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Dichiarazione d’intenti: sanzioni e favor rei

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25146/2025, ha stabilito che l’omessa trasmissione telematica della dichiarazione d’intenti da parte del fornitore non è una mera violazione formale e non è stata abolita dalle leggi successive. Sebbene l’obbligo sia passato al cliente, persiste l’illiceità della condotta passata. Tuttavia, in applicazione del principio del favor rei, deve essere applicata la sanzione più mite sopravvenuta, ovvero quella fissa introdotta dal D.Lgs. 158/2015, e non la precedente sanzione proporzionale. La sentenza impugnata è stata cassata con rinvio.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Omessa Dichiarazione d’Intenti: la Cassazione fa chiarezza su Sanzioni e Favor Rei

L’omessa trasmissione telematica della dichiarazione d’intenti da parte degli esportatori abituali è un tema che ha generato un notevole contenzioso. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è intervenuta per delineare i confini dell’illecito e le sanzioni applicabili, soprattutto alla luce delle modifiche normative succedutesi nel tempo. La pronuncia chiarisce che la violazione non è stata cancellata e che va applicato il principio della legge più favorevole (favor rei).

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un provvedimento con cui l’Agenzia delle Entrate irrogava sanzioni a una società per l’omessa trasmissione telematica delle dichiarazioni d’intenti ricevute da un esportatore abituale per gli anni dal 2008 al 2011. La società fornitrice impugnava l’atto e le commissioni tributarie di primo e secondo grado le davano ragione.

I giudici di merito ritenevano che le modifiche legislative successive, in particolare quella del 2014 che aveva trasferito l’obbligo di comunicazione telematica dal fornitore (cedente) all’esportatore abituale (cessionario), avessero di fatto reso non più punibile la condotta. Applicando il principio di legalità e la lex mitior, avevano concluso per l’annullamento delle sanzioni.

L’Agenzia delle Entrate, non condividendo questa interpretazione, proponeva ricorso per cassazione, sostenendo che la violazione avesse natura sostanziale e non meramente formale, e che le nuove norme non avessero comportato una cancellazione dell’illecito (abolitio criminis).

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per un nuovo esame.

Sanzione per dichiarazione d’intenti: non è violazione formale

Il primo punto chiarito dalla Corte è la natura della violazione. L’omessa comunicazione della dichiarazione d’intenti non è un’irregolarità meramente formale. Al contrario, è una violazione sostanziale perché impedisce all’amministrazione finanziaria di effettuare un controllo efficace sull’applicazione del regime di non imponibilità IVA. Questo obbligo è strumentale a prevenire frodi e abusi, pertanto la sua inosservanza è idonea a ostacolare l’attività di verifica del Fisco.

Continuità Normativa e non Abolitio dell’Illecito

Il cuore della decisione riguarda gli effetti della successione di leggi nel tempo. La Corte ha affermato che le modifiche normative, pur avendo spostato l’onere della comunicazione telematica dal fornitore al cliente, non hanno determinato l’abolizione dell’illecito. Si è verificata una ‘continuità strutturale’ tra la vecchia e la nuova disciplina.

In sostanza, l’illecito di base (la mancata comunicazione all’Erario) è rimasto, ma sono cambiate le modalità di adempimento e i soggetti obbligati. Al fornitore, pur non essendo più tenuto all’invio telematico, resta un obbligo di controllo e di corretta tenuta della documentazione. Di conseguenza, non si può parlare di abolitio criminis che avrebbe estinto retroattivamente la punibilità delle condotte passate.

Il Principio del Favor Rei e la Sanzione Applicabile per la dichiarazione d’intenti

Appurato che l’illecito non è stato cancellato, la Corte si è concentrata sulla sanzione da applicare. In virtù del principio del favor rei (o lex mitior), sancito dall’art. 3 del D.Lgs. 472/1997, se la legge in vigore al momento della commissione della violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni diverse, si applica la legge più favorevole.

Nel caso specifico, la normativa successiva (in particolare il D.Lgs. n. 158/2015) ha introdotto una sanzione fissa, da 250 a 2.000 euro, in luogo della precedente sanzione proporzionale. Questa è la disciplina più favorevole che deve essere applicata alle violazioni commesse prima della sua entrata in vigore ma non ancora definite con un provvedimento definitivo.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che l’obbligo di comunicare la dichiarazione d’intenti è cruciale per il sistema di controllo dell’IVA. Un’interpretazione che considerasse la violazione come meramente formale o abrogata svuoterebbe di significato la norma e le sue finalità di prevenzione. La successione di leggi ha solo ‘rimodulato’ gli adempimenti, non li ha eliminati. Si è passati da un obbligo diretto di invio a un obbligo di controllo, ma la base dell’illecito, ovvero la mancata informazione al Fisco, rimane. Pertanto, l’unica conseguenza della successione normativa è l’applicazione retroattiva della sanzione più mite, in ossequio a un principio cardine del sistema sanzionatorio tributario e penale.

Le Conclusioni

Con questa ordinanza, la Cassazione stabilisce tre principi fondamentali:
1. L’omessa trasmissione della dichiarazione d’intenti è una violazione sostanziale perché lede l’interesse del Fisco al controllo.
2. Le modifiche normative che hanno trasferito l’obbligo dal fornitore al cliente non hanno causato un’abolitio criminis; l’illecito permane, sebbene con modalità diverse.
3. Alle violazioni passate si applica il principio del favor rei, con conseguente adozione della sanzione fissa, più favorevole, introdotta dal D.Lgs. 158/2015.

L’omessa trasmissione telematica della dichiarazione d’intenti è una violazione solo formale?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che non è una violazione meramente formale, ma sostanziale, perché ostacola l’attività di controllo dell’amministrazione finanziaria sull’applicazione del regime IVA.

Le modifiche legislative che hanno spostato l’obbligo di comunicazione dal fornitore al cliente hanno cancellato l’illecito per il passato?
No, la Corte ha chiarito che non si è verificata una abolizione dell’illecito (abolitio). C’è una continuità normativa e il fatto resta illecito; sono cambiate solo le modalità di adempimento e il soggetto primariamente obbligato.

Quale sanzione si applica alle violazioni commesse prima delle nuove leggi ma giudicate dopo?
Si applica il principio del favor rei, quindi va applicata la sanzione più favorevole introdotta nel tempo. Nel caso specifico, la sanzione in misura fissa (da 250 a 2.000 euro) prevista dal D.Lgs. 158/2015, poiché più mite di quella proporzionale originariamente prevista.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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