Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32109 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32109 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25895/2016 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliato in BARI INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME-), COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
In corso di giudizio, CURATELA DELL’EREDITÀ DI NOME COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in BARI INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. BARI n. 2237/2016 depositata il 29/09/2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/10/2024
dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
In data 21/09/2012 l’amministrazione finanziaria notificava all’Avv. COGNOME COGNOME COGNOME un avviso di accertamento, per l’anno di imposta 2007, con il quale si rettificava la relativa dichiarazione dei redditi, recuperando a tassazione la mancata indicazione della pensione erogata dalla Cassa Nazionale Forense per Euro 57.534.
Il contribuente impugnava tale avviso sostenendo che avrebbe ancora potuto rettificare i dati e procedere al deposito di una dichiarazione sostitutiva; il giudizio di primo grado si concludeva con il rigetto del ricorso, come disposto dalla sentenza della CTP di Bari n. 2292/15.
L’appello del contribuente è stato in seguito respinto anche dalla sentenza oggetto del presente ricorso che ha rilevato, da un lato, la inemendabilità della dichiarazione a seguito dell’accertamento compiuto dall’ufficio e, dall’altro, la novità del secondo motivo di gravame.
Ha quindi proposto ricorso per cassazione il contribuente sulla scorta di due motivi.
Il controricorso dell’Agenzia delle Entrate è stato proposto tardivamente.
E’ stata fissata udienza in camera di consiglio per il successivo 16 ottobre 2024, in vista della quale il legale del ricorrente si è costituito per l’eredità giacente del defunto Avv. COGNOME depositando altresì memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
CONSIDERATO CHE
I motivi di ricorso possono così ricapitolarsi:
violazione dell’art. 2 comma 8 bis del dpr 322/98, introdotto dall’art. 2 del dpr 435/2001 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.; violazione dell’art. 115 cpc e dell’art. 1362 c.c. : il ricorrente contesta l’affermazione del giudice d’appello secondo cui nella specie non è invocabile la possibilità di mutamento della base imponibile per motivi formali, richiamando a sostegno Cass. n. 5852/2012.
II) violazione dell’art. 57 co. 1 d.lgs. 542/92; violazione dell’art. 115 cpc e dell’art. 1362 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.: il ricorrente ritiene erroneo il punto a pag. 3 della sentenza impugnata, ove afferma che il secondo motivo di gravame è inammissibile, in quanto proposto per la prima volta in tale giudizio di secondo grado.
Prima di passare all’analisi dei motivi occorre rilevare che, da un lato, la notificazione del controricorso da parte dell’amministrazione è avvenuta tardivamente, conseguendone la qualità di mera intimata nel presente giudizio, così come è stato eccepito nella memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c., d all’altro, il decesso dell’originario ricorrente, seguito dalla costituzione in giudizio del medesimo difensore inizialmente officiato, per conto della curatela della eredità giacente della medesima parte defunta, non spiega alcun effetto interruttivo. Al di là della costituzione della curatela, infatti,
nel giudizio di cassazione, dominato dall’impulso d’ufficio, non trova applicazione l’istituto della interruzione del processo per uno degli eventi previsti dagli artt. 299 e ss. c.p.c. (Cass. n. 24635 del 03/12/2015; in precedenza anche Cass. n. 22624 del 31/10/2011). 3. Tanto premesso, il primo motivo di ricorso è infondato. Lo stesso confonde, infatti, fra la possibile rettifica di dati erronei o invio di dichiarazione sostitutiva nell’immediatezza della formulazione della dichiarazione che si vuole emendare, dalla fattispecie -che qui ricorre -in cui ex post, dopo l’accertamento dell’omissione ed il recupero a tassazione di redditi non dichiarati, si voglia soltanto allora procedere a modificare la dichiarazione. E’ del tutto evidente che ove una tale resipiscenza tardiva fosse consentita, cesserebbero di avere effetto concreto le disposizioni relative in tema di dichiarazioni fiscali, posto che il contribuente sarebbe indotto a dichiarare il falso o, comunque, ad omettere l’indicazione di parte dei propri redditi, con la riserva mentale di procedere alla dichiarazione dei dati esatti e completi soltanto una volta ‘scoperto’.
Peraltro, nel caso di specie, l’omessa dichiarazione del trattamento pensionistico percepito non è neppure in discussione.
Il punto, in diritto, è risolto dalla seguente decisione, cui il collegio intende dare continuità:
Sez. 5, ord. n. 11488 del 29/04/2024 – Rv. 671069 -01, ha infatti dichiarato che in tema di imposte sui redditi, costituisce causa ostativa alla presentazione della dichiarazione integrativa di cui all’art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998 la notifica della contestazione di una violazione commessa nella redazione di precedente dichiarazione, in quanto, se fosse possibile porre rimedio alle irregolarità anche dopo la contestazione delle stesse, la correzione si risolverebbe in un inammissibile strumento di elusione delle sanzioni previste dal legislatore. (Nella specie, la S.C. ha escluso la possibilità del ricorso alla dichiarazione integrativa tesa
ad emendare l’errore commesso in sede di presentazione della prima dichiarazione successivamente alla ricezione dell’avviso bonario).
Con il secondo motivo di ricorso, invece, si ripropone fondamentalmente la stessa censura che era stata avanzata come motivo aggiunto subordinato in sede di appello. Lo stesso va pertanto dichiarato inammissibile, seguendo la stessa sorte di quanto già stabilito nella decisione di secondo grado qui impugnata.
Da un lato, infatti, per contrastare la censura di novità espressa dalla CTR pugliese, occorreva indicare in quale atto specifico e tempestivo la doglianza fosse già stata espressa in primo grado. Si è infatti correttamente affermato che in tema di ricorso per cassazione, il ricorrente che proponga una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione (Cass. n. 27568 del 21/11/2017). Principio che vale anche per la deduzione di errores in procedendo del giudice del merito che si siano risolti nel mancato esame, nel merito, di domande o eccezioni. A tal proposito è infatti sufficiente ricordare Cass. n. 21346/20024, secondo cui il principio di autosufficienza di cui all’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. in caso di deduzione di errores in procedendo, impone la trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il
diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario, in misura tale da non inciderne la stessa sostanza.
Dall’altro lato, ove pure si volesse ritenere che tale onere di specificità ed autosufficienza sia stato assolto dal ricorrente, attraverso il mero rinvio all’atto introduttivo del giudizio, secondo una logica non formalistica che discende dall’applicazione dei principi espressi nella sentenza della Corte EDU del 28 ottobre 2021 (Succi RAGIONE_SOCIALE c. Italia), risulta comunque evidente che la richiesta di rimborso evocata dal richiamo all’art. 34 della l. 23/12/2000, n. 388 è istanza del tutto nuova e non ricompresa nella contestazione iniziale di infondatezza dell’avviso di accertamento per la possibilità di procedere a rettificare la dichiarazione o depositarne una sostitutiva, il che come sopra si è visto deve ritenersi peraltro escluso. I fatti costitutivi delle due pretese appaiono infatti diversi fra loro ed in buona misura incompatibili.
Ne consegue il rigetto complessivo del ricorso, mentre non si deve provvedere sulle spese del giudizio, atteso la qualità di mera intimata che va riconosciuta all’Agenzia delle Entrate.
Occorre, infine, dare atto dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se ed in quanto dovuto per legge.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso per quanto in motivazione; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. 115/2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura prevista per il ricorso, se ed in quanto dovuto per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16 ottobre 2024