LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Dichiarazione d’intento: l’obbligo di diligenza

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13557/2024, ha stabilito che un fornitore che riceve una dichiarazione d’intento non può limitarsi a un controllo formale. Deve esercitare un’adeguata diligenza per verificare, nei limiti del ragionevole, la veridicità dei presupposti che consentono l’acquisto senza IVA. In presenza di elementi sospetti, il fornitore ha l’onere di adottare misure aggiuntive per non concorrere in irregolarità fiscali. La sentenza di merito che escludeva tale obbligo è stata cassata con rinvio.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Dichiarazione d’intento e Diligenza del Fornitore: Oltre il Controllo Formale

L’ordinanza n. 13557/2024 della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sull’estensione degli obblighi a carico del fornitore che riceve una dichiarazione d’intento da un proprio cliente. La Suprema Corte ha stabilito che non basta un mero controllo formale del documento per essere esenti da responsabilità, ma è necessario un comportamento improntato a una ragionevole diligenza, specialmente in presenza di segnali di allarme. Questa decisione rafforza il principio secondo cui la lotta all’evasione fiscale richiede la collaborazione attiva di tutti gli operatori economici.

Il Caso: Fatture Senza IVA e la Dichiarazione d’Intento Contestata

Una società di servizi finanziari si è vista notificare un avviso di accertamento da parte dell’Amministrazione Finanziaria. L’oggetto della contestazione era la presunta irregolare emissione di fatture in sospensione d’imposta. La società aveva applicato il regime di non imponibilità IVA sulla base di una dichiarazione d’intento presentata da alcuni suoi clienti, i quali si qualificavano come esportatori abituali.

Secondo l’Agenzia delle Entrate, tuttavia, tali clienti non possedevano i requisiti di legge per beneficiare di tale regime. Nei primi due gradi di giudizio, le Commissioni Tributarie avevano dato ragione alla società, sostenendo che il suo compito si esaurisse nella verifica della regolarità formale della documentazione ricevuta, senza dover compiere ulteriori indagini sulla reale qualifica del cliente. L’Amministrazione Finanziaria ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando l’errata applicazione delle norme sull’obbligo di diligenza.

La Decisione della Cassazione: Analisi della dichiarazione d’intento

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ribaltando la prospettiva dei giudici di merito. I giudici hanno affermato un principio di diritto fondamentale: il fornitore non può essere considerato un mero spettatore passivo. Sebbene non gli si possano addossare i poteri di controllo propri dell’Ufficio, non può nemmeno ignorare elementi di fatto che facciano sorgere dubbi sulla legittimità dell’operazione.

Il comportamento del cedente che si limita a prendere atto dell’esistenza formale della dichiarazione d’intento non è sufficiente a escludere la sua responsabilità. La Corte ha sottolineato che, in presenza di elementi di anomalia, scatta un onere di diligenza rafforzato. Il fornitore deve adottare “tutte le misure ragionevoli in suo potere” per assicurarsi che la transazione non sia parte di un meccanismo fraudolento. L’aver acquisito informazioni sulla clientela per finalità diverse (come la valutazione della solvibilità) non esime la società dall’utilizzare le stesse informazioni anche per una valutazione di carattere fiscale.

Le Motivazioni della Corte

La motivazione della Suprema Corte si fonda sull’interpretazione sistematica delle norme in materia di IVA e sulla giurisprudenza, anche europea, relativa alla lotta alle frodi fiscali. I giudici hanno chiarito che il regime di non imponibilità per gli esportatori abituali è una deroga al principio generale di applicazione dell’imposta, giustificata dalla necessità di non gravare le imprese esportatrici di crediti IVA strutturali.

Tuttavia, tale beneficio è subordinato alla sussistenza effettiva dei requisiti di legge in capo all’acquirente. La Corte ha specificato che, sebbene la responsabilità principale per una dichiarazione mendace ricada su chi la emette, il fornitore può essere chiamato a rispondere in concorso qualora non abbia agito con la dovuta diligenza. La sentenza di merito è stata criticata per aver erroneamente separato le informazioni acquisite per scopi creditizi da quelle rilevanti ai fini fiscali. Per la Cassazione, le informazioni disponibili devono essere valutate nel loro complesso. Se da esse emergono “seri dubbi” sulla sussistenza dei requisiti in capo ad alcuni cessionari, il fornitore non può procedere all’emissione di fatture senza IVA senza compiere ulteriori verifiche.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in commento ha importanti implicazioni per tutte le aziende che operano con clienti che si avvalgono della dichiarazione d’intento. La decisione impone un cambio di paradigma: dal controllo formale a una valutazione sostanziale e diligente.

In pratica, le aziende dovranno implementare procedure interne per:
1. Verificare non solo l’esistenza e la correttezza formale della dichiarazione, ma anche la coerenza delle informazioni in essa contenute con altri dati a disposizione.
2. Prestare attenzione a eventuali segnali di allarme (es. clienti di recente costituzione, attività economica non coerente con lo status di esportatore, ecc.).
3. Documentare le verifiche effettuate, in modo da poter dimostrare, in caso di contestazione, di aver agito con la diligenza richiesta dall’ordinaria prassi commerciale.

In conclusione, questa pronuncia sottolinea che la responsabilità nella corretta applicazione delle norme fiscali è condivisa. Anche il fornitore è chiamato a svolgere un ruolo attivo di presidio, contribuendo a prevenire l’utilizzo fraudolento degli strumenti previsti dalla legge.

Il controllo formale di una dichiarazione d’intento è sufficiente per esonerare il fornitore da responsabilità?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il fornitore deve esercitare un obbligo di diligenza che va oltre la mera verifica formale, specialmente se dispone di elementi che possono far sorgere dubbi sulla legittimità della richiesta del cliente.

Cosa deve fare un fornitore se sospetta che il cliente non sia un reale esportatore abituale?
Il fornitore deve adottare tutte le misure ragionevoli in suo potere per assicurarsi che l’operazione non faccia parte di una frode. Deve valutare tutte le informazioni a sua disposizione, anche quelle raccolte per altre finalità (es. valutazione del credito), e non può ignorare segnali di anomalia.

In caso di dichiarazione d’intento falsa, la responsabilità è solo del cliente che l’ha emessa?
La responsabilità principale è del cliente. Tuttavia, la Corte chiarisce che il fornitore può essere ritenuto corresponsabile se si dimostra che non ha agito con la dovuta diligenza e che avrebbe potuto ragionevolmente accorgersi dell’irregolarità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati