Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21886 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21886 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25126/2016 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE CHIETI, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELL’ABRUZZO n. 281/2016 depositata il 15/03/2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/06/2025
dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo ( hinc: CTR), con la sentenza n. 281/2016 depositata in data 15/03/2016, ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 412/2014, con cui la Commissione tributaria provinciale di Chieti aveva accolto il ricorso proposto da COGNOME NOME contro l’avviso di accertamento relativo all’anno d’imp osta 2007.
La CTR, in sintesi, ha ritenuto che:
-è infondata l’eccezione di inammissibilità del gravame in quanto sottoscritto dal capo dell’ufficio legale privo della delega del dirigente provinciale: gli artt. 10 e 11 d.lgs. n. 546 del 1992 attribuiscono la qualità di parte processuale e la capacità di stare in giudizio all’ufficio del Ministero dell e Finanze, individuabile allo stato nell’ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate nei cui confronti viene proposto il ricorso. Ne consegue che legittimato a stare in giudizio è l’ufficio finanziario rappresentato dal dirigente provinciale o da altra persona preposta al reparto competente, per ciò stessa delegata, in via generale, a sostituire il dirigente, senza necessità di apposita delega; -nel merito l’accertamento induttivo dell’ufficio si fonda su dati ed elementi oggettivi che dimostrano l’inattendibilità del risultato reddituale: negli anni 2007 e 2008 la contribuente ha denunciato perdite pur avendo alla proprie dipendenze un lavoratore retribuito con uno stipendio che supera il reddito conseguito dalla parte appellata. La condotta antieconomica è, poi, corroborata dall’inattendibilità delle scritture contabili, derivante dall’incompletezza delle distinte di magazzino, che sono prive
dell’indicazione della quantità e qualità dei prodotti. La perdita dichiarata confligge, peraltro, con l’entità degli acquisti. A fronte dei rilievi puntuali dell’ufficio, la contribuente ha opposto generici riferimenti all’influenza negativa della concorr enza, ritenuta particolarmente agguerrita nel campo dei mobili, senza prospettare alcun elemento di riscontro di tale pretesa influenza negativa, con riferimento alle distanze e agli articoli trattati. Non può, quindi, ritenersi che esista un livello di concorrenza tale da incidere in ragione dell’applicazione di prezzi estremamente convenienti, al punto da determinare delle perdite;
le vendite speciali e a sottocosto corrispondono a una pratica commerciale attivata mediante offerte vantaggiose (indicazioni di sconti, acquisti rateali ecc….);
non risulta che il prestito chiesto dalla contribuente nel 2009 fosse destinato a ripianare debiti maturati nel 2007;
-in merito al recupero di costi per Euro 4.648 dovuto all’erronea determinazione di fitti passivi (che erano pari a Euro 11.775,16, mentre in dichiarazione fu indicato l’importo di Euro 16.423,90), la contribuente avrebbe dovuto presentare una dichiarazione integrativa ai sensi dell’art. 2 d.P.R. n. 435 del 2001.
Contro la sentenza della CTR la contribuente ha proposto ricorso in cassazione con tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 11 d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 56 d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. -difetto di sottoscrizione e delega.
1.1. Con tale motivo la ricorrente ha denunciato che, nel caso di specie, manca la delega contestuale allegata al gravame proposto, firmato non dal direttore provinciale, ma da capo ufficio legale. Nel caso di specie la delega è, pertanto, mancante, così come la sottoscrizione da parte del direttore provinciale.
1.2. Il motivo è infondato, non solo perché parte da un’impropria sovrapposizione tra l’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 (che riguarda l’emissione dell’avviso di accertamento) con gli artt. 10 e 11 d.lgs. n. 546 del 1992 (che attengono alla costituzione in giudizio). Questa Corte ha, infatti, precisato che, in tema di processo tributario, la sottoscrizione dell’atto di appello, pur non competendo ad un qualsiasi funzionario sprovvisto di specifica delega da parte del titolare dell’Ufficio, deve ritenersi validamente apposta quando proviene dal funzionario preposto al reparto competente, poiché la delega da parte del titolare dell’Ufficio può essere legittimamente conferita in via generale mediante la preposizione del funzionario ad un settore dell’Ufficio con competenze specifiche (Cass., 19/0/2021, n. 20599).
È stato altresì precisato che la rappresentanza processuale dell’articolazione periferica dell’Agenzia delle entrate si concentra sul capo di essa ed anche, a termini dell’art. 3 del regolamento interno di amministrazione dell’Agenzia delle entrate, sul semplice preposto all’ufficio legale (in favore del quale è da ritenersi operativa una delega generale); perciò, ai fini della legittima spendita del potere rappresentativo, è sufficiente l’effettiva attribuzione in organigramma di taluna delle suddette posizioni al soggetto che sottoscrive l’atto ex artt. 10 e 11, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, a prescindere dalla sua qualifica dirigenziale, con la conseguenza che, agli effetti della validità, è irrilevante la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del
d.l. n. 16 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 44 del 2012, di cui a Corte cost. n. 37 del 2015 (Cass., 04/09/2024, n. 23782).
Con il secondo motivo è stata denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 62 sexies, comma 3, d.l. n. 331 del 1993, 39, primo comma, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, 54 d.P.R. n. 633 del 1972, dell’art. 2729 cod. civ., degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché degli artt. 53 e 97 Cost., dell’art. 2733 cod. civ. , dell’art. 10, comma 1, legge n. 212 del 2000 e dell’art. 88 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma , n. 3 e 5, cod. proc. civ.; omesso esame di atti e documenti decisivi.
2.1. A pag. 7 del ricorso in cassazione, la parte ricorrente richiama quanto affermato a pag. 2 della sentenza impugnata, per evidenziare come il giudice d’appello abbia omesso di considerare le caratteristiche basilari degli avvisi di accertamento, con il ricorso all’automatismo proprio degli studi di settore.
Richiama, poi, quanto affermato a pag. 3-4 della sentenza impugnata, censurando l’omesso esame integrale delle controdeduzioni di parte appellata (datate 19/02/2015), così come della copiosa documentazione prodotta dalla contribuente stessa, da parte della CTR che, aderendo fideisticamente e unilateralmente al contenuto del gravame proposto dall’Agenzia delle Entrate , ha violato gli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
2.1. La ricorrente evidenzia, poi, che l’Agenzia delle Entrate , in sede di gravame, dimenticando quanto già ammesso in sede di mediazione tributaria, ha smentito sé stessa, con un comportamento censurabile ex art. 10 legge n. 212 del 2000 e dell’art. 97 Cost., oltre che ex art. 88 cod. proc. civ. Quanto affermato dall’amministrazione finanziaria in sede di mediazione ex art. 17 bis, comma 8, d.lgs. n. 546 del 1992 assume, ad avviso di parte ricorrente, pieno valore confessorio.
2.2. A pag. 13 la ricorrente richiama anche la giurisprudenza che ritiene inapplicabili gli studi di settore nel periodo dei saldi e delle vendite speciali.
2.3. La ricorrente ha, poi, denunciato la violazione dell’art. 62 sexies, comma 3, legge n. 331 del 1993, secondo il quale gli accertamenti analitico induttivi ex art. 39, primo comma, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973 ed ex art. 54 d.P.R. n. 633 del 1972 possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta ovvero dagli studi di settore. Censura -ritenendo assenti i requisiti di gravità, precisione e concordanza ex art. 2729 cod. civ. -l’entità minima (3,71%) dello scostamento dagli studi di settore rilevato dall’amministrazione finanziaria nel caso di specie.
2.4. Il motivo è inammissibile, in quanto evoca una ricostruzione dei fatti alternativa a quella fatta propria dal giudice di merito, dinanzi illustrata, e, conseguentemente, una valutazione di merito sottratta al sindacato di legittimità. Secondo le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (,Cass., Sez. U, 27/12/2019, n. 34476).
Quanto, poi, alla rilevanza della condotta dell’Amministrazione in sede di mediazione, va ribadito che, come è stato osservato da autorevole dottrina, la ratio degli istituti deflattivi – tra cui va annoverata la mediazione- è stata quella di « prevedere effetti premiali tanto maggiori quanto più efficiente (e quanto più pronta)
fosse la chiusura della controversia, potenziale o attuale » (cfr., in termini, da ultimo, Cass. 08/05/2025, n. 12230).
Con il terzo motivo è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 8 bis, d.P.R. n. 322 del 1998 come modificato dall’art. 2 d.P.R. n. 435 del 2001, dell’art. 10, comma 1, legge n. 212 del 2000 e degli artt. 53 e 97 Cost., 115 e 116 cod. proc. civ. , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 5, cod. proc. civ.
3.1. Tale motivo censura la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto non emendabile la dichiarazione, affermando che: « in ordine al recupero di costi per € 4.648,00 dovuto all’erronea determinazione dei fitti passivi che erano pari a € 11.775,16, mentre in dichiarazione fu indicato l’importo di € 16.423,90, la contribuente, pur riconoscendo l’errore, invoca il principio di em endabilità della dichiarazione. In proposito va detto che per la correzione dei maggiori oneri per fitti passivi, doveva essere attivata la presentazione di una dichiarazione integrativa ai sensi dell’art. 2 comma 8 bis -del DRP 322/1998, come introdott o dall’art. 2 del DPR 435/2001, nei termini previsti ».
3.2. In senso contrario a quanto affermato dalla CTR la contribuente ha evidenziato che la dichiarazione può essere emendata in ogni tempo e in ogni modo, anche durante la fase contenziosa, non soggiacendo ad alcuna limitazione, in ragione di una diversa valutazione dei dati concreti ed effettivi.
3.3. Il motivo di ricorso è fondato. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, infatti, precisato che in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 se diretta ad evitare un danno per la P.A. (art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998), mentre, se intesa, ai sensi del successivo
comma 8 bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria (Cass., Sez. U, 30/06/2016, n. 13378).
3.4. Nel caso di specie la CTR -v. supra, sub 3.1. – non ha tenuto conto dell’emendabilità della dichiarazione anche in sede contenziosa da parte del contribuente, dovendosi ritenere che, in tale ambito, venga in rilievo l’accertamento della legittimità della pretesa impositiva, anche quando fondata sulla base di dati forniti dal contribuente stesso, che può, quindi, fornire prova degli errori e omissioni presenti nella dichiarazione.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato deve essere accolto il terzo motivo di ricorso, mentre devono essere rigettati i primi due motivi.
4.1. La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
…
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo di ricorso e rigetta il primo e il secondo motivo;
cassa la sentenza impugnata in relazione al profilo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 12/06/2025.