art. 58 D.Lgs. n. 546 del 1992 (senza alcun indebito allargamento del ‘thema decidendum’ come infondatamente sostenuto in entrambi i motivi, atteso che è la contribuente ad aver introdotto la questione della decadenza dell’A.F. per violazione del termine di rettifica), il primo motivo, in totale difetto di precisione e di autosufficienza, non trascrive né la dichiarazione originaria, né l’integrativa, né la cartella di pagamento; indi, non dimostra gli assunti -meramente locutori -secondo cui,
-da un lato, ‘non è dato comprendere né il contenuto né qualsivoglia attinenza e/o nesso etiologico con la dichiarazione dei redditi 2014’ (tenuto peraltro conto
che l’integrativa promana direttamente dalla contribuente, la quale pertanto ne conosce perfettamente il contenuto);
-dall’altro lato, ‘la cartella di pagamento non fa riferimento agli elementi oggetto della eccepita nota integrativa’.
Terzo motivo: ‘Violazione ed errata applicazione della seguente norm processual: dm 163 del 2013 n relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.’.
5.1. Illegittimamente ‘Il Giudice di seconde cure ha ritenuto ammissibile l’appello proposto dall’Ufficio notificato a mezzo posta elettronica certificata, nonostante il giudizio fosse stato introdotto con modalità cartacea’.
5.2. Il motivo è infondato.
Cass. n. 25713 del 2019 – in un caso in cui ‘la Commissione tributaria regionale dichiarava inammissibile l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva accolto il ricorso proposto da sserva che, essendo stato il ricorso in primo grado notificato prima dell’entrata in vigore del processo tributario telematico, la notifica dell’appello a mezzo di posta elettronica certificata (Pec) era inesistente in quanto difforme dal modello legale, considerando, in particolare, che l’art. 2, comma 3, del d.m. n. 163 del 2013 prevedeva che dovessero utilizzarsi in primo grado ed in appello le stesse modalità di notifica’ – così condivisibilmente motiva:
Secondo l’orientamento espresso da questa Corte, in tema di contenzioso tributario, ai sensi dell’art. 16 bis, comma 3, d.lgs. n. 546/1992, che richiama il d.m. 23 dicembre 2013 n. 163, le notifiche tramite Pec degli atti del processo tributario sono previste in via sperimentale solo a decorrere dal 1 0dicembre 2015 ed esclusivamente dinanzi alle commissioni tributarie della Toscana e dell’Umbria, come precisato dall’art. 16 d.m. 4 agosto 2015 (Cass. n. 17941 del 2016). Successivamente, con d.m. 14 dicembre 2016, il processo tributario
telematico è entrato in vigore nelle altre regioni secondo varie cadenze; per quanto concerne il Lazio, a decorrere dal 15 aprile 2017.
Nella specie, alla stregua del principio tempus regit actum, le modalità telematiche di notifica trovano applicazione ai singoli atti compiuti a decorrere dal 15 aprile 2017, anche se il processo è iniziato prima di tale data; pertanto, l’appello proposto a mezzo Pec il 19 luglio 2017 dall’Agenzia delle entrate dinanzi alla CTR del Lazio risulta ritualmente notificato, nella vigenza del processo tributario telematico.
Inconferente si palesa, poi, il richiamo contenuto nella sentenza impugnata, all’art. 2, comma 3, del d.m. n. 163 del 2013, in base al quale «La parte che abbia utilizzato in primo grado le modalità telematiche di cui al presente regolamento è tenuta ad utilizzare le medesime modalità per l’intero grado del giudizio nonché per l’appello, salvo sostituzione del difensore», disposizione dalla quale la CTR evince il principio secondo cui le modalità utilizzate nel giudizio di primo grado devono essere adottate in tutti i gradi di giudizio, traendone la conseguenza che, avendo il contribuente notificato il ricorso di primo grado secondo le modalità tradizionali, in appello è preclusa la possibilità di avvalersi della notifica a mezzo Pec.
L’interpretazione della norma compiuta dal giudice di appello, invero, non si attaglia alla fattispecie in esame, posto che la disposizione si riferisce alla parte che abbia utilizzato in primo grado le modalità telematiche e che abbia successivamente proposto appello, mentre, nella specie, si verte nella diversa ipotesi in cui il ricorso di primo grado è stato notificato secondo le modalità tradizionali e l’appello è stato proposto non dalla parte che ha introdotto il giudizio, ma dalla parte soccombente.
Non v’è ragione di discostarsi da tale insegnamento,
Gli ultimi due motivi, per parziale sovrapponibilità delle censure, possono essere esaminati congiuntamente.
Quarto motivo: ‘ Violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto e, in particolare, degli artt. 36-bis del dpr 600/73 e 54-bis del dpr 633/72 in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.’.
7.1. ‘ Il Giudice di seconde cure avrebbe dovuto annullare la cartella anche per l’inammissibilità della procedura di controllo automatizzato effettuata dall’Ufficio’. ‘Quando la cartella di pagamento costituisce il primo atto in cui si estrinseca la pretesa erariale non è sufficiente che l’Agente per la riscossione si limiti a
indicare il dettaglio dell’addebito poiché è necessario che la cartella indichi i motivi della pretesa ‘in modo congruo, sufficiente e intellegibile’. ‘Il Giudice di seconde cure avrebbe dovuto quanto meno che la cartella di pagamento andasse annullata anche per violazione dell’art. 36 bis, comma 3, atteso che è stato documentato che non risulta inviata al contribuente alcuna comunicazione di irregolarità’.
Quinto motivo: ‘Violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto e, in particolare, degli artt. 7, l. n. 212/2000 (cd. statuto del contribuente) – 3, l. n. 241/1990 e 20 dpr n.602/1973 – in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.’.
8.1. ‘Si censura la sentenza impugnata in quanto il Giudice Tributario di secondo grado non ha nemmeno valutato l’eccezione sollevata dalla ricorrente in ordine alla violazione del cd. contenuto minimo della cartella di pagamento e della violazione del diritto di difesa del contribuente’. Esso avrebbe dovuto rilevare che la cartella ‘impedisce di individuare il titolo sostanziale della pretesa: non viene specificato in alcun modo il motivo ed il substratum quantitativo circa l’omesso e il carente versamento IVA ed IRES contestato’. ‘Tali eccezioni devono necessariamente coordinarsi con le censure di cui al capo ‘4’ del presente ricorso, atteso che il contribuente, nel caso di specie, oltre a non aver ricevuto l’invito al contraddittorio, attraverso la procedura di controllo formale non ha nemmeno ricevuto un avviso di ricevimento, nonostante l’ingenza degli importi richiesti (oltre € 90 mila)!’.
I motivi, oltreché inammissibili, sono manifestamente infondati.
9.1. La ragione dell’inammissibilità risiede in ciò che, come già rilevato, non trascrivono la cartella, così impedendo ‘ab origine’ alcuna delibazione delle censure in punto di presunto difetto di motivazione della medesima: ciò, peraltro, fermo restando che la
stessa contribuente rende conto di un’effettiva idoneità motivazionale di questa (senza comunque specificarne mancanze atte a pregiudicarne il diritto di difesa) allorquando, nell”incipit’ del ricorso, scrive che, ‘c on la cartella di pagamento n. 100.2019.00130036.44.000, notificata il 30.05.2019, relativa al presunto mancato pagamento della IRES ed IVA anno 2014 RUOLO n. 2019/250191, a seguito di controllo automatizzato effettuato ai sensi dell’art. 36bis DPR 600/73 e/o dell’art.54bis DPR 633/1972, l’Ufficio intimava alla RAGIONE_SOCIALE il pagamento dell’importo complessivo pari ad euro 90.813,33, compresi di sanzioni e interessi’.
Il quarto motivo, poi, più in particolare, è manifestamente infondato perché -non minimamente confrontandosi con la perentoria affermazione della CTR secondo cui ‘n on è specificamente contestato, infatti, che l’ufficio con l’atto impositivo controverso, ha soltanto richiesto che venisse corrisposta l’imposta esposta nel Modello Unico e non versata’: affermazione rimasta incontestata in fatto -pretermette il granitico insegnamento di questa S.C. inteso a sostenere che ‘l’art. 6, comma 5, della l. n. 212 del 2000 non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, ma solo quando sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione quest’ultima che non ricorre quando la cartella sia stata emessa in ragione del mero mancato pagamento di quanto risultante dalla dichiarazione, sicché in tale ipotesi non è dovuta comunicazione di irregolarità, né, in ogni caso, dalla omissione di detta comunicazione può derivare la non debenza o la riduzione delle sanzioni e degli interessi di cui all’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 462 del 1997’ (così ad es. Cass. n. 18405 del 2021).
10. In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato, con le statuizioni consequenziali come da dispositivo.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle entrate le spese di lite, liquidate in euro 4.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 14 febbraio 2025.