Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13557 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13557 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/05/2024
Oggetto: art. 8 dpr 633/72 – dichiarazioni intenti obbligo di diligenza
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30971/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa come per legge dall’RAGIONE_SOCIALE (PEC: EMAIL) presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa in forza di procura speciale in atti dagli avvocati NOME COGNOME (PEC: EMAIL), NOME COGNOME (PEC:
EMAIL) e NOME COGNOME (PEC: EMAIL);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto n. 661/05/21 depositata in data 05/05/2021 non notificata; Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 25/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che:
–RAGIONE_SOCIALE impugnava l’avviso di accertamento notificatole con il quale l’Amministrazione Finanziaria a seguito di verifica da parte della Guardia di finanza contestava maggiore iva derivante dalla irregolare emissione di fatture in sospensione d’imposta ex art. 8 comma 1 lett. C) e comma 2 del d.P.R. n. 633 del 1972 a seguito di presentazione da parte di alcuni clienti di lettere di intento, senza che sussistessero in capo ai cessionari i requisiti prescritti per l’applicazione alle operazioni del regime di sospensione d’imposta;
-il giudice di primo grado accoglieva il ricorso;
-appellava l’Ufficio;
-con la pronuncia gravata di fronte a questa Corte la CTR del Veneto ha confermato la statuizione di primo grado;
-ricorre l’RAGIONE_SOCIALE con atto affidato a un solo motivo di doglianza;
-la società contribuente resiste con proprio controricorso e ha depositato memoria illustrativa RAGIONE_SOCIALE proprie difese;
Considerato che:
-l’unica censura dedotta dall’Amministrazione Finanziaria denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 del d.L. n. 646 del 1983 (relativamente al d.M. 6 dicembre 1986) e degli artt. 8 lett. c) e 19 bis c. 1 lett. c) e d) del d.P.R. n. 633 del1972, in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la
sentenza impugnata erroneamente ritenuto adeguati i controlli effettuati dalla contribuente sulle dichiarazioni di intento in questione alla luce di quanto si potrebbe ragionevolmente pretendere da un operatore commerciale secondo l’ordinaria diligenza, con ciò erroneamente applicando le norme sopraindicate;
-il motivo è fondato;
-deve rammentarsi che, con riferimento alle operazioni in esame, aventi ad oggetto cessione all’esportazione di cui all’art. 8, secondo comma, d.P.R. n. 633 del 1972, la non imponibilità prevista dal legislatore trova la sua giustificazione e al tempo stesso il suo limite quantitativo nel fatto che i cessionari sono soggetti che compiono abitualmente cessioni all’esportazione od operazioni intracomunitarie, e chiedono al loro fornitore di non applicare l’imposta sull’operazione di acquisto e/o di importazione, al fine di evitare di trovarsi costantemente in credito con l’Erario;
-in tal senso, il plafond di cui all’art. 8, primo comma, lett. c), d.P.R. n. 633 del 1972, costituisce solo un limite quantitativo monetario – pari all’ammontare complessivo dei corrispettivi RAGIONE_SOCIALE esportazioni -utilizzabile nell’anno successivo per effettuare acquisti in regime di sospensione d’imposta, che non incide sulla sussistenza del credito impositivo ma soltanto sull’esecutività RAGIONE_SOCIALE stesso, tenuto conto del maggior credito nei confronti dell’Erario strutturalmente collegato all’attività di esportatore abituale (cfr. Cass. 15 giugno 2018, n. 15835; Cass. 24 marzo 2016, n. 5853);
-esclusa la reale qualità di esportatore abituale, viene meno anche il limite di esecutività, proprio al fine di non arrecare danno all’erario, poiché non può operare il meccanismo sopra descritto, ed è questa la ragione per cui l’invocato terzo comma dell’art. 7, d. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, nella formulazione
vigente ratione temporis , stabilisce che qualora la dichiarazione d’intento «sia stata rilasciata in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge, dell’omesso pagamento del tributo rispondono esclusivamente i cessionari, i committenti e gli importatori che hanno rilasciato la dichiarazione stessa»;
-nel presente caso la sentenza impugnata non si è attenuta a tali principi, poiché ha ritenuto – evidentemente disallineandosi rispetto alle sopra svolte considerazioni -che ‘il soggetto cedente non può essere onerato di altre verifiche se non quelle previste dalla legge per cui correttamente ha ritenuto che una volta verificata la regolarità della documentazione ed in particolare della dichiarazione di intenti ha esaurito il suo compito, non potendo effettuare ulteriori verifiche rispetto al cessionario (e non avendone né i poteri né il dovere giuridico)’;
-ancora, la stessa ha escluso in concreto ogni onere di diligenza -con ciò commettendo l’errore di diritto denunciato dalla parte ricorrente -in quanto ha ritenuto che la società contribuente debba unicamente limitarsi ad acquisire ‘informazioni della propria clientela per ben altre finalità come quelle relative alla solvibilità dei clienti stessi e finalizzati alla conclusione del contratto di locazione finanziaria ma non certamente ai fini indicati dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che non le competono’;
-è infatti ben vero che non può addossarsi al cedente l’esercizio dei poteri di controllo spettanti all’Ufficio, ma è altrettanto vero che non può sostenersi la conformità a legge del comportamento del cedente che si limiti unicamente a rilevare l’esistenza formale della dichiarazione di intenti, come nella specie è avvenuto, unitamente alla sottoscrizione da parte di alcuni dei cessionari, neppure di tutti, di una autocertificazione attestante la sussistenza in capo a costoro dei requisiti di legge per l’applicazione del regime di non imponibilità: e ciò di fronte alla sussistenza di elementi di fatto di segno diverso;
-tale onere di diligenza, in realtà, trova applicazione non solo nel caso in cui le dichiarazioni di intenti risultino false, come si sostiene in memoria, ma in ogni caso nel quale in concreto difettino i requisiti di non imponibilità consentiti dall’applicazione del regime di cui al d.L. n. 746 del 1983 come convertito in legge;
-risulta opportuno ricordare che l’art. 8 del d.P.R. n. 633 del 1972, nel disciplinare il regime IVA applicabile alle cessioni all’esportazione, per quanto interessa il presente giudizio e nel testo vigente ratione temporis , prevede: “Costituiscono cessioni all’esportazione: (…) c) le cessioni, anche tramite commissionari, di beni diversi dai fabbricati e dalle aree edificabili, e le prestazioni di servizi rese a soggetti che, avendo effettuato cessioni all’esportazione od operazioni intracomunitarie, si avvalgono della facoltà di acquistare, anche tramite commissionari, o importare beni e servizi senza pagamento dell’imposta. Le cessioni e le prestazioni di cui alla lettera c) sono effettuate senza pagamento dell’imposta ai soggetti indicati nella lettera a), se residenti, ed ai soggetti che effettuano le cessioni di cui alla lettera b) del precedente comma su loro dichiarazione scritta e sotto la loro responsabilità, nei limiti dell’ammontare complessivo dei corrispettivi RAGIONE_SOCIALE cessioni di cui alle stesse lettere dai medesimi fatte nel corso dell’anno solare precedente. (…) I soggetti che intendono avvalersi della facoltà di acquistare beni e servizi senza pagamento dell’imposta devono darne comunicazione scritta al competente ufficio dell1V.A. entro il 31 gennaio ovvero oltre tale data, ma anteriormente al momento di effettuazione della prima operazione, indicando l’ammontare dei corrispettivi RAGIONE_SOCIALE esportazioni fatte nell’anno solare precedente. (…) I soggetti che iniziano l’attività o non hanno comunque effettuato esportazioni nell’anno solare precedente possono
avvalersi per la durata di un triennio solare della facoltà di acquistare beni e servizi senza pagamento dell’imposta, dandone preventiva comunicazione all’ufficio, assumendo come ammontare di riferimento, in ciascun mese, l’ammontare dei corrispettivi RAGIONE_SOCIALE esportazioni fatte nei dodici mesi precedenti.” Dalla lettura della norma si evince chiaramente che il suo contenuto precettívo, afferente in modo ampio alle “cessioni all’esportazione”, non è rivolto al solo cessionario, anche se a quest’ultimo è dedicato più spazio, giacché vi sono stabiliti i rigorosi presupposti e gli obblighi dichiarativi per accedere a tale regime, ma anche al cedente, che in regime ordinario dovrebbe agire come sostituto d’imposta per l’Erario e che, nel caso di “cessione all’esportazione”, è invece esonerato dall’applicazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni in tema di esigibilità dell’imposta (art.6 del d.P.R. n.633 del 1972) e di versamento (artt.17 e ss del d.P.R. n.633 del 1972). Tale conclusione trova riscontro nel dettato dell’art. 7 del d. Lgs. n.471 del 1997, che è rivolto sia al cedente che al cessionario. Ed infatti ai commi 3 e 4 è previsto: “3. Chi effettua operazioni senza addebito d’imposta, in mancanza della dichiarazione d’intento di cui all’articolo 1, primo comma, lettera c), del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17, è punito con la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento dell’imposta, fermo l’obbligo del pagamento del tributo. Qualora la dichiarazione sia stata rilasciata in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge, dell’omesso pagamento del tributo rispondono esclusivamente i cessionari, i committenti e gli importatori che hanno rilasciato la dichiarazione stessa. È punito con la sanzione prevista nel comma 3 chi, in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge, dichiara all’altro contraente o in dogana di volersi avvalere della facoltà di acquistare o di
importare merci e servizi senza pagamento dell’imposta, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, della legge 18 febbraio 1997, n. 28, ovvero ne beneficia oltre il limite consentito. (…)”. Anche in questo caso la lettura della disposizione, che individua il soggetto destinatario della sanzione amministrativa con il pronome “chi”, ne evidenzia una portata ampia, estensibile sia al cedente che al cessionario anche in via di concorso: tale conclusione è confermata a contrario dalla contestuale previsione di responsabilità esclusiva del cessionario (o committente o importatore) solo per l’omesso pagamento del tributo, qualora la dichiarazione sia stata rilasciata in mancanza dei presupposti richiesti. Orbene, in relazione a questo quadro normativo, la Corte ha inizialmente affermato che, in tema di IVA, la non imponibilità RAGIONE_SOCIALE cessioni all’esportazione effettuate nei confronti degli esportatori abituali (c.d. esportazioni indirette), prevista dall’art. 8, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 633 del 1973, è subordinata, nella disciplina del d.L. n. 746 del 1983, convertito in legge n. 17 del 1984, all’emissione di apposita “dichiarazione d’intento” da parte dell’esportatore (art. i, comma 1, lett. c) ed il soggetto cedente, una volta riscontratane la conformità alle disposizioni di legge, non è tenuto ad eseguire alcun altro controllo, rimanendo totalmente a carico di chi emette tale dichiarazione la responsabilità, anche penale, derivante da un’eventuale falsità. Ne consegue che, quando la dichiarazione stessa esista e non sia ideologicamente falsa o, comunque, il cedente non sia consapevole dì tale falsità (cioè non abbia la consapevolezza che l’operazione non è destinata all’esportazione, ma ha una destinazione nazionale), per quest’ultimo l’operazione deve ritenersi non imponibile, a prescindere dalla prova dell’effettiva avvenuta esportazione della merce (Cass. Sent. n. 21956/2010). Altrimenti, viene meno la fattispecie delineata dall’art. 8 del d.P.R. n.633 del
1972 per mancanza originaria dell’elemento che caratterizza quel moRAGIONE_SOCIALE legale; ciò comporta che l’operazione commerciale posta in essere, non potendosi considerare in regime di esenzione, obblighi il cedente, ai sensi dell’art. 17 del DPR n.633/1972 a versare egli stesso l’imposta (cfr. anche C. 16819/2008);
-più di recente la Corte ha puntualizzato che “in tema di Iva, la non imponibilità RAGIONE_SOCIALE cessioni di beni asseritamente destinati all’esportazione, subordinata dall’art. 8, comma 1, lett. c) del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 alla dichiarazione scritta di responsabilità del cessionario in ordine alla destinazione del bene fuori del territorio della Comunità economica europea ed al possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dalla norma, viene meno qualora si accerti che i beni non sono stati effettivamente .esportati e che tale dichiarazione è ideologicamente falsa, nel quale caso l’obbligo del cedente di assolvere successivamente l’ IVA su tali beni può essere escluso solo nella misura in cui risulti provato che egli abbia adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere (sottolineatura aggiunta), al fine di assicurarsi che la cessione effettuata non lo conducesse a partecipare alla frode.” (Cass, sent. n.12751/2011 arg. ex Corte Giust. CE, 27 settembre 2007, C409/04, 68 e 72, in tema cessione e acquisto intracomunitari, n.7389/2012);
-questa Corte ritiene (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7389 del 11/05/2012) che nel caso di cessioni di beni asseritamente destinati all’esportazione, la non imponibilità ai fini IVA è subordinata non solo alla dichiarazione scritta di responsabilità del cessionario sulla destinazione del bene fuori del territorio comunitario (che peraltro, come accertato dalla CTR, è stata qui rilasciata nella forma dell’autocertificazione solo per alcuni cessionari, non per tutti) ed al possesso dei requisiti oggettivi e
soggettivi previsti dall’art. 8 d.P.R. 633 del 1972, mentre la stessa viene meno ove si accerti che i beni non siano stati effettivamente esportati e che tale dichiarazione sia ideologicamente falsa o (il che è un quid minus ed è ricompreso nel più) non esista;
-pertanto, il cedente deve assolvere successivamente l’imposta su tali beni, salvo che risulti provato che egli abbia adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere al fine di assicurarsi che la cessione effettuata non lo conducesse a partecipare alla frode;
-invero, nel presente caso la CTR ha da un lato (correttamente operando) accertato come effettivamente posta in essere l’attività di acquisizione RAGIONE_SOCIALE informazioni quanto ai cessionari (anche quelle relative all’esercitare i cessionari attività di commercio all’ingrosso e al dettaglio di autovetture, distinguendoli da quelli esercenti il commercio al dettaglio e da quelli esercenti l’attività di agenti di commercio); dall’altro ha (erroneamente operando) ritenuto così adempiuto l’obbligo di diligenza, mentre a fronte di tali informazioni -agevolmente acquisibili, tanto che nel concreto sono state effettivamente acquisite -doveva esser operata una loro diligente e completa valutazione di ogni elemento noto ai fini di decidere in ordine alla legittimità o meno dell’emissione RAGIONE_SOCIALE fatture senza addebito di IVA e non solo in ordine alla solvibilità dei cessionari, come ha ritenuto la CTR;
-viceversa, la sentenza di appello ha ritenuto che dette informazioni, dalle quali si evincevano quantomeno seri dubbi in ordine alla sussistenza dei requisiti in capo ad alcuni cessionari, potevano e dovevano essere utilizzate unicamente per scopi differenti dal corretto adempimento degli obblighi tributari; il che non è;
-detta affermazione è quindi viziata da errore di diritto;
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
-il sistema tributario, infatti non consente l’esercizio fraudolento del diritto di valersi del limite esecutivo correlato alla qualità di esportatore abituale qualora, anche in base a elementi presuntivi, emerga che il cedente disponesse di elementi tali, da sospettare l’esistenza di irregolarità e da sollecitare il suo onere di diligenza (si veda, da ultimo, Cass. 5 aprile 2019, n. 9586, che fa espressamente leva sull’adozione di tutte le ragionevoli misure disponibili);
-d’altronde, l’attribuzione dell’onere della prova della sussistenza dei requisiti per l’emissione RAGIONE_SOCIALE fatture senza applicazione dell’iva resta in capo ai contribuenti, e non in capo all’Ufficio;
-questa Corte, sul punto, ha infatti chiarito come (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 5500 del 28/02/2020) in tema di cessioni all’esportazione, lo “status” di esportatore abituale, di cui all’art 8, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 633 del 1972, da cui deriva il riconoscimento della sospensione di imposta nei limiti del “plafond” disponibile così maturato, è acquisito dall’impresa che esporta o effettua vendite intracomunitarie di beni e servizi per almeno il dieci per cento avuto riguardo alle operazioni poste in essere nell’anno precedente, la cui dimostrazione grava sulla predetta senza che la relativa prova possa definirsi negativa, essendo essa tenuta a indicare la tipologia RAGIONE_SOCIALE operazioni compiute e a riscontrare l’effettività del trasferimento del bene all’estero. Manca nella sentenza, in conclusione, una adeguata verifica della corretta condotta che si esige dal cedente nei casi di specie.
-pertanto, in accoglimento del ricorso la sentenza va cassata con rinvio al giudice dell’appello per nuovi esami del merito nel rispetto dei principi appena illustrati, dovendo quindi procedersi a esaminare il comportamento del contribuente sotto il profilo della diligenza da questi adoperata nell’acquisizione e nella
valutazione RAGIONE_SOCIALE informazioni ragionevolmente richiedibile a un operatore accordo del settore;
p.q.m.
accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, che provvederà anche quanto alle spese del presente giudizio di Legittimità.
Così deciso in Roma, il 25 marzo 2024.